La politica
dell'intimità
Non son pochi, in Italia, gli esasperati di quel che sta avvenendo nel Paese:
fuori casa l’attenzione delle democrazie si concentra
sulla crisi economica, sui meno protetti che ne patiranno, su governi che per
decenni hanno omesso di vigilare, sui rapporti di forza
che mutano nel mondo, mentre da noi i giornali si riempiono di storie laide che
hanno il premier come protagonista e i suoi patemi,
i suoi impulsi, le sue libertine sregolatezze come trama. Si vorrebbe parlare
d’altro, ma quest’altro è introvabile.
L’altro è il bene pubblico, è lo spazio dove il cittadino scopre il mondo
esterno e vi si adatta, ma precisamente questo spazio si è
liquefatto. Il casalingo soverchia ogni cosa, il privato inghiotte il
pubblico, perfino il tempo è deformato. Si vorrebbe avere un’idea
del nostro oggi, si vorrebbe pensare il domani, ma un solo presente e un solo
futuro occupano la scena: il presente e il futuro del
leader, il destino della sua personalità, della sua dimora privata, delle sue
donne, del suo corpo, delle sue emozioni. È come se
vivessimo in pantofole, senza mai infilare le scarpe per uscire all’aperto. Il
leader politico è il primo a vivere nel chiuso, dando
l’esempio: quel che conta è la sua vestaglia, la sua toilette, la sua camera da
letto. È da quasi un ventennio che l’Italia è ammaliata
da questo modello casalingo, edificato sulla negazione dello spazio pubblico e
delle sue istituzioni. Chi ha forgiato tale modello è
irritato, perché il golem che ha fabbricato si scaglia ora contro di lui:
rivelando com’è avvenuta la messa a morte della cultura
pubblica, denunciando un regime che ha strappato la tenda divisoria tra privato
e pubblico.
Questa tenda, non sono i giornali che l’hanno strappata ma il
presidente del Consiglio. Il mondo che per decenni ha voluto,
trasformato in show, è un mondo dove scompare il corpo durevole della
regalità - il corpo mistico che secondo Kantorowicz incarna
le istituzioni che non muoiono - e non resta che il corpo del re deperibile,
sublimato in un presente eterno. Nasce il tal modo la
politica del corpo, il fotoromanzo che eroicizza il capo: Marco Belpoliti ha
scritto su questo un libro importante, Il corpo del Capo
(Guanda 2009). I giornali non possono ignorare la forma che il potere
ha assunto in Italia, perché la forma s’è fatta sostanza.
Se l’attore premia sull’azione, se la personalità è tutto, la sostanza della
politica cambia. Berlusconi agisce, ma le emozioni messe in
scena occultano l’agire oppure lo simulano se non c’è. Il consenso stesso
non si forma attorno alle politiche, ma alla personalità.
Tanto più essenziale è indagare la forma di simile dominio, svelandone le non
più segrete pornografie.
È un potere che, mettendo il privato in cima a tutto, punta a saccheggiare
e abolire la cultura pubblica. La strategia è moderna, se
non rivoluzionaria. Più volte, negli ultimi due secoli, le avanguardie
si sono ribellate alla separazione tra privato e pubblico, tra
personalità e azione, in nome dell’anticonformismo e dell’originalità. Il
romanticismo esaltò la soggettività radicale, in polemica con
il primato che la cultura classica dava all’opera. Nella seconda metà del ’900
il modernismo architettonico progetta quartieri
residenziali senza più piazze dove s’incontra il diverso, e uffici open space
dove le pareti divisorie diventano trasparenti. La tirannide
dell’intimità descritta da Richard Sennett nel 1974 comincia così: con la
politica personalizzata, con la comunità casalinga o clanica
opposta alla società, alla res publica. L’intimità è tirannica perché i muri
trasparenti separano anziché unire: per sfuggire allo
sguardo che ti spia, non resta che il silenzio. Nell’open space «siamo tutti
visibili e isolati» (Sennett, Il declino dell’uomo pubblico,
Bruno Mondadori 2006). Di questa cultura Berlusconi è artefice,
utilizzatore finale, e infine vittima.
