La religione della tecnica
«È la direzione di marcia dell’intero Occidente Vincerà tutte le resistenze e prometterà la felicità»
Se ogni fine d’anno è occasione di bilanci e previsioni non estemporanee, se si vuole riflettere su quel che resta e quel che sarà, occorre rivolgersi a un filosofo. A Emanuele Severino, uno dei maggiori esponenti della teoresi contemporanea, a colui che Massimo Cacciari definisce un gigante, l’unico che nel Novecento si possa contrapporre a Heidegger. Già professore di Filosofia teoretica all’Università di Venezia, insegna Ontologia fondamentale presso l’Università «Vita-Salute San Raffaele» di Milano. Professore, come è stato l’anno che si è concluso per la cultura italiana? «Io posso parlare della cultura filosofica, ma credo che il discorso valga in generale. L’Italia non ha niente da invidiare in quanto a elaborazione intellettuale agli altri paesi. In concreto, si può dire che la cultura dell’anno trascorso non ha fatto che confermare le tendenze di fondo del nostro tempo». Quali sono queste tendenze? «Direi che nonostante che si parli di un ritorno del sacro, e ci siano anche episodi concreti che dimostrano un rinnovato interesse per le religioni, la tendenza generale è il distacco sempre più rapido dalle grandi tradizioni del passato dell’Occidente. E anche dell’Oriente, come dimostra la veloce trasformazione, ad esempio, della società cinese. La secolarizzazione procede implacabile, nonostante qualche resistenza e nonostante che ci sembri vero il contrario». La secolarizzazione è quindi un destino? «Sì, un destino inscritto tutto nella nostra filosofia. La filosofia non è addomesticabile. Essa si sviluppa come ragione critica, fa a meno di ogni pregiudizio o presupposto, e tratta con violenza e prepotenza i suoi oggetti: di fronte alla sua forza, il sacro prima o poi soccomberà definitivamente. Tentativi nobilissimi di resistenza, come quelli messi in atto dalla Chiesa cattolica e in particolare dall’odierno pontefice, non possono che avere un valore di testimonianza». A proposito del Papa, il 2007 è stato l’anno dell’enciclica sulla speranza. «Il Papa fa il suo mestiere e non può che esortare alla speranza cristiana, alla speranza della fede: la fede è la sostanza delle cose sperate, diceva già san Paolo. Ma le masse da tempo non seguono più il Papa. La speranza delle masse fino a poco tempo fa era riposta nelle ideologie atee, a cominciare dal comunismo. Oggi, sgombrato il campo da quest’ultimo ostacolo, essa è riposta esclusivamente nella tecnica. È la tecnica, non la fede, che smuove le montagne. Alla fine, quando vincerà ogni resistenza, la tecnica rimarrà sola a dominare il campo, a distillare la sua felicità. L’anno che verrà non potrà che rappresentare un’ulteriore tappa lungo questo cammino». È una apologia della tecnica la sua? «No, per carità. Io indico solamente la direzione di marcia dell’Occidente: la destinazione della tecnica al dominio è un dato di fatto in relazione a come l’Occidente si è definito». Ritorniamo un attimo ai rapporti della Chiesa con il nostro mondo. Continuerà anche l’anno prossimo l’ingerenza ecclesiastica negli affari dello Stato? E in molti riterranno ancora che sia necessario riaffermare con forza le ragioni del laicismo? «Il laicismo continuerà a far sentire la sua voce, ma è un laicismo debole quello che oggi si fa ascoltare. Si limita a osservare che il nostro mondo si è allontanato da Dio, ma non si mostra minimamente all’altezza delle profonde ragioni di questo distacco. Sta seduto sui risultati della gigantomachia che ha visto impegnata la filosofia negli ultimi secoli e oppone semplicemente la fede nella ragione alla fede nella fede. Due fedi contrapposte, ma ugualmente irrazionali. La battaglia della Chiesa in difesa della struttura dell’uomo, da questo punto di vista, è almeno grandiosa: è il titanico tentativo di resistenza di un Dio che è morto, distrutto dalla ragione. I temi della famiglia, della manipolazione genetica o dell’eutanasia continueranno ad essere perciò in prima pagina». Quale laicismo sarebbe necessario? «Qui andiamo sul difficile. Ma possiamo dire che la filosofia più radicale, cioè più conseguente, ha dimostrato che se il Dio del monoteismo esistesse, non potrebbe esistere il mondo. È questa filosofia che attraverso la tecnica presto trionferà. La tecnica guida la partita e la tecnica è per sua natura filosofica». Nessuna speranza che le cose vadano altrimenti? «No, perché in verità la tecnica non trionferà ma ha già da tempo trionfato: ha vinto nel momento in cui è nato l’Occidente, la sua idea di verità. Il futuro è pregno del passato. Il destino è già avvenuto e Dio è morto nel preciso momento in cui è stato concepito: Dio non può assolutamente esistere all’interno della nostra idea di vedere le cose come continuamente divenienti altro da sé, nascenti e morenti». In ambito politico non si tratta di scoprire una crisi oltre le apparenze: che la politica sia in crisi ovunque è a tutti evidente. Essa si confonde sempre più con lo spettacolo, come dimostrano le vicende francesi recenti o la situazione di perenne litigiosità a cui è ridotto il dibattito politico italiano. «Se si trattasse solo di una volgarità diffusa, di rozzezza e maleducazione, il problema non sarebbe tutto sommato rilevante. Il fatto è che si mostra in crisi, non solo in Italia, la politica come arte di porre limiti. E questa crisi non si arresterà il prossimo anno, nonostante la buona volontà dei singoli. La politica è nata nella Grecia classica e si è voluta legare da subito alla filosofia. Ne consegue che se il processo di distruzione dei limiti, cioè di ogni presupposto, è la tendenza della ragione resasi manifesta nel nostro tempo, una politica intesa come arte di porre i limiti non ha più senso. Venendo al concreto, credo che nell’anno a venire si intensificherà la lotta in atto fra il Nord e il Sud del mondo, fra paesi ricchi e paesi poveri, che è la cifra del nostro tempo. Quando questa lotta si esaurirà, quando la globalizzazione avrà raggiunto il suo scopo, si instaurerà il paradiso della tecnica. Solo allora ci si renderà conto che questo paradiso è in realtà un inferno. E solo allora si avrà consapevolezza della ”follia” dell’Occidente su cui si regge tutto». C’è un libro del 2007 che consiglia di portare nel prossimo anno, da mettere sul tavolino e da tenere sempre presente? «Tutta la grande cultura dell’Occidente va sempre tenuta presente. È da essa che si capisce fino in fondo perché la tecnica vince: essa risolve i problemi che l’Occidente, nella sua follia, si è sempre posto e che la cultura ha riflesso ad un livello alto. Detto questo, non mi sottraggo alla domanda e dico che ci sono tre autori che hanno portato all’estrema coerenza la follia di fondo del nostro mondo esprimendola in modo radicale: sono Giacomo Leopardi, Friedrich Wilhelm Nietzsche e Giovanni Gentile. Dobbiamo sempre averli presenti, meditare sulle loro opere, per capire il passato, il presente e il futuro».
Corrado Ocone Il Mattino 29.12.07