"BERLUSCONI vuole dimostrare che per governare la crisi italiana è costretto per
necessità a separare lo Stato dal diritto. Come se il Paese attraversasse una
terra di nessuno. Il soldato come questurino, il giudice come chierico, il
giornalista come laudatore: sono le tre figure di una scena politica che
minaccia di trasformare il senso della nostra forma costituzionale. Sono i
fantasmi di un tempo sospeso dove il governo avrà più potere e il cittadino meno
diritti, meno sicurezza, meno garanzie". Così ha scritto ieri Giuseppe D'Avanzo
su questo giornale.
Purtroppo questo suo giudizio fotografa esattamente la realtà. Non sarà
fascismo, ma certamente è un allarmante "incipit" verso una dittatura che si fa
strada in tutti i settori sensibili della vita democratica, complici la
debolezza dei contropoteri, la passività dell'opinione pubblica e la sonnolenta
fragilità delle opposizioni.
Questa sempre più evidente deriva democratica, che si è profilata fin dai primi
giorni della nuova legislatura ed è ormai completamente dispiegata davanti ai
nostri occhi, ha trovato finora il solo argine del capo dello Stato. Giorgio
Napolitano sta impersonando al meglio il suo ruolo di custode della
Costituzione. L'ha fatto con saggezza e fermezza, dando il suo consenso alle
iniziative del governo quando sono state dettate da necessità reali come nella
crisi dei rifiuti a Napoli, ma lo ha negato nei casi in cui le emergenze erano
fittizie e potevano insidiare la correttezza dei meccanismi costituzionali.
Sarebbe tuttavia sbagliato addossare al presidente della Repubblica il peso
esclusivo di arginare quella deriva: se la dialettica si riducesse soltanto al
rapporto tra il Quirinale e Palazzo Chigi la partita non avrebbe più storia e si
chiuderebbe in brevissimo tempo. Bisognerà dunque che altre forze e altri poteri
entrino in campo.
Bisogna denunciare e fermare la militarizzazione della vita pubblica italiana
della quale l'esempio più clamoroso si è avuto con i provvedimenti decisi dal
Consiglio dei ministri di venerdì sulla sicurezza e sulle intercettazioni: due
supposte emergenze gonfiate artificiosamente per distrarre l'attenzione dalle
urgenze vere che angustiano gran parte delle famiglie italiane.
E' la prima volta che l'Esercito viene impegnato con
funzioni di pubblica sicurezza. Quando fu assassinato Falcone e poi, a breve
distanza di tempo, Borsellino, contingenti militari furono inviati in Sicilia
per presidiare edifici pubblici alleviando da quelle mansioni la Polizia e i
Carabinieri affinché potessero dedicarsi interamente alla lotta contro una mafia
scatenata.
Ma ora il ruolo che si vuole attribuire alle Forze Armate è del tutto diverso:
pattugliamento delle città con compiti di pubblica sicurezza e quindi con poteri
di repressione, arresto, contrasti a fuoco con la delinquenza.
Che senso ha un provvedimento di questo genere? Quale utilità ne può derivare
alle azioni di contrasto contro la malavita? La Polizia conta ben oltre
centomila effettivi, altrettanti ne conta l'Arma dei carabinieri e altrettanti
ancora la Guardia di finanza. Affiancare a queste forze imponenti un contingente
di 2.500 soldati è privo di qualunque utilità.
Se il governo si è indotto ad una mossa tanto inutile quanto clamorosa ciò è
avvenuto appunto per il clamore che avrebbe suscitato. Tanto grave è
l'insicurezza delle nostre città da render necessario il coinvolgimento
dell'Esercito: questo è il messaggio lanciato dal governo. E insieme ad esso
l'eccezionalità fatta regola: si adotta con una legge ordinaria una misura che
presupporrebbe la dichiarazione di una sorta di stato d'assedio, di pericolo
nazionale.
Un provvedimento analogo fu preso dal governo Badoglio nei tre giorni successivi
al 25 luglio del '43 e un'altra volta nel '47 subito dopo l'attentato a
Togliatti. Da allora non era più avvenuto nulla di simile: la Pubblica sicurezza
nelle strade, le Forze Armate nelle caserme, questa è la normalità democratica
che si vuole modificare con intenti assai più vasti d'un semplice quanto inutile
supporto alla Pubblica sicurezza.
* * *
Il disegno di legge sulle intercettazioni parte dalla ragionevole intenzione di
tutelare con maggiore efficacia la privatezza delle persone senza però diminuire
la capacità investigativa della magistratura inquirente.
