La vittoria di Berlusconi, con o senza forse
Forse la vittoria di Berlusconi è un evento più complesso di quello che può immediatamente sembrare; molto più di un semplice cambio di potere in una sana democrazia dell’alternanza.
Forse il fenomeno Berlusconi affonda le radici in un passato non solo prossimo, ma anche remoto. Mi riferisco alla crisi italiana che si manifesta, dagli anni ottanta in poi, quando DC e PSI, insieme agli alleati minori del pentapartito, non sono stati capaci di introdurre coraggiose riforme istituzionali e morali, decretando così la propria morte, che avverrà poi con le inchieste di Tangentopoli. Berlusconi sembra più essere erede della peggiore DC e PSI, che di una nuova Repubblica, che non è ancora nata.
Forse Berlusconi piace più di quello che si riesce a capire. Forse rappresenta non tanto un modello politico, quanto umano e culturale. In altri termini il belusconismo è più pericoloso della vittoria elettorale di Berlusconi. Intendo per berlusconismo
Forse stiamo per entrare in una fase di dittatura morbida, cioè di un’apparente e formale democrazia, ma di una sostanziale dittatura, specie in termini di libertà di espressione, di controllo dei mass media, di gestione delle risorse pubbliche, di amministrazione della giustizia, di libertà dei sistemi di controllo, di ruolo del parlamento.
Forse la vittoria di Berlusconi, unita al successo della Lega, ci porterà a leggi e provvedimenti di natura razzista e xenofoba (anche se mascherati in diversi modi); al tradimento dello spirito di solidarietà economica, sociale e politica, sui cui si fonda la nostra Costituzione.
Forse il fenomeno Berlusconi è stato sottovalutato da sempre. Si pensi a tutti gli errori fatti dalle forze di centrosinistra nel non proporre una legge sul conflitto di interessi, nel non potenziare l’opposizione alla vigente legge elettorale, nella debolezza politica dimostrata nel momento in cui essi la potevano riformare, nell’aver, alcune volte, scimmiottato il berlusconismo in metodi e sostanza, nel non aver rinnovato la propria classe dirigente, al momento opportuno, con persone competenti e integre moralmente, nel non aver awiato percorsi di formazione politica per i propri dirigenti e per tutti i cittadini. Forse anche lo stesso leghismo è stato sottovalutato.
Forse il sottovalutare il berlusconismo e il leghismo ha favorito il loro intreccio e connubio, in cui è difficile distinguere quanto uno imiti l’altro, quanto uno si serva dell’altro e quanto ne abbia bisogno.
Forse diversi pastori e laici cattolici sono stati troppo tolleranti nei confronti del berlusconismo e del leghismo e, in alcuni casi, li hanno appoggiati apertamente, accettando una prassi e un pensiero che hanno poco a che fare con lo spirito evangelico. Forse Berlusconi incarna quel tipo di cattolico borghese che sì accontenta di un richiamo a certi principi della dottrina cattolica (famiglia, salvaguardia della vita, bioetica) e dimentica e tradisce tanti altri (bene comune, solidarietà, accoglienza e promozione degli ultimi, giustizia e legalità promozione della pace e della salvaguardia dell’ambiente naturale). Forse l’appoggio alla destra berlusconiana è funzionale a garantire la continuità di alcuni privilegi economici e fiscali verso la comunità cattolica.
Forse ci attendono tempi davvero difficili e dovremmo riprendere la lezione dei padri costituenti che resistettero al fascismo con un costante esercizio di ragione, diritto e moralità. Forse la lettera di Sturzo del 1926 è più che mai attuale. «Oggi, adunque - scriveva Sturzo ai suoi amici - è l’inverno politico del Ppi, ma “sotto la neve il pane” dice il proverbio. Nessuno sciupio di forze, nessuna mossa discutibile, nessun gesto inutile: il raccoglimento, lo studio, la preparazione. Essere anzitutto, se stessi, cioè, rigidi assertori di libertà, aperti negatori del regime fascista, vigili scolte di moralità pubblica, ranghi disciplinati di uomini di carattere e fede. Il pensiero, la meditazione, lo studio, la prova del dolore e del sacrificio, l’esempio del carattere, la forza della convinzione valgono assai più di cento conferenze e di mille articoli di giornale costretti alla mutilazione o dosati con 99 di lode al governo per potere contenere quell’uno di biasimo che perde ogni valore, l’esempio di giorni aspri del primo risorgimento, deve farci convinti, che nessuna forza armata o poteri di principi o di dittatori valgono a contenere la diffusione di idee e ad impedire che si affermino in istituti politici, quando esse sono mature. E non occorrono i molti a questo fine».
Forse è così, in tutto ciò che ho detto e in altro ancora. O tutto senza forse?
Rocco D’Ambrosio docente di teologia morale alla Univ. Gregoriana di Roma