La rivoluzione di
un padre
Beppino Englaro, il papà di Eluana, sta dando forza e senso alle istituzioni
italiane e alla possibilità
che un cittadino del nostro Paese, nonostante tutto, possa ancora sperare nelle
leggi e nella giustizia.
Ciò credo debba essere evidente anche per chi non accetta di voler sospendere
uno stato vegetativo
permanente e ritiene che ogni forma di vita, anche la più inerte, debba essere
tutelata. Mi sono
chiesto perché Beppino Englaro, come qualcuno del resto gli aveva suggerito, non
avesse ritenuto
opportuno risolvere tutto "all'italiana". Molti negli ospedali sussurrano:
"Perché farne una battaglia
simbolica? La portava in Olanda e tutto si risolveva". Altri ancora
consigliavano il solito metodo
silenzioso, due carte da cento euro a un'infermiera esperta e tutto si risolveva
subito e in silenzio.
Come nel film "Le invasioni barbariche", dove un professore canadese ormai
malato terminale e in
preda a feroci dolori si raccoglie con amici e familiari in una casa su un lago
e grazie al sostegno
economico del figlio e a una brava infermiera pratica clandestinamente
l'eutanasia.
Mi chiedo perché e con quale spirito accetta tutto questo clamore. Perché non
prende esempio da
chi silenziosamente emigra alla ricerca della felicità, sempre che le proprie
finanze glielo
permettano. Alla ricerca di tecniche di fecondazione in Italia proibite o alla
ricerca di una fine
dignitosa. Con l'amara consapevolezza che oramai non si emigra dall'Italia solo
per trovare lavoro,
ma anche per nascere e per morire. Nella vicenda Englaro ritornano sotto veste
nuova quelle
formule lontane e polverose che ci ripetevano all'università durante le lezioni
di filosofia. Il
principio kantiano: "Agisci in modo che tu possa volere che la massima delle tue
azioni divenga
universale" si fa carne e sudore. E forse solo in questa circostanza
riesci a spiegarti la storia di
Socrate e capisci solo ora dopo averla ascoltata migliaia di volte perché ha
bevuto la cicuta e non è
scappato. Tutto questo ritorna attuale e risulta evidente che quel voler
restare, quella via di fuga
ignorata, anzi aborrita è molto più di una campagna a favore di una singola
morte dignitosa, è una
battaglia in difesa della vita di tutti. E per questo Beppino,
nonostante il suo dramma privato, ha
dovuto subire l'accusa di essere un padre che vuole togliere acqua e cibo alla
propria figlia, contro
coloro che dileggiano la Suprema Corte e contro chi minaccia sanzioni e
ritorsioni per le Regioni
che accettino di accogliere la sua causa, nel pieno rispetto di una sentenza
della Corte di cassazione.
L'unica risposta che ho trovato a questa domanda, la più plausibile, è che
la lotta quotidiana di
Beppino Englaro non sia solo per Eluana, sua figlia, ma anche e soprattutto in
difesa del Diritto,
perché è chiaro che la vita del Diritto è diritto alla vita. Beppino Englaro con
la sua battaglia sta
aprendo una nuova strada, sta dimostrando che in Italia si può e si deve restare
utilizzando gli
strumenti che la democrazia mette a disposizione. In Italia non esiste nulla di
più rivoluzionario
della certezza del Diritto. E mi viene in mente che tutelare la certezza dei
diritti, la certezza dei
crediti, costituirebbe la stangata definitiva all'economia criminale. Se
fosse possibile, nella mia
terra, rivolgersi a un tribunale per veder riconosciuto, in un tempo congruo, la
fondatezza del
proprio diritto, non si avvertirebbe certo il bisogno di ricorrere a soluzioni
altre. Beppino questo sta
dimostrando al Paese. Non sarebbe necessario ricorrere al potere di dissuasione
delle organizzazioni
criminali, che al Sud hanno il monopolio, illegale, nel fruttuoso business del
recupero crediti. E a
lui il merito di aver insegnato a questo Paese che è ancora possibile rivolgersi
alle istituzioni e alla
magistratura per vedere affermati i propri diritti in un momento di profonda e
tangibile sfiducia. E
nonostante tutte le traversie burocratiche, è lì a dimostrare che nel diritto
deve esistere la possibilità
di trovare una soluzione.
Per una volta in Italia la coscienza e il diritto non emigrano. Per una volta
non si va via per ottenere
qualcosa, o soltanto per chiederla. Per una volta non si cerca altrove di essere
ascoltati, qualsiasi
cittadino italiano, comunque la pensi non può non considerare Beppino Englaro un
uomo che sta
restituendo al nostro Paese quella dignità che spesso noi stessi gli togliamo.
Immagino che Beppino
Englaro, guardando la sua Eluana, sappia che il dolore di sua figlia è il dolore
di ogni singolo
individuo che lotta per l'affermazione dei propri diritti. Se avesse agito in
silenzio, trovando
scorciatoie a lui sarebbe rimasto forse solo il suo dolore. Rivolgendosi al
diritto, combattendo
all'interno delle istituzioni e con le istituzioni, chiedendo che la sentenza
della Suprema Corte sia
rispettata, ha fatto sì, invece, che il dolore per una figlia in coma da 17
anni, smettesse di essere un
dolore privato e diventasse anche il mio, il nostro, dolore. Ha fatto riscoprire
una delle meraviglie
dimenticate del principio democratico, l'empatia. Quando il dolore di uno è il
dolore di tutti. E così
il diritto di uno diviene il diritto di tutti.
Roberto Saviano la Repubblica
23 gennaio 2009