La Pasqua politica
Il giorno di Pasqua del 2008 resterà memorabile per una svolta della Chiesa cattolica sotto la guida
di Papa Ratzinger. Una terminologia politica sarebbe forse più adatta di quella religiosa per definire
la svolta di cui stiamo parlando. Accostare fatti diversi avvenuti nello stesso giorno, e tutti legati al
capo della Chiesa di Roma, servirà a far capire di che cosa stiamo parlando. Prima, ma solo il
giorno prima di Pasqua, viene il discorso d'addio di Mon. Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme,
dunque inviato e rappresentante del Papa, in Medio Oriente, già militante di Al Fatah e amico
personale di Arafat, da sempre nemico di Israele.
Vescovo o non vescovo, è naturale che Sabbah sia legato prima di tutto alla sua parte. Ma
nell'occasione esclusivamente religiosa del suo addio al patriarcato, ha avuto questo da dire ai suoi
fedeli palestinesi, divisi nella violenza, nella repressione e nel sangue fra la fazione Hamas di Gaza
e ciò che resta di Al Fatah intorno ad Abu Mazen in Ramallah. Ha detto: «Il Medio Oriente ha
bisogno di uomini di pace. Israele non ne ha. Da Israele non può venire la pace».
Sarebbe facile interpretare queste parole incaute e potenzialmente dannose (un implicito invito a
continuare il conflitto) se l'evento restasse chiuso nella cornice stretta della esasperazione di un
palestinese. Ma Mons. Sabbah rappresenta tutta la Chiesa, e non c'è stato alcun cenno di correzione.
Al contrario. Il giorno dopo gli fa eco il capo della Chiesa cattolica. Nella benedizione pasquale
invoca (nell'ordine) Iraq, Darfur, Libano, Medio Oriente, Terra Santa.
Come nelle carte geografiche arabe, il nome di Israele non compare, caduto nella fenditura fra
Medio Oriente (che definisce l'intera area del conflitto) e Terra Santa, che è il nome della presenza
cristiana in alcuni luoghi e territori del Medio Oriente, molti dentro i confini dello stato di Israele,
proclamato dalle Nazioni Unite nel 1948.
Si sa che Joseph Ratzinger è uomo attento ai dettagli e - da buon docente di teologia - meticoloso
nelle definizioni. Se Israele non viene nominato vuol dire che non esiste, secondo le regole vigorose
di una tradizione di insegnamento che - ormai lo abbiamo imparato - calcola e soppesa ogni
frammento di evento e di parola.
Ma le decisioni politiche espresse in modo chiaro, addirittura drammatico, nel giorno della Pasqua
cristiana non si fermano qui. Accade che un notissimo giornalista e scrittore di origine egiziana e di
religione islamica, Magdi Allam, abbia deciso di convertirsi, di diventare cattolico.
A tanti secoli di distanza dai tempi in cui la conversione di un imperatore doveva essere solenne e
pubblica perché significava la conversione di un intero popolo, chiunque avrebbe pensato che la
luce della fede secondo il Vangelo avrebbe raggiunto uno scrittore-giornalista nell'intimo della sua
vita privata. Invece è accaduto qualcosa di sorprendente e di stravagante: Magdi Allam si è
convertito in mondovisione. Il suo battesimo è stato somministrato personalmente dal Papa.
Il Papa - lo abbiamo detto e lo ricordiamo - è allo stesso tempo il capo di una grande religione e di
un piccolo potentissimo Stato. Le conseguenze di ogni gesto, in entrambi i ruoli, hanno, come tutti
sanno, un peso molto grande. E' un peso che cade due volte sulla delicata e instabile condizione
internazionale. In un primo senso una delle tre grandi religioni monoteiste celebra se stessa come la
sola unica e vera, e presenta Magdi Allam come qualcuno che ha visto la luce e si è elevato molto al
di sopra della sua condizione ("di religione islamica") precedente.
In un secondo senso una implicita ma evidente dichiarazione di superiorità è stata resa pubblica,
solennemente, in un modo che non ha niente a che fare con l'intima avventura di una conversione.
Lo ha fatto personalmente il capo della Chiesa cattolica dedicandola a tutti i Paesi consegnati allo
stato di inferiorità detto "islamismo".
Per evitare incertezze su questa interpretazione, la clamorosa pubblicità del gesto diffuso in
mondovisione è diventato il messaggio: Allam è salvo perché non è più islamico. E' finalmente
ospite della grande religione che è il cuore della civiltà occidentale.
Da parte sua Magdi Allam ha voluto offrire un commento chiarificatore. Ha spiegato che
l'islamismo - moderato o estremista che sia - ha al suo centro il nodo oscuro della violenza. Ha
sanzionato l'idea di una religione inferiore e di una superiore.
Comprensibile, anche se insolita per eccesso, l'illuminazione che Magdi Allam ha voluto dare al suo
gesto per ragioni personali. Un giornalista, già noto, battezzato personalmente dal Papa in
mondovisione lascia certo una traccia. Ma provate ad accostare il gesto di governo religioso di Papa
Ratzinger, che accoglie personalmente un personaggio in fuga dall'inferno islamico e lo congiunge
al rifiuto di nominare, nel corso di un altro evento altamente simbolico (la benedizione Urbi et
Orbi), il nome di Israele, un Paese la cui sopravvivenza è in pericolo.
Senza dubbio si tratta di due eventi diversi, opposti e straordinari. Ma i due gesti si equivalgono,
quasi si rispecchiano per un tratto in comune. Una delle tre grandi religioni monoteiste sceglie, al
livello della sua massima rappresentanza, di essere conflittuale verso le altre. Alla patria degli ebrei
e alla sensibilità religiosa degli islamici non viene dedicata alcuna attenzione. Non è strano?
Forse no, visto alcuni precedenti di papa Ratzinger. Uno è il discorso di Bratislava, che ha creato,
come si ricorderà, una lunga situazione di imbarazzo. Un altro è l'esitazione e il ritardo, e di nuovo
l'esitazione, nel porre il Tibet e la sua libertà, prima di tutto religiosa, al centro dell'attenzione.
E poi ci sono precedenti omissioni o disattenzioni di Joseph Ratzinger nei confronti di Israele, che
hanno richiesto correzioni e provocato fasi di gelo che non si ricordano sotto la guida dei suoi
predecessori.
Questo è il caso di un Papa-governante che è noto per essere un minuzioso tessitore della propria
politica e che - a quanto si dice - non ricade mai nei giochi "di curia" o comunque nei giochi di altri.
Dunque è inevitabile la domanda. Mentre tace su Israele e battezza con la massima risonanza
mondiale qualcuno che ha abiurato l'islamismo, mentre, intanto si tiene prudentemente alla larga dal
Tibet, dove sta andando il Papa, dove sta portando la Chiesa di cui è governante e docente?
Furio Colombo l'Unità 25 marzo 2008