La scomunica dei
medici brasiliani aggrava il turbamento dei cattolici
Nella gerarchia cattolica l'imbarazzo è palpabile; per molti fedeli si passa
dalla costernazione
all'indignazione. Ovunque domina l'incredulità. La scomunica pronunciata giovedì
5 marzo da un
vescovo brasiliano contro la madre di una bambina di 9 anni, incinta di gemelli
in seguito ad uno
stupro, e contro i medici che hanno praticato l'aborto, continua a suscitare una
generale riprovazione
nell'opinione pubblica.
Il sostegno al confratello brasiliano da parte del cardinale Giovanni Battista
Re, prefetto della
Congregazione per i vescovi in Vaticano, lascia senza parole molti responsabili
religiosi. Interrogato
sabato 7 marzo dal quotidiano italiano La Stampa sulla sorte della piccola
brasiliana, questo stretto
collaboratore di Benedetto XVI ha dichiarato: “È un caso triste, ma il vero
problema è che i gemelli
concepiti erano persone innocenti, che avevano il diritto di vivere e che non
potevano essere
soppressi. La Chiesa ha sempre difeso la vita e deve continuare a farlo, senza
adattarsi agli umori
dell'epoca o all'opportunità politica.”
Questa nuova controversa decisione giunge mentre molti cattolici non hanno
ancora digerito gli
effetti disastrosi del decreto del 21 gennaio, firmato dallo stesso cardinal Re,
che toglieva le
scomuniche di vescovi integralisti, tra cui un prelato negazionista. Il caso del
Brasile rischia di
offuscare ulteriormente l'immagine della Chiesa, e soprattutto di accrescere la
lontananza che
sembra frapporsi tra gli ideologi del Vaticano e i credenti, anche tra i preti e
in una parte della
gerarchia.
“Dopo l'accoglienza negativa della revoca delle scomuniche degli integralisti in
particolare in
Francia, si sta scavando un fossato preoccupante tra il Vaticano e i fedeli”,
conferma lo storico
Philippe Levillain, autore del libro Le moment Benoît XVI (Fayard).
Facendo uscire questo drammatico caso dal solo contesto brasiliano, nel quale
certi responsabili
cattolici avrebbero voluto isolarlo, l'appoggio venuto dal Vaticano interroga
direttamente la dottrina
della Chiesa sul problema dell'aborto – canonicamente punito con la scomunica
automatica – e fa
dubitare della capacità o della volontà del governo della Chiesa di parlare ai
credenti.
Certi, anche tra i più ferventi sostenitori del Vaticano, deplorano che i
fautori di un pensiero rigido,
reazionario, se non oscurantista, presenti nell'entourage del papa, prendano
ormai il sopravvento su
coloro che sono attenti a tener conto da un lato dell'insegnamento dottrinale
della Chiesa, in
particolare in materia di costumi, e dall'altro al suo adattamento alle
situazioni concrete. Un
adattamento apprezzato dai fedeli e da anni messo in atto da molti preti.
“Con questo nuovo caso, il pontificato di Benedetto XVI
sta diventando il pontificato tragico
dell'incapacità di capire e di essere capiti, analizza Levillain. E,
anche se il papa non c'entra per
niente nell'ultima faccenda, non si può che constatare il paradosso tra la
revoca delle scomuniche
recenti – che sembrava significare che il Vaticano considerava questo principio
obsoleto -, e il
ricorso a quest'arma quasi medioevale nel dramma del Brasile.”
“Con delle dichiarazioni come quelle del cardinal Re, si è di fronte ad un
ragionamento
essenzialista, ontologico, che sembra non avere più alcuna nozione delle
situazioni concrete”, si
preoccupa anche un vescovo francese. ”Sotto Giovanni Paolo II, anche se le
convinzioni erano le
stesse, il sistema di pensiero prendeva maggiormente in considerazione la
persona”, aggiunge.
