La tribuna dei teocon
L´ultimo no a Eluana Englaro dalla Regione Lombardia contraddice la sentenza
della magistratura, e l´editoriale dell´Osservatore Romano che avanza dubbi
sulla morte cerebrale, riaprono il drammatico confronto su chi decide del nostro
ultimo respiro.
A quanto pare, la Santa Sede che ne è la proprietaria lascia al direttore di
turno la responsabilità delle sue scelte, né più né meno di quel che accade
normalmente nella grande stampa di informazione. Del resto, nella nostra epoca
di crisi delle ideologie è già accaduto di veder sbiadire in altri quotidiani le
certezze precostituite di verità offerte come chiavi di lettura dei fatti del
giorno. Ma sarebbe bene che le autorità vaticane lo spiegassero con chiarezza.
Se il direttore di quel quotidiano decide di ospitare e di dare risalto
all´opinione di chi, forte di una sua rispettabile convinzione religiosa più che
di una specifica autorità in materia, revoca in dubbio il criterio fondamentale
su cui opera la medicina dei trapianti, non per questo i medici, gli anestesisti
e gli infermieri cattolici debbono correre a fare obbiezione di coscienza. È
così? Come ha ricordato su Repubblica il professor Ignazio Marino, la cosa è
importante per chi ha la vita appesa al filo di un trapianto di organi. È qui
che si svolgono quotidianamente drammi silenziosi e si combattono battaglie in
difesa non della vita in generale – come quelle sulle questioni dell´aborto e
dell´eutanasia – ma di precise esistenze individuali.
C´è, poi, un
problema più generale di scelte della Chiesa che si è clamorosamente profilato
in questo ultimo episodio ma che avevamo già intravisto nella precedente
questione dei giudizi di Famiglia cristiana sulla politica del governo attuale:
la contraddizione sempre più evidente tra l´alleanza strumentale della
Chiesa con le truppe di sfondamento dei "teocon" nella battaglia coi valori
della democrazia laica e quella che costituisce la sostanza civile e storica di
tanta presenza cattolica nel nostro mondo. Bisognerà seguire con
attenzione questa vicenda, aspetto inedito della situazione per certi aspetti
grottesca dell´Italia politica attuale: un paese dove l´opposizione di sinistra
è semplicemente scomparsa e valori della solidarietà sociale si affidano
direttamente all´ispirazione dei singoli e al fiume sotterraneo del
volontariato.
Tuttavia l´episodio mostra indirettamente l´urgenza di un problema che richiede
l´attenzione del potere legislativo: quello del testamento biologico. Materia
delicata, delicatissima. Il testamento è stato e resta un documento importante
per quanto riguarda le disposizioni sui beni di fortuna: intere categorie
professionali vivono in grazia di quel documento, per interpretarlo,
contestarlo, attuarlo. L´esperienza quotidiana e la letteratura d´ogni paese
insegnano che i testamenti si fanno e si disfano, che le ultime volontà possono
sempre diventare le penultime. L´incertezza degli umori, la variabilità degli
stati d´animo e degli affetti dominano nell´operazione del disporre dei propri
beni. Anche la vita è un bene: un bene supremo, si dice. Per tutti, si pretende.
E questo non è vero. "A me la vita è male": parole di Giacomo Leopardi. Così
vere e così suggestive che nemmeno il censore d´ufficio della Sacra
Congregazione dell´Indice se la sentì di condannare quel suddito degli Stati
Pontifici che aveva così radicalmente divorziato dalla religione obbligatoria.
Quanti oggi nel mondo sottoscriverebbero quelle parole? meglio non saperlo. Ma
in cambio gli ottimisti per professione, i credenti nel valore obbligatorio
della vita anche a dispetto dei sentimenti e delle volontà dei viventi abbassino
almeno la voce. Un fatto è certo: l´avanzata della legge tocca oggi l´ultimo dei
beni disponibili, la vita. L´inarrestabile processo di giuridicizzazione di ogni
aspetto dell´esistenza bussa a questa ultima porta. Bisognerà che ci si decida
ad aprirla. Certo, qui si aprirà la lotta fra chi chiede una legge e chi non la
vuole. Fino a non molto fa, la linea divisoria passava tra i credenti in un Dio
provvidente e benevolo, erogatore di un´altra vita e chi non condivideva quella
fede. Ai non credenti l´invito degli uomini della religione è stato fatto
rovesciando l´atto di nascita della civiltà moderna e chiedendo di accettare in
mancanza di meglio una regola di vita fondata sull´esistenza di Dio: come
ipotesi, come scommessa. Ma da quella scommessa metafisica che piaceva a
Pascal la struttura di potere che il clero cattolico ha costruito su fondamenta
di diritto romano ha ricavato la conseguenza di imporre anche ai cittadini di
uno Stato moderno la sudditanza alla loro legge. Da qui gli inviti alla
disobbedienza alle leggi dello Stato, la difesa delle cosiddette obiezioni di
coscienza di medici e farmacisti.
