La santa maldicenza
Ci guardi Iddio, li guardi Iddio – e li liberi – dalla Santa Maldicenza
che ha preso a soffiare dentro
la Chiesa: mai così forte come dice questo turbine di allusioni, insinuazioni,
delazioni a lingua
biforcuta con annesso transito di dossier all'esterno. Perché si capisce
che ai danni di Dino Boffo è
andato a segno il più violento degli outing.
Ma chi voglia farsi un'idea più precisa dell'ambientino in cui è maturata
l'esecuzione resta sgomento
nell'apprendere che le lettere anonime con la notizia del processo per molestie
e la fangosa nota
d'accompagnamento spacciata come un atto giudiziario non solo erano state
stampate, affrancate e
inviate ai vescovi e a eminenti personalità del mondo cattolico in 200 copie, ma
altrettante
riguarderebbero tanto un insigne professore che un manager della sanità, insomma
due ulteriori
poveracci messi nel mirino - con il che i mefitici testi e i perfidi allegati
salirebbero a quota 600: e
allora serve davvero una squadretta di devoti sicofanti, e forse pure una
tipografia.
Mica tanto normale, tutto questo. Mica scontato che da qualche
tempo non ci sia personaggio, o
situazione, o vicenda, da Pio XII e gli ebrei alla canonizzazione di Giovanni
Paolo II passando per
la sua confidente polacca, che non si trascini regolarmente appresso
un'adeguata dose di veleni, per
giunta postumi. Che a loro volta generano significativi titoli e anche
successi editoriali. Per restare
agli ultimi: «I peccati del Vaticano» di Rendina (Newton Compton) e
«Vaticano spa» di Nuzzi
(Chiarelettere), quest'ultimo costruito sulla base di un archivio di un
defunto monsignore dello Ior e
pieno zeppo di magagne, anche recenti, e di denigrazioni, malignità, impicci un
tempo destinati a
restare in camera caritatis, come il rimarchevole resoconto, da parte del
banchiere apostolico Caloia,
di una riunione in cui il cardinal Castillo Lara si comporta in modo non proprio
specchiato.
E insomma. Premesso che dal peccato di maldicenza pochissimi sono immuni, e i
giornalisti meno
che meno, sulla base delle faide, degli intrecci, delle invidie, delle spiate
che stanno venendo fuori:
non sarà questo irresistibile impulso, questo permanente taglia e cuci,
uno dei princìpi divenuti
irrinunciabili al di là del portone di bronzo, alla Cei, nelle redazioni
dell'Avvenire e dell'Osservatore
romano, alla Cattolica e in altri luoghi che dovrebbero propagare il messaggio
cristiano?
Dice: è sempre successo. Vero, qualsiasi autentico romano sa
che la Curia, in palazzi delle
congregazioni battono qualsiasi altra centrale di pettegolezzo della Città
Eterna, in primis la Rai e il
Transatlantico di Montecitorio. Ma adesso, caso Boffo e dintorni, è come se il
vento impetuoso che
scompigliava le vesti dei cardinali a piazza San Pietro il giorno dei funerali
di Karol Wojtyla si
fosse tramutato in un alito malsano, un fiatone di potere che disprezza le umane
debolezze, un
soffiare di giudizi senza più cuore né misericordia.
Quello è furente perché non conta più nulla; quell'altro si sente il padrone e
non guarda in faccia
nessuno; quell'altro ancora fa il pavone ed è in grande confidenza con la moglie
di un quarto, beh,
lasciamo perdere..., ecco rispetto agli accenni e ai sospiri di sospensione,
rispetto a ciò che si legge
tra le righe, si sente da chi sa, e soprattutto si intuisce, sembra divenuto
quasi da educande l'adagio
curiale che il cardinal Marchetti Selvaggiani dispensò al giovane Andreotti: «A
pensar male si fa
peccato, ma ci si azzecca sempre». Ecco, adesso l'impressione è il male
non ci si limita a pensarlo,
ma lo dice, lo si fa scrivere e lo si spedisce, se occorre.
Così come rischia di suonare addirittura stantio il consiglio, pure piuttosto
efferato, che Gianni
Gennari si sentì rivolgere da qualche eminente prelato appena messo piede nei
sacri palazzi: «Qui
per campare bene bisogna fare il morto». Ma quale morto! Ci sono monsignori che
per le loro
cosette, tramano, telefonano, civettano, si agitano come tarantolati tirandosi
addosso brani delle
Scritture; e se gli va bene si «fregano le mani», come per ben due volte ha
scritto Boffo nella sua
lettera di dimissioni.
E sarà pure l'attacco laicista, ché quello non manca mai -
anche se non è che dall'esterno riesca tanto
a compattare le fazioni, le tribù, le cordate di potere che si fanno la guerra.
E avrà anche ragione il
cardinal Kasper secondo il quale «per i media l'armonia è noiosa». E tuttavia,
dando per scontata
una certa dissonanza, tutto lascia pensare che si tratta per lo più di spifferi
«intra-cattolici», voci «di
dentro»; e per dirla tutta fa impressione leggere che calcoli, sospetti,
bisbigli, occhi al cielo e
scotimenti di capo si sarebbero registrati addirittura dinanzi al povero corpo
di Eluana Englaro.
Ha scritto Philip Roth che la maldicenza è «quel misto di potere e di impotenza
che per alcuni
particolari soggetti rasenta il piacere sessuale». E anche qui c'è una vasta
libellistica. Ma senza
riandare al Sodalitium pianum o ai libri di Peyrefitte, che negli anni
‘70 evocò l'omosessualità di
Paolo VI; e anche tralasciando i crack finanziari, e Sindona, Calvi, Marcinkus,
il presunto
avvelenamento di Giovanni Paolo I ed Emanuela Orlandi, ecco, per restare sugli
orientamenti
sessuali e i lavoretti che comportano nel favorire o nel distruggere le carriere
si segnala che
nell'ultimo decennio la produzione di testi più o meno ad hoc si è fatta
massiva; e tra «Millenari» e
«Discepoli di verità», che sono gli pseudonimi utilizzati da prelati o gruppi di
prelati in fregola di
moralizzazione da attuarsi attraverso volumi della Kaos, grazie anche a vicende
come la strage di
guardie svizzere, a proposito di peccati della carne e «lobby di velluto» ce n'è
davvero per tutti.
Al punto da chiedersi se l'inflazione della Santa Maldicenza non trascenda ormai
le singole volontà,
e magari non abbia a che fare con il rapporto che la Santa Sede ha o non ha con
il mondo. Se per
caso il tramonto del riserbo e della prudenza non sia inesorabile perché tutto
nel frattempo si è fatto
più veloce e più aperto, gli antichi codici non reggono più, né la Curia riesce
più a trattenere i
miasmi. E sarebbe un esito anche prevedibile - così come in fondo è anche
naturale chiedere
perdono al fratello offeso, pregare un po' di più e sforzarsi di tenere la
lingua a posto.
Filippo Ceccarelli la Repubblica 5
febbraio 2010