La strada ecumenica di Assisi
Fra i segnali lanciati
dal nuovo pontificato, quello dei francescani di Assisi appare fra i più chiari
ed eloquenti. La vicenda è nota. Con un documento
motu proprio
il Vaticano ha tolto ai francescani della basilica superiore di Assisi quella
relativa autonomia dal vescovo locale che era stata loro concessa da un analogo
documento firmato da Paolo VI. Non che il contrasto fra un ordine religioso e il
vescovo del posto rappresenti una novità. La dialettica fra l'autorità cattolica
locale e l'ordine religioso che fa capo direttamente a Roma è sempre stata
vivace nella storia della chiesa. Una dialettica che Roma non ha mai voluto
sopprimere, con vantaggio dell'una o dell'altra parte, a seconda dei tempi e
delle situazioni.
Ma oggi Roma ha avuto l'impressione che l'autonomia
dei francescani di Assisi fosse eccessiva, come anche la loro autorevolezza. È
interessante osservare che nel corso degli ultimi decenni i francescani di
Assisi si erano messi in evidenza non per critiche interne alla chiesa, come era
stato per alcuni protagonisti del «dissenso» postconciliare. Rispetto a loro
quindi il Vaticano deve avere pensato piuttosto - con timore - a forme di
eccessivo ecumenismo e pacifismo, di esagerata apertura agli altri. La basilica
di San Francesco come simbolo di un cattolicesimo che non si richiude nella
propria purezza, ma che si confronta e assume come compito primario non tanto la
difesa di una dottrina più «vera» delle altre, quanto la pace. E la guerra, più
dell'eresia o dell'ateismo, è il vero nemico. Una posizione che aveva trovato
consensi anche dai mondi più lontani, da Berlinguer a Tarek Aziz. I francescani
di Assisi non hanno mai attaccato direttamente la gerarchia cattolica, ma hanno
indicato una strada piuttosto diversa da quella indicata da Roma. E ora Roma,
con questo provvedimento, ha voluto mostrare a tutti che la «sua» strada -
quella dell'ordine gerarchico e delle verità sicure - non si deve abbandonare.
Un segnale per tutti, ben al di là di Assisi.
Comunque Roma non può farsi illusioni sulla
omogeneità e totalità dei consensi. La stessa esistenza dei moderni mass media
lo impedisce. Nessun motu proprio potrà tacitare le voci di chi dissente,
sia quelle più «teologiche» nate dopo il Concilio Vaticano II e ancora vivaci
(ad esempio nelle «comunità di base») sia quelle più «politiche» recenti. Lo
hanno confermato anche le pagine di «MicroMega» (6/2006) dedicate proprio alla
voce di quattro «preti di frontiera». La loro è «una radicale alternativa alla
chiesa costantiniana del cardinale Ruini: la chiesa-gerarchia trionfante, le
tentazioni del potere...». Nonostante le prime mosse del nuovo papa, dunque, il
dissenso nella chiesa cattolica permane, anche se cambia forme e temi.
Non ci dobbiamo dimenticare, d'altronde, che proprio
quando Ratzinger dirigeva il Santo Uffizio si verificò quella sistematica
offensiva di Roma contro la teologia latinoamericana (e non solo) che si era
detta «della liberazione». Una offensiva che era riuscita ad emarginarla, ma non
a soffocarla. Probabilmente sarà così anche per le intuizioni dei francescani di
Assisi.
FILIPPO GENTILONI il manifesto 27/11/05