La
piazza e il buio
L’opposizione deve scendere in piazza. Sottoscrivo l’intenzione, meglio ancora,
la necessità di farlo al più presto. Per quel che possa servire, garantisco che
personalmente ci sarò, al punto da avere già perfino preparato la bandiera.
Rossa, pateticamente rossa. Ma che dico?, se è vero che sia giusto credere ai
propri sogni, alle proprie idee, perfino le più utopiche, la mia bandiera sarà
rossa e nera, sarà la bandiera dei libertari, degli “anarchici” che non credono
al principio della delega. Non è però ancora tutto, porterò con me anche un
verso di Bertolt Brecht, un verso problematico e destinato ai momenti peggiori
della lotta e magari perfino della vita medesima, lo stesso che un’amica mi ha
appena regalato, convinta così di farmi conforto, via sms, un verso che dice
esattamente: «Noi attraversammo, cambiando Paesi più spesso delle scarpe, le
guerre di classe, disperati quando c’è solo ingiustizia e nessuna rivolta».
L’opposizione deve scendere in piazza, parole sempre più sante, ma che
andrebbero accompagnate da una consapevolezza non meno problematica delle parole
del poeta, e cioè che, nonostante il deficit di democrazia, non sembrano questi
tempi di rivolta, come dire?, morale, naturale, necessaria. Nonostante tutto,
nonostante lo scempio di un governo che, temo, risulti assai credibile nel suo
ricorso alla cultura (ahimé, diffusa) dell’illegalità, del tornaconto personale,
dell’arbitrio, dell’arroganza, del farsi prosaicamente i c... propri.
L’opposizione, cioè i cittadini che hanno a cuore l’idea del bene comune e dei
diritti appunto di cittadinanza, sì, che devono scendere in piazza, ma nello
stesso temo che ciò che oggi prevale sia una sensazione di solitudine “civile”.
Nel senso che la cultura che ha riportato al governo Berlusconi si configura
come un patrimonio molto più diffuso di quanto non sembri all’apparenza. C’è un
vecchio adagio sempre valido, sempre buono, sempre verde che accenna all’assenza
di una borghesia in questo nostro Paese, una borghesia che, se fosse tale,
dovrebbe insorgere in prima persona contro lo scempio dello stato di diritto,
così come dinanzi a certe forme di palese arroganza che appaiono sempre più
vistose, se non sbandierate come doverose. L’opposizione deve quindi scendere in
piazza tenendo a mente che viviamo tempi bui, nei quali certo sentire proprio
della semplificazione autoritaria, vecchio vizio nazionale, ha fatto breccia,
risulta assai più convincente d’ogni appello alla democrazia, alla legalità,
allo stato di diritto, alla separazione dei poteri, in assenza di questo barlume
di consapevolezza sorge naturale il dubbio che le parole che Leonardo Sciascia
riferì ai siciliani possano essere ormai estese all’intero corpo geografico
della nazione, e cioè che gli italiani «non credono alla idee», nutrono seri
dubbi che le idee possano mutare lo stato delle cose, incidere concretamente
sull’esistente, possano migliorare la vita.
L’opposizione deve scendere in piazza sapendo che, per quanto la cosa possa
risultare desolante, le parole, perfino le più improbabili, pronunciate da
Silvio Berlusconi e dai suoi alleati brillano come credibili, così come risulta
addirittura istituzionalmente attendibile il volto di uno Schifani, così come
quello di un Ghedini. L’opposizione deve scendere in piazza tenendo a mente che
ciò che ad altri risulta facile, nel suo caso deve essere frutto di fatica e di
una lunga opera di convincimento perché non sempre hanno torto coloro che hanno
fatto proprio una sorta di pessimismo sulla natura dei nostri vicini di casa che
barano perfino sui millesimi durante le riunioni condominiali, l’opposizione
deve scendere in piazza tenendo presente che l’arrivo del caldo estivo, perfino
l’afa che toglie il respiro, è fra i migliori alleati del governo. L’opposizione
deve scendere in piazza tenendo a mente che peggio di così non si può, e non si
intuisce neppure un refolo di vento all’orizzonte.
f.abbate@tiscali.it
Fulvio Abbate l’Unità 25.6.08