La vita obbligata
Tra le battaglie civili che l'anno concluso affida a quello da poco iniziato ce
n'è una che rimane
aperta e incerta: quella promossa dai sostenitori dell'obbligo della vita a ogni
costo, la vita degli
embrioni congelati e quella dei corpi senza più memoria né pensieri, con
funzioni organiche
alimentate da macchine. Grava su di loro la responsabilità di sofferenze
ulteriori inflitte a chi ha già
percorso nel dolore tutta la lunga via della medicina e della legge e chiede
solo rispetto e silenzio;
ma anche la responsabilità di diffondere ventate di intolleranza, spiriti di
violenza e di ferocia
ammantati di amore. Non siamo ancora arrivati, almeno in Italia, agli attentati
a mano armata contro
i medici che lavorano nelle cliniche dove si fanno aborti: il fondamentalismo
nostrano a differenza
di quello dell'America puritana è moderato da una radicata tradizione di
scissione tra convinzioni e
comportamenti. Per ora siamo fermi alle parole, anche se si tratta di parole
irresponsabili, atroci
come quelle di Comunione e Liberazione che parlano di eutanasia legalizzata e di
eugenetica
nazista.
Ma intanto un prete ha progettato un'azione di commando per
strappare Eluana Englaro alla
famiglia. Non si sa fino dove sia arrivato nel suo progetto: e ci auguriamo che
qualche giudice stia
chiedendoselo. Anche perché il clero ha una certa pratica di sottrazioni: non
solo di corpi morti,
come quella del cadavere di Mussolini , ma anche - quando poteva farlo - di
infanti tolti alle
famiglie per salvarne l'anima col battesimo come accadde in Italia con l'ultima
avventura di un
papa-re col celebre episodio del bambino Mortara. Ma è tempo che le autorità
della Chiesa che si
sono avviate irresponsabilmente lungo questo percorso carico di incognite siano
richiamate se non
alla ragione almeno alla considerazione dei dati di realtà civile e sociale
della situazione italiana da
cui dipende il valore stesso di quella idea - la vita - che hanno posto sulla
loro bandiera. Il valore
della vita non può dividere un paese come il nostro. Non c'è un partito
della vita opposto a un
partito della morte. Ci sono modi diversi di pensare alla vita e alla morte.
Sono modi di pensiero e
modi di sentire che passano attraverso gli schieramenti ideologici, che dividono
i partiti e si
combattono perfino all'interno dei singoli, nelle loro coscienze, come flussi di
corrente alternata che
mutano a seconda dei momenti e dello stato di salute, dell'età, dei bisogni.
Vediamo che cosa divide
e che cosa unisce. Divide l'iniziativa del ministro Sacconi: nessuno di noi
vorrebbe veder dipendere
la sua sorte dal decreto di un ministro. Una organizzazione della medicina
pubblica, cioè della più
gigantesca e pervasiva e costosa struttura del paese, che sia governata non
dalle leggi esistenti ma
da iniziative del potere esecutivo fa gravare su di noi l'ipoteca di arbitri
infiniti, questi sì ispirati a
un modello degno di uno stato totalitario. Divide l'intollerante pretesa
della Chiesa cattolica di
piegare i comportamenti di medici e di farmacisti obbligandoli in coscienza a
disobbedire alle leggi
in nome di una dottrina nata nella Chiesa stessa solo all'inizio dell'età
moderna e ignota a tutta la
tradizione cristiana precedente: quella che immagina un Dio creatore che si
affretta a immettere
un'anima immortale nell'ovulo materno appena appena fecondato dal seme maschile
- un Dio
generoso ma incomprensibile, visto che quell'anima, se l'embrione o il feto
vengono espulsi in un
modo o nell'altro, sarà condannata nell'ipotesi migliore a stare nel Limbo, un
non-luogo che la
Chiesa non sa come definire, e nell'ipotesi peggiore all'inferno, per una
eternità di pena.
Procedere lungo questa via fino a trarne conseguenze
giuridiche e mediche significa rinverdire la memoria di
quei sacerdoti che erano ossessionati dallo spettro dell'aborto e immaginando
l'utero materno come
una prigione minacciosa erano capaci di azioni come quelle del prete siciliano
che entrava nelle
stanze delle partorienti a rischio di esito infausto e ne faceva aprire il
ventre per battezzare il feto e
salvarne l'anima: si chiamava Francesco Emanuele Cangiamila e il suo trattato di
"Embriologia
sacra" per insegnare a medici e sacerdoti a seguire il suo esempio riscosse un
notevole successo fin
nella tollerante Lombardia austriaca e nell'America latina. Divide la mancanza
di pietà che sottrae
alle famiglie credenti il conforto della benedizione ecclesiastica per la
sepoltura di chi ha in
qualunque modo contribuito a chiudere volontariamente la propria vita. E un
ricordo dei tempi in
cui i suicidi venivano esclusi dai luoghi di sepoltura e di quelli più lontani
in cui il tentativo di
suicidio veniva punito con gli strazi e la morte sul patibolo e il corpo del
suicida veniva dissotterato,
processato e condannato alla esecrazione e all'infamia.