Analoghe intenzioni avevano ispirato il ministro della Giustizia Flick e dopo di
lui il ministro Clemente Mastella, senza però che quei provvedimenti riuscissero
a diventare leggi per la fine anticipata delle rispettive legislature.
Adesso presumibilmente ci si riuscirà ma anche in questo caso, come per la
sicurezza, il senso politico è un altro rispetto alla "ragionevole intenzione"
cui abbiamo prima accennato. Il senso politico, anche qui, è un'altra
militarizzazione, delle Procure e dei giornalisti.
Le Procure. Anzitutto un elenco dei reati perseguibili con intercettazioni. Solo
quelli, non altri. E' già stato scritto che lo scandalo di Calciopoli non
sarebbe mai venuto a galla senza le intercettazioni. Così pure le scalate
bancarie dei "furbetti". Ma moltissimi altri. Per chiudere sul peggiore di
tutti: la clinica milanese di Santa Rita, giustamente ribattezzata la clinica
degli orrori.
Le intercettazioni poi non possono durare più di tre mesi. Non c'è scritto se
rinnovabili e dunque se ne deduce che rinnovabili non saranno. Cosa Nostra,
tanto per fare un esempio, è stata intercettata per anni e forse lo è ancora.
Tre mesi passano in un "fiat", lo sappiamo tutti.
I giornalisti e i giornali. C'è divieto assoluto alla pubblicazione di notizie
fin all'inizio del dibattimento. Il deposito degli atti in cancelleria non
attenua il divieto. Perché? Se le parti in causa o alcune di esse vogliono
pubblicizzare gli atti in loro possesso ne sono impedite. Perché? Non si invochi
la presunzione di innocenza poiché se questa fosse la motivazione del divieto
bisognerebbe aspettare la sentenza definitiva della Cassazione. Dunque il motivo
della secretazione è un altro, ma quale?
In realtà il divieto non è soltanto contro giornali e giornalisti ma contro il
formarsi della pubblica opinione, cioè contro un elemento basilare della
democrazia. Il caso del Santa Rita ha acceso un dibattito sull'organizzazione
della Sanità, sul ruolo delle cliniche convenzionate rispetto al Servizio
sanitario nazionale. Dibattito di grande rilievo che potrebbe aver luogo
soltanto all'inizio del dibattimento e cioè con il rinvio a giudizio degli
imputati.
L'eventuale archiviazione dell'istruttoria resterebbe ignota e così mancherebbe
ogni controllo di opinione sul motivo dell'archiviazione e su una possibile
critica della medesima. Così pure su possibili differenze di opinione tra i
magistrati inquirenti e l'ufficio del Procuratore capo, sulle avocazioni della
Procura generale, su mutamenti dei sostituti assegnatari dell'inchiesta. Su
tutti questi passaggi fondamentali la pubblica opinione non potrebbe dire nulla
perché sarebbe tenuta all'oscuro di tutto.
Sarà bene ricordare che il maxi-processo contro "Cosa Nostra" fu confermato in
Cassazione perché fu cambiato il criterio di assegnazione dei processi su
iniziativa del ministro della Giustizia dell'epoca, Claudio Martelli, allertato
dalla pressione dei giornali in allarme per le pronunce reiterate dell'allora
presidente di sezione, Carnevale. Tutte queste vicende avvennero sotto il
costante controllo della stampa e della pubblica opinione allertata fin dalla
fase inquirente. Falcone e Borsellino non erano giudici giudicanti ma magistrati
inquirenti. Mi domando se avrebbero potuto operare con l'efficacia con cui
operarono senza il sostegno di una pubblica opinione esaurientemente informata.
Le gravi penalità previste da questa legge nei confronti degli editori
costituiscono un gravame del quale si dovrebbero attentamente valutare gli
effetti sulla libertà di stampa. Esso infatti conferisce all'editore un potere
enorme sul direttore del giornale: in vista di sanzioni così gravose l'editore
chiederà a giusto titolo di essere preventivamente informato delle decisioni che
il direttore prenderà in ordine ai processi. Di fatto si tratta di una vera e
propria confisca dei poteri del direttore perché la responsabilità si sposta in
testa al proprietario del giornale.
Si militarizza dunque il giudice, il giornalista ed anche la pubblica opinione.