Certi non esitano a paragonare il periodo attuale alla crisi di fiducia che era
seguita alla
pubblicazione dell'enciclica di Paolo VI, Humanae Vitae, nel 1968. Questo testo
che proibiva
qualsiasi forma di contraccezione aveva portato molti cattolici a prendere le
distanze dalla Chiesa
istituzionale.
“Desolante”, si lascia sfuggire un vescovo, visibilmente toccato da una faccenda
che gli ha già
procurato varie e-mail di fedeli stupefatti e discussioni in diocesi.
“Certe prese di posizione sono
così lontane dal Vangelo; certe volte sarebbe meglio tacere e limitarsi ad
accompagnare la
sofferenza delle persone”, sospira. “Certo la Chiesa svolge il suo
compito quando dice che bisogna
proteggere la vita fin dal concepimento, ma davanti ad un simile dramma, bisogna
offrire una
parola di compassione, non scomunicare”, si indigna questo vescovo, che, come
molti religiosi, ha
già accompagnato spiritualmente delle donne che avevano abortito.
Segno del malessere che questo caso suscita negli ambienti cattolici, il
quotidiano cattolico La
Croix vi ha dedicato il suo editoriale, lunedì 9 marzo. In esso deplora che la
“reazione del vescovo
brasiliano, nella sua durezza legalista, - vada – di fatto contro il messaggio
di vita che la Chiesa
vuol far sentire”. “Questo caso dà argomenti a tutti coloro per i quali la lotta
in favore della vita è
un atteggiamento passatista e ultraconservatore”, si rammarica inoltre il
quotidiano.
Altri, come per la mano tesa del papa ai vescovi integralisti, preferiscono
eludere il problema di
fondo e vedere in questa nuova polemica “un problema di comunicazione e di
funzionamento della
curia”. Si interrogano in particolare sullo statuto delle dichiarazioni del
cardinal Re. “Parla a suo
nome o a nome del papa? Il papa sostiene la sua posizione?”
La gestione del dossier precedente è valsa a Benedetto XVI molte critiche, anche
all'interno, sugli
orientamenti e la gouvernance della Chiesa cattolica. I temporeggiamenti del
Vaticano, che ha
tardato a condannare fermamente il vescovo negazionista, e la mancanza di
spiegazioni per
giustificare la volontà di ricondurre in seno alla Chiesa un movimento che è in
opposizione ad una
parte del suo magistero, hanno indebolito l'autorità di Roma e messo in dubbio
“l'infallibilità”
papale agli occhi di molti cattolici. Recentemente, la conferenza episcopale
tedesca, con un tono
insolitamente deciso, ha chiesto a Roma “dei miglioramenti rapidi nel campo
dell'assunzione di
decisioni e della comunicazione con le conferenze episcopali” e deplorato che in
questa occasione
sia apparsa una “incertezza relativamente al cammino della Chiesa”.
Stéphanie Le Bars in “Le Monde” del 12 marzo 2009
La crociata conservatrice di “Dom Dédé” arcivescovo di Recife
È una bambina brasiliana. Per proteggerla, la giustizia
proibisce di divulgare la sua identità.
Chiamiamola V. V. come vittima. V. come violentata. Ha 9 anni, ma dimostra
appena la sua età: è
alta 1,36 m e pesa 33 kg. Lo dimostra la sola foto che abbiamo di lei, viso
sfuocato , piccola e
gracile, per mano a sua madre. È una bambina del Nordeste. vive ad Alagoinha,
vicino a Recife,
capitale dello stato di Pernambuco.
Alla fine di febbraio, V. lamenta dolori di pancia, vertigini e nausea. La madre
la porta da un
medico. La diagnosi è terrificante: la bambina è incinta di quindici settimane,
aspetta dei gemelli.
Un fatto rarissimo.