Oggi non c'è - se mai c'è stato - un partito della morte. Ma la morte tuttavia
esiste: per alcuni è una
minaccia da esorcizzare a ogni costo, per altri assomiglia ancora a quella
sorella corporale che San
Francesco lodò nel cantico delle creature: è l'estrema garanzia di un limite
alle sofferenze. La vita,
lo sappiamo tutti, è un dono. Chi ce l'abbia regalata, se un asteroide o un
divino e provvidente
creatore, resta tra le opzioni personali. Ma i regali, una volta ricevuti, ci
appartengono e la pretesa di
condizionarli al volere del donatore è ben singolare: quelli di Natale sono un
buon esempio pratico.
Anche perché si fanno e si ricevono nel giorno della festa della vita. La
saggezza di una religione
che si è saputa iscrivere nelle pratiche folkloriche della fecondità ha
collocato la nascita del
bambino e la speranza della salvezza subito dopo il solstizio d'inverno, quando
nel gelo che
attanaglia la terra si allunga la carezza del sole.
Oggi le promesse della natura non bastano a riscaldare i corpi dei senza tetto,
né i cuori dei
lavoratori precari, dei pensionati, dei disoccupati. La cronaca quotidiana,
appena attenuata da una
censura dalle migliori intenzioni, parla di gente che muore per il freddo sotto
i portici della città o
nell'incendio di baracche tra i boschi o nei campi: e parla sempre più di gente
che si uccide, nella
disperazione dei fallimenti economici, della mancanza di lavoro, della scarsità
delle risorse per far
fronte alla vecchiaia e alle malattie ma anche a quel vuoto di speranze che
rende insostenibili le
giovinezze. Tutto questo accade in un'Italia dove la divaricazione tra ricchezze
prepotenti di pochi e
l'impoverimento crescente di moltissimi sta spazzando via il breve sogno di
abbondanza per tutti del
miracolo italiano. E così si impone la necessità di individuare il terreno
sul quale ci possiamo
trovare uniti a combattere per la vita - per una vita che valga la pena di
essere vissuta, per aiutare le
persone - non solo quelle promesse e sperate dagli embrioni fecondati, ma quelle
che incontriamo
concretamente nelle strade dove si svolge la vita della nostra specie.
Partiamo da ciò che unisce invece che da ciò che divide. Unisce
l'iniziativa del cardinal Tettamanzi,
per esempio. Non parole ma fatti. Il suo esempio può suggerire alla Chiesa quale
sia la via da
battere nel concreto della nostra società, frenando la macchina ideologica
all'opera nei ben riscaldati
interni delle congregazioni vaticane. E' una ragione molto semplice che spinge
in questa direzione ,
la stessa che dovrebbe dissuadere dal percorrere la via delle scomuniche e delle
intimazioni.
Pensiamo a quale prospettiva si aprirebbe il giorno che l'intervento legislativo
sul tema del
testamento biologico dovesse obbedire alle voci teologiche dell'obbligatorietà
della vita. Sarebbe la
stessa che si aprì in tempi non lontani sulle questioni del divorzio e
dell'aborto.
Un referendum sul diritto di scegliere se si vuole essere lasciati morire in
pace, senza accanimenti
terapeutici, senza clamore di voci ecclesiastiche, senza accanimenti di ministri
, di giornali, di
presunti esperti, senza bottiglie di acqua minerale sui sagrati delle chiese:
non lo si può pretendere,
hanno scritto Luca e Francesco Cavalli Sforza. E non ci sarà. Ma se ci fosse,
tutti sappiamo come
andrebbe a finire. Per questo quelle autorità della Chiesa che hanno deciso
di guidare l'ignobile
campagna in corso hanno optato per la via più antica e più sicura: premere sui
politici che si
contendono il privilegio di parlare in nome dell'ultima autorità morale rimasta
in piedi dopo il crollo
delle ideologie.
Adriano Prosperi la
Repubblica 6 gennaio 2009