La Roma dei
papalini e quella di Alemanno
C'è un solo vizio ideologico che riesca a essere più ridicolo e irritante del
politicamente corretto. È
il politicamente scorretto, che nella sua smania polemica, nella sua fregola
riparatoria, raggiunge
capolavori di incongruenza storica, politica e perfino logica come quello
perpetrato a Roma (anzi, ai
danni di Roma) nelle celebrazioni del 20 settembre. Come le cronache hanno
riportato, il Comune
della capitale d'Italia ha solennemente commemorato i caduti di Porta Pia. Ma
non i bersaglieri del
Regno, che aprendo quella breccia hanno fatto di Roma la capitale degli
italiani. Bensì i loro
stremati ed esitanti oppositori, i soldati papalini, che nonostante le
raccomandazioni delle stesse
autorità vaticane riuscirono, poveri cristi, a farsi ammazzare per la più
anacronistica delle cause (il
potere temporale della Chiesa, oggi rinnegato dallo stesso Papa Ratzinger) e
nella più inutile delle
battaglie, non per caso commemorata in tempi recenti dal solo Fantozzi in una
memorabile
ricostruzione che la defalca da vera e propria battaglia a una sorta di
incidente edilizio.
Da parte papista caddero diciannove uomini, della cui memoria siamo oggi
depositari tanto quanto
di quella di qualunque vittima di guerra, compresi i lanzichenecchi, i tigrotti
della Malesia, i caduti
alle Termopili o i guerrieri ittiti. Ma della cui specifica vicenda,
francamente, ci si era
inevitabilmente dimenticati, a parte il manipolo di cattolici integralisti del
gruppo "Militia Christi"
(tutto un programma) che hanno accolto estasiati, e forse suggerito, la goffa
commemorazione
papista del vicesindaco di Roma Mauro Cutrufo. Il quale ha nominato con
commozione rituale, uno
per uno, i diciannove caduti anti-italiani, in presenza di autorità militari non
si sa quanto costernate
e quanto distratte, e ovviamente dei bersaglieri, i cui caduti a Porta Pia
riposano in pace in archivi
storici evidentemente molto impolverati.
Ora, si sa che in questo Paese lo spirito nazionale è così incerto e sfocato
da essere affidato
soprattutto alle imprese sportive. Nelle quali è facilissimo individuare il
"comune sentire" in un
grido strozzato davanti alla televisione, o in un carosello serale di motorini.
Proprio per questo,
però, episodi grotteschi come quello di Roma, oltre a indurre al riso, fanno
mettere le mani nei
capelli. Che il Municipio di Roma festeggi, centotrentotto anni dopo, i
propri osteggiatori in armi, è
un mistero spiegabile solo con l'indiscriminata ostilità a tutto quanto odora di
Repubblica e, su per li
rami, di unità d'Italia, di Risorgimento, di emancipazione laica da un potere
temporale che fu il
principale ostacolo storico e politico al disegno di Cavour e Garibaldi.
Solo una destra
intrinsecamente antiliberale poteva inventarsi il rovesciamento della cerimonia
di Porta Pia. Uno
scherzo di natura (di natura reazionaria) che germina dal rimpianto, in ogni sua
forma, per l'Ancien
Régime, più in quanto ancien che in quanto régime. Ai laudatori dei Borboni, ai
rivalutatori del
brigantaggio, agli austriacanti di ritorno, si affiancano i papisti in armi
(ossimoro, ma vai a
spiegarglielo) che con un secolo e mezzo di ritardo provano a contare quante
divisioni aveva il
Papa. Ci piacerebbe dire che si tratta di eccentrici, perfino simpatici quando
collezionano soldatini
in uniforme o si impancano in "dibattiti" dalla struttura molto precaria.
Ma se questa eccentricità
diventa cerimonia ufficiale nella capitale del Paese, con tanto di bandiere e
autorità schierate, forse
significa che qualcosa di meno pittoresco, e di più sostanzialmente politico,
sta accadendo o è già
accaduto. No alla Resistenza perché "comunista", no al Risorgimento
perché borghese, massonico e
anticlericale, il tappeto della storia si riavvolge pian piano, secolo dopo
secolo. A quando la
commemorazione del Papa Re, con l'aristocrazia nera in prima fila e un signore
con la fascia
tricolore che, anche in rappresentanza nostra, commemora i mercenari caduti
contro i ghibellini?
Michele Serra la
Repubblica 22 settembre 2008