La scossa
La nostra vita politica è entrata in una fase selvaggia a causa
dell'anomalia, tutta italiana, di un
potere che è finito, ma che non c'è modo di rimuovere con i mezzi politici
normali, a causa di un
sistema istituzionale perverso che lo tiene in vita oltre ogni decenza.
La lotta politica prende allora
altre strade, scava ferite, semina vittime, travolge venerande istituzioni; in
tal modo il crepuscolo
del berlusconismo manifesta tutta la forza distruttiva e corruttrice che questa
forma politica ha avuto
fin dall'inizio. La settimana di fuoco culminata con le dimissioni di Boffo
dall'Avvenire ne è stata
un'impressionante conferma.
Ricordiamo i fatti. Berlusconi è assediato dalle macerie della sua reputazione.
Non può andare in
TV, non può andare in Parlamento, non può fare una vera conferenza stampa, non
può fare una
politica; debole com'è, se non fa quello che gli chiedono perde Bossi, o perde
Fini, o perde la
Chiesa. Allora decide la sortita. I giornalisti devono cambiare mestiere, gli
accusatori devono essere
diffamati, i moralisti accusati di immoralità. C'è lo strumento mediatico: Il
Giornale. Ma il suo
direttore, Mario Giordano, a suo modo è un idealista; ha in mente ancora la
dignità professionale di
Montanelli, i toni mai esagerati del fondatore Mario Cervi. E il 21 agosto
annuncia: "Cari lettori, mi
dispiace ma vi devo dire addio": lui non vorrebbe, ma non ci sta a fare un
giornale «che non
riuscisse a fermare la barbarie e si trasformasse nel gioco dello sputtanamento
sulle rispettive
alcove». E svela, in una parentesi, che le camere da letto predestinate a questo
gioco al massacro
sono, nell'ordine, dopo quella del premier, quelle di «direttori di giornali,
editori, ingegneri" e, via
assortendo, "first lady, body guard o avvocati». Incautamente scopriva le
carte; ed era lui il primo
direttore a cadere.
Non passava una settimana e il 28 agosto il nuovo direttore
Vittorio Feltri passava alla barbarie, e
aggrediva Dino Boffo con il trasparente sottinteso che se tutti sono colpevoli,
nessuno è colpevole.
Ma qui c'era una eterogenesi dei fini: perché Boffo è l'Avvenire, l'Avvenire è
la Chiesa, la Chiesa
sono il Papa, il segretario di Stato e i Vescovi, e nella solidarietà a Dino
Boffo saltava il lavacro
della Perdonanza per Berlusconi all'Aquila e c'era la rottura tra Chiesa e
governo, un governo con
cui la Chiesa aveva avuto i più stretti rapporti ("eccellenti", continuava a
dire il direttore
dell'Osservatore Romano) e che aveva apprezzato siccome omogeneo ai valori
cristiani, come
neanche nei riguardi dei governi democristiani era mai avvenuto.
A quel punto la partita si faceva grossa; ed era lo stesso Dino Boffo, nella sua
lettera di dimissioni,
ad evocarla: «Feltri non si illuda. C'è già dietro di lui chi, fregandosi le
mani, si sta preparando a
incamerare il risultato di questa insperata operazione»; nei giornali di quei
giorni, aggiunge, «non si
menavano solo fendenti micidiali, l'operazione è presto diventata qualcosa di
più articolato».
Quale operazione? Si può fare l'ipotesi che si sia aperta una partita di
potere nella destra italiana, nel
capitalismo italiano (la sinistra non c'è più), e che la sua ala non
confessionale voglia chiudere i
conti non solo con Berlusconi, ormai inaffidabile, ma anche con la Chiesa,
sofferta come troppo
invasiva.
Sarebbe sbagliato, però, per la Chiesa, rispondere sullo
stesso terreno, cercando di ricostruire, in
altre forme, un fronte clerico-moderato. La lezione è che la saldatura tra la
Chiesa e un governo
espone a un fortissimo disagio la variegata e pluralistica base cattolica che
spesso si sente ferita
nelle sue convinzioni più profonde; in questo caso, essa si è fatta largo a
forza attraverso il pur
prudente filtro delle lettere al direttore dell'Avvenire.
E l'altra lezione è che forse l'esperimento di un giornale "dei vescovi", dove
ogni parola, magari
scritta alle undici di sera sotto l'urgenza della chiusura, viene fatta risalire
alla CEI, al Papa, o
addirittura al Vangelo, non ha dato buoni risultati. Si crea un corto circuito
che trasmette la scossa
da una modesta scrivania redazionale alla suprema cattedra nei Sacri Palazzi.
Forse la Chiesa ha
bisogno non di un giornale in tal modo "cattolico", ma di un giornale cristiano.
Ricordandosi di tutte
quelle belle cose che si è detto dovrebbero fare i laici, senza «rivendicare
esclusivamente in favore
della propria opinione l'autorità della Chiesa» e senza pensare «che i loro
pastori siano sempre
esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi,
essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li
chiami la loro missione». È il Concilio, alla lettera, interpretato nella
Tradizione.
Raniero La Valle in “Koinonia” - Forum 161 - del 6
settembre 2009