La Santa Sede e il
significato di un avvertimento
L'idillio fra Silvio Berlusconi e il Vaticano è sempre stato dato per scontato
ed a prova di polemiche.
Ma un articolo dell'Osservatore Romano adesso illumina i rapporti Italia-Santa
Sede con una luce
fredda. L'annuncio che le leggi della Repubblica non verranno più accettate
automaticamente oltre
Tevere è superfluo, e insieme significativo. Superfluo perché un automatismo
assoluto non c'è mai
stato; significativo perché suona, di fatto, come un larvato avvertimento.
Nella conferenza stampa di fine anno, il premier aveva dichiarato che «i
rapporti tra Santa Sede e
governo sono i migliori da sempre». E nessuno ne aveva dubitato, nonostante gli
attacchi recenti del
presidente della Camera, Gianfranco Fini, al ruolo dei pontefici negli anni del
fascismo: attacchi
commentati dai vertici vaticani con una durezza inusuale, e schivati da
Berlusconi. Ma l'articolo di
ieri dell'Osservatore sulla «nuova legge sulle fonti del diritto», pianta
paletti ingombranti. Il
quotidiano fa sapere che le norme promulgate da Benedetto XVI ad ottobre ed in
vigore dal 1°
gennaio 2009, prevedono «un'ulteriore cautela nella recezione della legislazione
italiana».
Traduzione: le leggi non saranno accolte in modo automatico. La motivazione è
che sarebbero in
numero «esorbitante»; cambierebbero in continuazione; ma soprattutto
mostrerebbero «un
contrasto, con troppa frequenza evidente, con principi non rinunciabili da parte
della Chiesa».
Rimane da capire se sia una dichiarazione di sfiducia verso lo Stato italiano;
oppure solo una
sottolineatura puntigliosa e preventiva, mentre il Parlamento sta per discutere
temi di frontiera fra la
vita e la morte.
L'articolo compare nelle pagine interne dell'Osservatore. E l'autore, lo
spagnolo Josè Maria Serrano
Ruiz, è presidente della Corte d'appello della Santa Sede.
Ma la sua prosa sembra destinata ad avere comunque un impatto. Lascia intuire
insieme una punta
di delusione e di diffidenza. Finisce per alimentare in modo inaspettato le
tensioni affiorate nei
giorni scorsi fra l'episcopato italiano ed esponenti di primo piano del
centrodestra. E tende ad
incrinare l'immagine di sintonìa tra maggioranza berlusconiana e Vaticano. È la
coincidenza con lo
scambio di accuse fra alcuni settori del Pdl e le gerarchie cattoliche, in
particolare, a sollevare
qualche interrogativo.
Il «fondo di solidarietà» per i poveri istituito dall'arcivescovo di Milano,
Dionigi Tettamanzi, viene
percepito da parte del centrodestra come «un'iniziativa antigovernativa ». Non
solo. Fra Lega ed
episcopato serpeggia una diffidenza cronica per l'approccio agli antipodi
sull'immigrazione
islamica. E l'Udc soffia sul fuoco, accusando il Pdl di aver fatto prevalere
«l'anima laicista e
statalista»: una frecciata al ministro Renato Brunetta, che aveva criticato una
Chiesa a suo avviso
incline ad iniziative «di immagine». Su questo sfondo, l'articolo
dell'Osservatore sul contrasto fra
leggi italiane e vaticane ingigantisce la questione: forse al di là delle
intenzioni di tutti.
Prefigurare una sorta di «vaglio morale» sulle norme dello Stato repubblicano
come una novità,
introduce un elemento di frizione. Dà l'impressione che sia in atto una deriva
mirante a negare i
«principi non negoziabili» cari alla Santa Sede, assecondata se non promossa dal
centrodestra. E
lascia capire che se il Parlamento approverà leggi considerate ostili alla
morale cattolica, oltre a
criticarle il Vaticano le respingerà. Forse si tratta di una precisazione
inutile, perché un automatismo
assoluto non esiste: basta pensare ad aborto e divorzio. Ma allora, rivendicare
con certi toni il diritto
di accettare o rifiutare una norma significa mandare un avvertimento all'Italia;
e non dare per
acquisiti i buoni rapporti con un governo o una maggioranza.
Massimo Franco Corriere della
Sera 31 dicembre 2009
Leggi italiane ed etica. Le condizioni del Vaticano
Da domani sarà il diritto canonico a ispirare la legislazione civile e penale
del Vaticano che si
sgancia dal sistema giudiziario italiano, il cui numero di norme è divenuto
«esorbitante », con una
legislazione civile troppo «instabile» e con leggi sempre più «in contrasto» con
i principi
irrinunciabili da parte della Chiesa. Lo annuncia sull'Osservatore Romano il
presidente della Corte
d'appello dello Stato della Città del Vaticano, José Maria Serrano Ruiz,
commentando l'entrata in
vigore di una legge sulle fonti del diritto, approvata da Benedetto XVI lo
scorso 1° ottobre e che
sostituisce la legge del 7 giugno 1929, promulgata a seguito degli accordi del
Laterano dell'11
febbraio dello stesso anno. Con il 2009 le leggi italiane non verranno più
recepite automaticamente,
salvo gli eccezionali rifiuti motivati da «radicale incompatibilità», come
avveniva nel passato.
Le ragioni di una recezione della legislazione italiana soltanto «come fonte
suppletiva» sono varie e
si traducono in una robusta tirata d'orecchie al nostro Paese. Spiega José Maria
Serrano Ruiz, che è
anche il presidente della Commissione per la revisione della Legge sulle fonti
del diritto Vaticano:
«Più di un motivo sembra giustificare la cautela nella recezione della
legislazione italiana, ma ne
indichiamo solo tre. In primo luogo il numero davvero esorbitante di norme
nell'ordinamento
italiano, non tutte certamente da applicare in ambito vaticano; anche
l'instabilità della legislazione
civile per lo più molto mutevole. E infine un contrasto, con troppa frequenza
evidente, di tali leggi
con principi non rinunciabili da parte della Chiesa».
Una notazione che suona come un j'accuse all'Italia per norme esistenti, da poco
approvate o allo
studio, su vita e bioetica. Le ultime polemiche sulla morte assistita, sulle
pillole considerate
abortive, sugli embrioni, sulle unioni omosessuali e così via sono presenti fra
le righe del
commento. E anche se in Vaticano di scuole non ce ne sono, è emersa pure la
polemica sulla scuola
confessionale e sugli aiuti dello Stato. La norma approvata, per ora
inapplicabile in assenza di un
sistema scolastico, assume un ulteriore significato polemico nei confronti
dell'Italia e non solo. «Il
testo — afferma il professor Serrano Ruiz — non esclude la possibilità che la
Chiesa possa
intervenire ulteriormente disciplinando la materia nello Stato Vaticano. Il
valore testimoniale della
norma va al di là della sua immediata messa in pratica».
Insomma, in avvenire i rapporti fra i due enti sovrani, l'Italia ed il Vaticano,
«dovranno essere
regolati da disposizioni chiare e che riconoscano nello stesso tempo la completa
autonomia e la
necessaria collaborazione di entrambi», sembra ammonire il magistrato. Quanto
all'ordinamento
canonico, diviene «la prima fonte normativa » e «primo criterio di riferimento
interpretativo»,
mentre prima aveva solo un «posto di privilegio».
Bruno Bartoloni Corriere
della Sera 31 dicembre 2008