LA TERAPIA CHE SERVE AL PAESE

 

Che non eravamo mai caduti così in basso, lo dichiarano anche coloro che, detenendo il potere, o essendo ben disposti verso chi lo detiene, dovrebbero essere, o fingersi, ottimisti. Si sono smarriti i punti cardinali, impera la litigiosità: accuse infamanti, meschine campagne giornalistiche, tutti contro tutti. Ma qual è la terapia? Come se ne esce?

Leggo i resoconti dei discorsi pronunciati dagli uomini politici, leggo gli articoli di giornale, e mi sembra che girino a vuoto. Dice infatti qualcuno che per uscire dalla crisi la politica deve curare la politica. Dice qualcun altro che i partiti al governo devono attuare i programmi che essi stessi hanno esposto alle elezioni: fare la rivoluzione liberale, rimodernare il paese. Tutto giusto, tutto sacrosanto. Ma se gli uomini al governo fossero capaci di fare quel che hanno promesso di fare, lo avrebbero già fatto: avevano la maggioranza. Se bastassero le esortazioni degli uomini probi per indurli al buon senso, saremmo salvi da un pezzo. E allora? Allora dobbiamo chiederci, innanzi tutto, perché siamo caduti così in basso. E non c'è dubbio che tante sono le cause, vicine e lontane, storiche e contingenti. Ma se devo indicare la causa immediata del nostro smarrimento, non esito ad affermare (in compagnia di una folta schiera di connazionali) che la causa determinante dei nostri guai, oggi, è Silvio Berlusconi.

Non è questione, come stupidamente dicono tanti suoi seguaci, di simpatia o antipatia. Personalmente ho conosciuto e frequentato il personaggio in un passato ormai lontano: non avevo proprio niente contro di lui allora, non ho niente adesso. Non è questione di paranoia. E sono veramente stanco di essere considerato, da tanti suoi amici, un po' monomaniaco, perché appartengo alla schiera di chi lo ritiene all'origine del nostro smarrimento. Non invidio la sua ricchezza, le sue ville, tanto meno le sue amiche. Neanche lo detesto perché ce l'ha, o dice di avercela, coi comunisti (esistono ancora? ). Parlano i fatti: non è questione di sentimenti. Era prevedibile fin dal primo momento che un personaggio entrato in politica per evitare il fallimento delle sue aziende e per sfuggire ai processi, un personaggio del tutto impreparato all'arte di governo, circondato da tante persone di dubbia moralità, spregiudicate e inseguite dai giudici, non sarebbe stato l'uomo adatto a governare l'Italia.

Era chiaro che gli italiani lo sceglievano a loro rischio e pericolo. Gli stranieri che seguono le nostre vicende, non certo guidati da interessi personali, ci avevano avvertiti. Ebbene: il fatto che Berlusconi abbia avuto un vasto successo elettorale lo ha soltanto reso più pericoloso. La maggioranza dei voti non ha sanato il vizio di origine. Il 10 giugno del 1940 le piazze erano piene di italiani inneggianti: sappiamo come è finita. Avevo sperato, e l'ho scritto più volte, che Berlusconi, una volta eletto, avrebbe rinnegato il suo passato, e avrebbe aspirato a passare alla storia come un benefattore del paese. Non ne è stato capace: vedete in che situazione ci troviamo. Non è dunque questione di simpatia o di antipatia: tanto meno è questione di paranoia. Parlano i fatti. Oggi l'Italia, dopo oltre tre lustri di egemonia berlusconiana, è in condizioni disastrose. La lotta politica non verte ormai sulle cose da fare nell'interesse della nazione: verte unicamente sulla persona del Primo ministro. Bella soddisfazione, per il suo amor proprio. Ma che umiliazione, per il nostro paese.

Ne consegue che non potremo emergere dalla crisi che ci soffoca fino a quando Berlusconi rimarrà sulla scena. Non basta che lo dicano i Bersani o i D'Alema: che sono parte in causa, e che comunque non sanno neanche spiegare perché lo dicono. Bisogna che se ne rendano conto, e lo dicano, coloro che nella vita culturale, nelle attività economiche, nel mondo dell'informazione, rappresentano il paese. Bisogna che gli italiani, rinsaviti dalla follia che li ha indotti a fare una scelta così infelice, si ravvedano. Fino a quel giorno il paese non supererà lo smarrimento in cui è sprofondato.

Piero Ottone     La Repubblica  31 8 2010