La politica
gregaria
Fermiamoci un momento a ragionare, se possibile, sull´azione del governo nei
confronti di Eluana
Englaro. La ragazza è dentro una stanza a cui guarda tutta l´Italia, con i dubbi
profondi e la
trepidazione che questa tragedia provoca in ogni persona non accecata
dall´ideologia, e con lei c´è il
padre che non chiede affatto silenzio, ma anzi sollecita una discussione
pubblica, accompagnata dal
rispetto per quella particolare vicissitudine: come quando in ospedale si tira
una tenda intorno alle
ultime ore di un malato morente. In quella stanza, dopo rifiuti e ricatti,
Beppino Englaro chiede allo
Stato di poter porre fine ad un´esistenza vegetativa, dopo che per 17 anni si è
registrata una
situazione irreversibile. Lo fa in nome di una convinzione di sua figlia, di una
sentenza della Corte
d´Appello di Milano e della Cassazione, e soprattutto lo fa in nome dell´amore e
del dolore che lui
più di ogni altro prova per Eluana.
Fuori, passando definitivamente dalla testimonianza dei valori cristiani alla
militanza, la Chiesa
muove fedeli e obiettori, proteste contro l´ "omicidio" e l´ "assassinio",
invocazioni ad Eluana
perché si "risvegli", come se questa non fosse purtroppo una superstizione, e
come se la scienza che
dice il contrario fosse falsa, anzi complice, dunque colpevole. Questo
governo pagano, figlio di una
cultura che ha paganizzato l´Italia, è diviso dalla religione dei sondaggi (i
quali danno ragione alla
scelta del padre di Eluana che vuole infine liberare il corpo di sua figlia da
questo simulacro di vita)
e il richiamo della Chiesa, che con quel corpo totemico vuole ribadire non solo
i suoi valori eterni,
ma anche il suo controllo della vita e della morte. La strada più
semplice per l´esecutivo è la più
vile, quella dei provvedimenti amministrativi, cioè di un diktat camuffato. Si
minacciano ispezioni
alla clinica, si chiedono informazioni ufficiali, si cavilla sulla convenzione
tra la Regione e la casa
di cura, immiserendo la grandezza della tragedia, che impone a tutti il dovere
di essere chiamata col
suo nome, e di essere affrontata con la responsabilità conseguente, nel discorso
pubblico dove la
famiglia Englaro l´ha voluta portare: probabilmente per rendere quella morte non
inutile agli altri,
meno priva di significato.
Quando la pressione aumenta, nella sera di mercoledì, il governo pensa ad un
decreto. Uno
strumento legislativo di assoluta necessità ed urgenza, che in questo caso
sarebbero determinate da
un caso specifico, da una singola persona. E soprattutto, contro una sentenza
della magistratura
passata in giudicato. Tutto ciò si verificherebbe per la prima volta nella
storia della Repubblica, con
un´anomalia che configurerebbe una vera e propria rottura dell´ordinamento
costituzionale.
Vediamo perché.
La sentenza della Cassazione non impone la fine della vita di Eluana Englaro:
stabilisce che si può
procedere con "l´interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale
realizzato mediante
alimentazione di sondino nasogastrico". Questo atto di interruzione chiesto da
un padre-tutore per
una figlia in stato vegetativo permanente dal 1992, per la giustizia italiana
non rappresenta dunque
un omicidio ma l´esecuzione di un diritto previsto dall´articolo 32 della
Costituzione, il diritto a
rifiutare le cure.
Con questa pronuncia, la Cassazione afferma con chiarezza che l´alimentazione
forzata artificiale è
un "trattamento sanitario", secondo la formula della Costituzione: mentre il
decreto in un unico
articolo che il governo ha pensato di varare nega proprio questo principio, e
dunque non consente di
seguire l´articolo 32, vincolando quindi il malato a quell´alimentazione
artificiale per sempre. Per
aggirare la Costituzione, si cambia il nome e la natura ad un trattamento
praticato nelle cliniche e
negli ospedali, lo si riporta dentro l´ambito del cosiddetto "diritto naturale",
fuori dalla tutela dei
diritti costituzionali.
Ma in questo modo, attraverso il decreto, saremmo davanti ad un aperto conflitto
tra due opposte
pronunce non solo sulla medesima materia, ma sullo stesso caso: una sentenza
della magistratura e
un provvedimento d´urgenza del governo con vigore immediato di legge. Solo che
nel nostro
ordinamento il legislatore può cambiare il diritto finché una sentenza non
diventa irrevocabile, cioè
non più impugnabile, vale a dire passata in giudicato. Non siamo dunque
soltanto davanti ad un
conflitto: ma al problema dell´ultima parola in democrazia, al principio
dell´intangibilità del
giudicato, alla regola stessa della separazione dei poteri. Senza quel principio
e questa regola, una
qualunque maggioranza parlamentare a cui non piace una sentenza "definitiva" la
travolge con una
nuova legge, modificando il giudicato, intervenendo come supremo grado di
giudizio, improprio,
dopo la Cassazione.
Naturalmente il Parlamento è sovrano nel potere di legiferare su qualsiasi
materia, cambiando
qualsiasi legge, qualunque sia stato il giudizio in merito della magistratura.
Ma questo vale per il
futuro, non per i casi in corso, anzi per un singolo caso, per un solo
cittadino, e proprio per
vanificare una sentenza. Si tratterebbe di un decreto contro una sentenza,
definitiva: e mentre la si
attua. Nemmeno nell´era di Berlusconi, dove si è cambiato nome ai reati, e
si è creata un´immunità
speciale del Premier, si era giunti fino a questo punto, che rende il
legislatore giudice di ultima
istanza - quando lo ritiene - e viola l´autonomia della funzione giudiziaria.
Per queste ragioni di patente incostituzionalità è molto probabile che il capo
dello Stato abbia
frenato ieri sia la necessità che l´urgenza del governo, invitandolo a
riflettere. La falsa
rappresentazione che vuole la destra capace di parlare della vita e della morte,
e gli altri, i laici,
prigionieri dei diritti e del diritto, si rovescia in questo cavillare
anticostituzionale del
berlusconismo gregario, che riprenderà da oggi la strada della viltà
amministrativa, usando qualsiasi
invenzione strumentale per bloccare la volontà del padre-tutore di Eluana.
Se il decreto salta, si salva il principio dell´autonomia tra i poteri dello
Stato. Resta da chiarire,
purtroppo, la capacità di autonomia della politica italiana, del suo governo,
del Parlamento e di
questa destra davanti alle pretese della Chiesa. Che ha tutto il diritto
di dispiegare la sua
predicazione e di affermare i suoi valori, ma non di affermare una sorta di idea
politica della
religione cristiana, trasformando il cattolicesimo italiano da religione delle
persone a religione
civile, con forza di legge.
Ezio Mauro la Repubblica 6 febbraio 2009