Il patrigno di V., 23 anni, lavoratore agricolo, confessa il suo crimine alla
polizia. Abusava da tre
anni della bambina e di sua sorella maggiore, di 14 anni e handicappata. Dovrà
scontare quindici
anni di prigione. V. ha raccontato il suo dramma. L'uomo approfittava
dell'assenza della sua
compagna per stuprarla. La minacciava: “Se parli, uccido tua madre”. Di tanto in
tanto le dava una
moneta da 1 real (30 centesimi di euro).
In Brasile, l'interruzione volontaria di gravidanza è proibita, salvo in caso di
stupro o di pericolo per
la vita della madre. Tale doppia eccezione si applica a V. All'ospedale pubblico
di Recife, il dottor
Sergio Cabral ha quindi raccomandato un aborto immediato. L'intervento va bene.
“La bambina
era anemica, senza dubbio malnutrita, spiega il medico. I suoi organi erano
appena formati.
Bisognava agire rapidamente. Aspettare troppo le avrebbe fatto correre un
pericolo mortale.”
Aspettare? È proprio quello che voleva il padre biologico di V., separato dalla
moglie da tre anni.
Informato della situazione di sua figlia qualche giorno prima dell'aborto, si
rivolge alla giustizia.
Avvertito del caso, entra allora in scena un personaggio importante: dom José
Cardoso Sobrinho,
detto “Dom Dédé”, arcivescovo di Olinda e Recife. Il monsignore va personalmente
in tribunale per
assicurarsi dal suo presidente che l'intervento non sia autorizzato. Forte del
diritto canonico e
brandendo il comandamento della Chiesa (“Non uccidere”), afferma con decisione:
“Il Brasile ha
delle leggi sul divorzio e l'aborto che vanno contro la legge di Dio. Quest'ultima
è superiore alla
legge degli uomini.”
Dopo l'interruzione della gravidanza, il prelato scomunica la madre di V. e
tutta l'équipe medica. Le
vittime di questo castigo collettivo non potranno più ricevere i sacramenti
della Chiesa. Solo la
bambina e il suo violentatore sfuggono ai fulmini di Dom Dédé. Lei perché
minorenne; lui perché la
giurisprudenza cattolica non ha previsto nulla per castigarlo. “Ha commesso un
peccato molto
grave, ammette l'arcivescovo. Ma agli occhi della Chiesa, l'aborto è un crimine
ancora più grave.”
Una causa sacra
Le femministe si sono mobilitate. Una organizzazione non governativa cattolica,
favorevole al
“diritto di scegliere”, ha fustigato l'atteggiamento “intollerante” e “crudele”
dell'arcivescovo. Il
presidente Luiz Inacio Lula da Silva, esprimendosi in quanto “cristiano”, ha
deplorato che “un
vescovo abbia un comportamento così conservatore”. Secondo lui, “il corpo medico
ha agito più
correttamente della Chiesa”. In risposta, Dom Dédé gli ha consigliato di
“consultare un teologo”.
Per la Chiesa del Brasile, il più grande paese cattolico al mondo, il rifiuto
dell'aborto è una causa
sacra. Essa conduce una crociata contro la depenalizzazione dell'interruzione
volontaria di
gravidanza, auspicata dal ministro della salute. Dom Dédé è in prima linea.
Conservatore, e fiero di
esserlo, è succeduto nel 1985, a Olinda e Recife, a Dom Helder Camara, figura di
punta della
“teologia della liberazione”, morto nel 1999, e di cui è l'esatto contrario. Da
allora non ha smesso di
liquidare l'eredità ecclesiale, giudicata a Roma pericolosamente progressista,
del “piccolo vescovo
rosso”. Paragonando l'aborto al genocidio hitleriano, ama definirlo “l'olocausto
silenzioso” davanti
al quale “non possiamo restare senza far nulla”. Anche questa volta il Vaticano
lo sostiene,
sottolineando che i due feti “innocenti avevano il diritto di vivere”.
Ogni anno in Brasile vengono praticati più di un milione di aborti clandestini.
Jean-Pierre Langellier in “Le
Monde” del 12 marzo 2009