E tuttavia anche per la religione cattolica bisognerà avere presenti i lati
positivi dell´opera sua e dell´influsso che esercita specialmente in Italia dove
è radicata capillarmente e svolge compiti fondamentali di assistenza e di
protezione: anche di cultura e di presenza civile, supplendo a istituzioni
assenti e portando parole coraggiose e ricche di echi, come ha mostrato di saper
fare di recente Famiglia cristiana. La resistenza alle sbrigative soluzioni
legali di problemi delicatissimi di vita e di morte merita sicuramente
attenzione. Anche per il "testamento biologico", come già per la legge
sull´aborto terapeutico, si tratta di averne ben presenti i limiti.
Come ogni altro bene, più di ogni altro bene, la vita subisce le fluttuazioni
del mercato ed è esposta alla legge della domanda e dell´offerta. Anche alla
legge della propensione al rischio del padrone di quel bene: da giovani si è
pronti a regalarlo o a disfarsene con levità di spirito, da vecchi lo si
risparmia. L´avarizia del vecchio che resiste alla natura con tutti i mezzi è
stata raccontata in uno tra i più belli dei racconti di Cechov, "Una storia
noiosa". Quando resta poco del giorno, ogni istante diventa prezioso; quando si
sa che è il nostro turno di andarcene, si spia con ansia ogni goccia d´olio
nella lampada. Se ne ricava una banalissima conclusione: che un testamento vale
per il momento in cui lo si detta anche se è pensato per decidere qualcosa che
avverrà in futuro. È molto probabile che l´ultimo fremito di vita del malato
terminale sarà di rimpianto e di attaccamento estremo a quello che in piena
salute aveva chiesto di essere aiutato ad abbandonare. Tenendo conto di questo,
la legge non potrà andare oltre la sua funzione che è quella di essere fatta per
gli individui: dunque per tutelarne i diritti, non per sottometterli ad altra e
superiore potestà. Se questo è chiaro, allora si può certamente trovare una
formula giuridica adeguata. Che vi si arrivi è necessario, anzi è gran tempo che
lo si faccia. Lo impone la necessità di tutelare ciascuno di noi dalla
prepotenza di regole che privano l´individuo della disponibilità di ciò che solo
è suo, il tempo di vivere e di morire.
Nessuna delega incontrollata a terzi, nessun diritto di mettere le mani sui
nostri corpi ancora viventi giocando con le parole di una legge. Ma anche la
fine di quegli osceni clamori che abbiamo tante volte ascoltato sui casi di chi
lucidamente chiedeva di essere aiutato a concludere una vita intollerabile. E
soprattutto si dovrà incoraggiare lo sviluppo di quelle forme di assistenza che
esistono per rendere meno intollerabili le malattie che tolgono memoria e
conoscenza, che rendono l´essere umano una minaccia per sé e per chi vive con
lui; cure palliative, incremento dei luoghi dove si possa terminare in modo
umano una vita che se ne va e andare incontro a una morte annunciata. Tutto
questo significa spostare l´attenzione alla carenza vera dell´Italia: le
istituzioni dell´assistenza. È alla medicina come sistema di tecniche e di
culture che si rivolge oggi chi ha realmente bisogno di tutelare vita e morte
sue e di chi da lui dipende. Gli altri parlano e gridano da pulpiti vistosi.
I medici sanno, operano, fanno le cose che possono e sanno fare. Ma con quali
mezzi? E combattendo con quali pregiudizi, propri e altrui? In quali contesti?
Perché è evidente che altro è l´ospedale locale altra è la grande clinica
privata, altro è il Sud e altro il Nord del mondo, non della sola Italia, visto
che i soli confini che l´emigrazione in cerca di ospedali oggi conosce sono
quelli della ricchezza individuale e del mondo intero. Così come ogni altra
forma di emigrazione.
Umberto Veronesi Repubblica 4.9.08