LA RESISTENZA NON E’ SCONFITTA

 

Alcuni recensori del mio ultimo libro  Le mie montagne hanno scritto che è «malinconico» per­ché è il libro di uno sconfitto dalla storia. Il mondo risorgimentale in cui sono nato e sono vis­suto non c'è più, la clas­se operaia non è andata in paradiso ma nelle co­de delle autostrade e nelle pensioncine di Ri­mini e Riccione, gli ita­liani sono a maggioranza qualunquisti, al punto di sembrare nostalgici del peggior fascismo.

L'Italia dei valori è un partitino di un giudice ambizioso, ai valori civili non pensa più nessuno, Giustizia e Libertà è un circolo cultu­rale, la politica naviga in acque fetide, la lotta di classe è finita nel precariato dei call center, non si è salvata neppure la storia, non si sono salvati neppu­re i cippi e le lapidi della guerra partigiana.

Chi è più vinto di uno che ha creduto che la Resistenza fosse l'ultima guerra risorgimentale e ora deve debol­mente difenderla dal revisionismo ignorante e falsario? Chi è più sconfitto di chi sta in un Paese che ripu­dia la sua storia e la riscrive in modi diffamatori?

Un Paese in cui, si direbbe, l'unico valore è il profitto à tout prix, neppure giustificato dal merito personale, della ricchezza premio divino. Un Paese che, anche nei suoi delitti, mo­stra un incanaglimento efferato, giudici che collaborano con le mafie, insegnanti che corrompono i loro allievi, madri che vendono i loro figli. E il compiacimento con cui i me­dia raccolgono ed espongono tutte le sozzu­re senza che nessuno più tema il dio che Sodoma e Gomorra.

Eppure qualcosa ricorda agli sconfitti e ai superati che la partita non è persa, che la memoria è più vera del presen­te, che la guerra perenne, l'affarismo perenne, la corruzione universale non sono un modo di vivere accettabile. O, più semplicemente, fuori da ogni ideo­logia, che per molti c'è la impossibilità fisica di vivere nel pantano.

In fondo, la possibilità di chiuderci in noi stessi, di evitare le complicità e i patteggia­menti esiste, ogni uomo se vuole è una fortezza inespugnabile. E può riscoprire la serietà, la drammaticità della vita, e rifiutare questa cultura del ridere sem­pre e comunque anche delle idiozie, an­che delle volgarità.

Davvero malinconici? Davvero sconfitti? O decisi a salvare il meglio che c'è nella vita? Per noi e per i figli.

 

Giorgo Bocca     Venerdi di Repubblica 24/11/2006