La proposta della Gelmini tendente ad eliminare anche il nome della Resistenza- resta solo un più generico "percorso verso l'Italia repubblicana"- dai libri di testo è più che una provocazione, o una boutade. È il perfezionamento di un progetto di egemonia culturale portato avanti da un berlusconismo che, ben lungi dall'essere quella macchietta che troppo spesso abbiamo dipinto, si è rivelato una vera costruzione ideologica, portatrice di valori diversi ed alternativi rispetto a quelli in cui è cresciuta la Repubblica nel dopoguerra. La pochezza di personaggi come l'attuale ministro non deve trarci in inganno. La cancellazione della Resistenza è stata portata avanti nei fatti, prima ancora che nei libri di testo. L'assenza sistematica del premier da tutte le cerimonie non solo del 25 aprile, ma da qualunque cosa sapesse di Resistenza, è stata una goccia che ha scavato un solco, che rischia di diventare una voragine, distruggendo la memoria storica di un paese, la sua identità. Troppo spesso il berlusconismo è stato scambiato per folklore. Ne abbiamo sottovalutato le conseguenze.
Oggi la Gelmini può permettersi gesti di questo tipo senza che vi sia ancora una reazione forte e generalizzata di protesta. Non si tratta di difendere le cerimonie rituali e spesso stanche, che pure sono un mezzo per la conservazione della memoria. Si tratta di lanciare una grande campagna culturale nel paese, riprendendo il tema della Resistenza come identità di una nazione. Oggi paghiamo le concessioni ideologiche, prima ancora che culturali, ad un indistinto buonismo che accomunava i morti di tutte le parti, i "ragazzi di Salò" ai partigiani. Un equivoco storico alimentato anche a sinistra, pensiamo ai recenti film di smaccato revisionismo, senza giustificazioni che non fossero un basso politicismo, che in nome di tattiche di corto respiro sacrificava principi ed ideali. Rilanciare i valori della Resistenza vuol dire oggi riprendere una lunga marcia nel cuore delle giovani generazioni, in primo luogo per far conoscere loro quelle radici.
È questo il primo dato drammatico: i ragazzi, oggi,
nella loro grande maggioranza, rischiano di vivere sempre più in un presente
vuoto di storia e di futuro.
E la diffusione dei disvalori berlusconiani ha seminato il diserbante delle
ideologie, sollecitato il rifugio negli egoismi rassicuranti delle identità
minime, il locale e le appartenenze di gruppo.
La battaglia cui dobbiamo impegnarci non è solo quella dei libri di testo, da
cui la Resistenza non può e non deve essere espulsa, come in una sorta di "damnatio
memoriae". È una battaglia culturale che non si può esaurire nel breve
periodo. C'è bisogno di far vivere i valori di quella stagione, in un paese che
non cessa di mandare segnali in questo senso.
La voglia di pulizia e di cambiamento, la sete di moralità e di giustizia,
sempre liquidate con la sprezzante definizione di giustizialismo, sono la
testimonianza che quei valori esistono ancora, quelle radici non sono state
recise. Dovremo innaffiarle e curarle con l'amore per la storia, per la
cultura, per il bello. Con il rilancio della Resistenza come epopea di
un popolo alla ricerca di libertà e giustizia, riproponendo perfino i modelli di
vita di quella generazione, i padri della patria con la loro sobrietà del vivere
la politica, con lo spirito di servizio che caratterizzava il loro impegno, con
l'inflessibilità sui grandi principi. La grandezza della Resistenza non può
essere messa in discussione dalla pochezza di questi figuri. Ma a noi
tocca l'impegno di impedire che ci provino comunque.
Alba Sasso Aprile online 1/4/2010