La teocrazia americana
«Gli eccessi del fondamentalismo caratterizzano l'America e
Israele tanto quanto le ovvie depredazioni dell'Islam radicale. I predicatori
televisivi dell'assunzione in cielo della fine del mondo e dell'armageddon
potrebbero tranquilamente tenere testa a qualsiasi ayatollah sciita e con le
ultime due elezioni presidenziali il Grand Old Party, il partito repubblicano
degli Usa, si è trasformato nel primo partito religioso della storia degli Stati
Uniti».
Queste non sono le parole di un pericoloso estremista ma la diagnosi dello
studioso americano Kevin Phillips, autore di un libro - «La teocrazia ameicana»
- istruttivo per tutti gli apologeti nostrani degli Stati Uniti, a partire dal
direttore del Foglio, Giuliano Ferrara che da qualche anno, ogni giorno, sul suo
quotidiano ci spiega quanto sono buoni gli Stati Uniti e l'amministrazione di
George W. Bush. Quasi 600 pagine a tratti suggestive nelle quali vengono messe a
nudo i pericolosi intrecci tra religione e politica associati a una strategia
del debito ormai inarrestabile.
Non che Phillips sia uno stinco di santo: l'autore del libro è un vecchio
repubblicano, ex consigliere di Richard Nixon e autore della bibbia nixoniana:
The emerging repubblican majority. Ma neppure un uomo con un simile passato è
riuscito a reggere i neo fondamentalisti americani: quando Bush padre si è
candidato nel 1998, Phillips si è ritirato dalla politica attiva e se n'è andato
in Connecticut. E dalla lettura delle pagine del libro si intuisce che quel'addio
alla politica non fu soltanto una scelta personale ma la maturazione di una
critica feroce.
Come si legge nella prefazione l'irruzione della religione nella politica
caratterizza l'attuale scenario, a Oriente come a Occidente. A Washington
l'influenza della cosiddetta 'destra religiosa' sulla politica estera e su
quella interna è già enorme, e lo sarà ancora nel prossimo futuro. Ma non è
detto che il matrimonio tra il partito repubblicano di Bush e il fondamentalismo
cristiano sia davvero un bene per l'ultima superpotenza. Dalla caduta di Roma al
declino del Commonwealth britannico, i grandi imperi sono crollati a causa
dell'intreccio di diversi problemi: folle ambizione militare, scarsità di
risorse, debito in crescita esponenziale e - appunto - fanatismo religioso.
Kevin Phillips dimostra che sono gli stessi fattori che sembrano segnare il
destino degli Stati Uniti d'America. Con la sua grande competenza di storico e
con un'esperienza di prima mano dei meccanismi della politica contemporanea,
Phillips esplora le relazioni internazionali dell'ultimo secolo e l'attuale
situazione degli USA: un paese costretto a mantenere una costosissima macchina
militare, anche perché impegnato su più fronti in quella che il presidente Bush
definisce "una guerra tra il bene e il male", sempre più dipendente dal petrolio
estero mentre il debito del paese e dei cittadini cresce vertiginosamente.
La Teocrazia Americana non è soltanto questo. Nella terza parte del libro,
uscito nel 2006, c'è già scritto tutto quello che è avvenuto nella bufera dei
subprime. La crisi dei mutui ancora non è esplosa ma «l'infida traiettoria del
debito americano» e la «finanzializzazione» sono in agguato come elementi che
provocheranno i disastri attuali.
Kevin Philipps: «La teocrazia americana»; Garzanti 2007; 26 euro
Bruno Perini Il manifesto 7/12/07