Si potrebbe anche parlare d’altro: di cose serie. Ma è
difficile, quando il governo che oggi invoca la sacralità del bene pubblico è
guidato da chi ha fatto saltare ogni barriera tra pubblico e privato. Berlusconi
vorrebbe ora riagguantare il corpo mistico del re, ma
non può farlo senza ricorrere al vocabolario con cui l’ha distrutto. Non può
parlare di crisi economica, visto che s’ostina a annegarla
nell’esaltazione ottimistica del carattere e a rifiutare ogni cifra veritiera.
Nelle Considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia,
Mario Draghi aveva parlato di 1,6 milioni di lavoratori che perdendo il lavoro
resterebbero senza sostegno. Berlusconi ha replicato:
«I dati sono falsi». Difficile parlare della sostanza, quando essa è nulla e
l’illusionista tutto.
Quando scoppiano le crisi la tirannide dell’intimità vacilla, è inevitabile. È a
questo punto che il leader torna al carisma che lo portò
inizialmente al potere. Fu una sua forza, negli Anni 90, sedurre con lo
spettacolo della personalità e lo svuotamento dello spazio
pubblico: il suo carisma è sempre quello e non smette di apparire
anticonformista, a molti. È il carisma del politico deciso a
mimetizzarsi con il piccolo uomo che si fa da solo una carriera, che fatica a
esser cittadino; che si sente minacciato da poteri forti,
impersonali. Sennett dice che il leader carismatico di questo tipo,
modernamente svincolato dalla religione, diventa un «impresario
del risentimento» e dell’invidia sociale. La lettera che Deborah Bergamini - ex
segretaria di Berlusconi, ex dirigente Rai, oggi
deputata Pdl - ha scritto il 18 giugno sul Corriere della Sera è significativa.
Il leader del Pdl è eguagliato a Catilina: un aureo
parvenu, un piccolo uomo che sogna di esser grande ed è umiliato da
magistrati e establishment: «Gli optimates che armarono le
azioni di Cicerone erano i rappresentanti di una classe senatoriale gelosa
custode di privilegi politici ed economici; gli optimates che
violentano le regole di oggi sono potentati senza patria, politici mediocri e
polverosi intellettuali. Il potere non accetta gli imprevisti
e spesso i grandi riformatori si presentano all’appuntamento senza bussare.
Questo li rende inaccettabili».
La politica del corpo è essenziale per i moderni Catilina, perché consente di
rovesciare la favola di Andersen. Non è l’imperatore a
trovarsi nudo, ma il cittadino che a forza di imitarlo perde il senso della
società ed è gettato nella solitudine. Scrive Belpoliti: «Siamo
noi ad apparire nudi, non l’imperatore \, il re è nudo, ma ci convince che siamo
noi a non avere i vestiti. Un capolavoro di
rovesciamento dello sguardo. Questo è il glamour».
In realtà Berlusconi è stato sempre l’imperatore nudo. Sulla nudità ha costruito
la propria ascesa. È in continuo strip-tease
psicologico, come scrive Sennett dell’uomo pubblico in declino. Il problema non
è più lui, né il suo show: anche se imbalsamato nel
presente, lo spettacolo per sua natura finisce. Il problema siamo noi,
cittadini spogliati di cittadinanza. È la destra, che dovrà uscire
un giorno dall’ubriacatura di molti anni. Le soubrette, le escort che ottengono
seggi parlamentari o dicasteri. Un ministro, Michela
Brambilla, che fa il saluto romano e resta ministro. La corruzione
impunita. Tutto questo è forma che imprigiona l’Italia e che incide
sulla sostanza. Il consenso basato sul risentimento e sulla preminenza del
privato è uno dei più formidabili ostacoli alle riforme. Lo
spazio pubblico cancellato rinvia l’ora delle responsabilità nell’animo dei
cittadini. Un ricominciamento è necessario, a sinistra ma
soprattutto a destra visto che è quest’ultima ad avere la maggioranza. Fini
dice: «È a rischio la fiducia dei cittadini nelle istituzioni».
In realtà non è a rischio. La sfiducia c’è già, il capo della destra non ha mai
cessato di nutrirla e ancora se ne nutre.
Barbara Spinelli La Stampa
23/6/2009