* * *
Ha ragione il collega D'Avanzo nel dire che questi provvedimenti stravolgono la
Costituzione. Identificano di fatto lo Stato con il governo e il governo con il
"premier". Se poi si aggiunge ad essi il famigerato lodo Schifani, cioè il
congelamento di tutti i processi nei confronti delle alte cariche dello Stato,
l'identificazione diventa totale.
Qui il nostro discorso arriva ad un punto particolarmente delicato e cioè al
tema dell'opposizione parlamentare.
Parlo di tutte le opposizioni politiche. Ma in particolare parlo del Partito
democratico.
Negli ultimi giorni il Pd e Veltroni quale leader di quel partito hanno assunto
su alcune questioni di merito atteggiamenti di energica critica nei confronti
del governo. La luna di miele di Berlusconi è ancora in pieno corso con
l'opinione pubblica e con la maggior parte dei giornali ma è già svanita in
larga misura con il Partito democratico. Salvo un punto fondamentale, più volte
ribadito da Veltroni: il dialogo deve invece continuare sulle riforme
istituzionali e costituzionali.
E' evidente che questa "riserva di dialogo" condiziona inevitabilmente il tono
complessivo dell'opposizione. Le riforme istituzionali e costituzionali sono di
tale importanza da trasformare in "minimalia" i contrasti di merito su singoli
provvedimenti. Tanto più che Tremonti chiede all'opposizione di procedere
"sottobraccio" per quanto attiene alla strategia economica; ecco dunque
un'ulteriore "riserva di dialogo". Sembrerebbe, questa, una novità a tutto
vantaggio dell'opposizione ma non è così. La politica economica italiana dovrà
svolgersi nei prossimi anni sotto l'occhio vigile delle Autorità europee. Che ci
piaccia o no, noi siamo di fatto commissariati da Bruxelles.
Tremonti dovrà assumere responsabilità impopolari. Necessarie, ma impopolari e
vuole condividere con l'opposizione quell'impopolarità.
Intanto, nel merito delle riforme, Berlusconi procede come si è detto e visto,
alla militarizzazione del sistema. "L'Etat c'est moi" diceva il Re Sole e
continuarono a dire i suoi successori fin quando scoppiò la rivoluzione
dell'Ottantanove.
Voglio qui ricordare che uno dei modi, anzi il più rilevante, con il quale
l'identificazione dello Stato con la persona fisica del Re si realizzò fu
l'asservimento dei Parlamenti al volere della Corona. Gli editti del Re per
entrare in vigore avevano bisogno della registrazione dei Parlamenti e
soprattutto di quello di Parigi. Questa era all'epoca la sola separazione di
poteri concepita e concepibile. Ma il re aveva uno strumento a sua disposizione:
poteva ordinare ai Parlamenti la registrazione dell'editto. Di fronte all'ordine
scritto del Sovrano il Parlamento registrava "con riserva" e l'editto entrava in
funzione. Di solito quest'ordine veniva dato molto di rado ma col Re Sole e con
i suoi successori diventò abituale. Quando i Parlamenti si ribellarono
ostinandosi a non obbedire il Re li sciolse. Il corpo del Re prevalse sulla
labile democrazia del Gran Secolo.
Il Re Sole. Ma qui il sole non c'è. C'è fanghiglia, cupidigia, avventatezza,
viltà morale. Corteggiamento dell'opposizione. Montaggio di paure e di pulsioni.
Picconamento quotidiano della Costituzione.
Quale dialogo si può fare nel momento in cui viene militarizzato il Paese nei
settori più sensibili della democrazia? Il Partito democratico ha un solo
strumento per impedire questa deriva: decidere che non c'è più possibilità di
dialogo sulle riforme per mancanza dell'oggetto. Se lo Stato viene smantellato
giorno per giorno e identificato con il corpo del Re, su che cosa deve dialogare
il Pd? E' qui ed ora che il dialogo va fatto, la militarizzazione va bloccata.
Le urgenze e le emergenze vanno trasferite sui problemi della società e
dell'economia.
"In questo nuovo buon clima si può fare molto e molto bene" declama la
Confindustria di Emma Marcegaglia. Qual è il buon clima, gentile Emma? Quello
dei pattuglioni dei granatieri che arrestano gli scippatori e possono sparare
sullo zingaro di turno? Quello dell'editore promosso a direttore responsabile?
Quello del magistrato isolato da ogni realtà sociale e privato di "libero
giudizio"? Quello dei contratti di lavoro individuali? E' questo il buon clima?
Ricordo che quando furono pubblicati "on line" gli elenchi dei contribuenti ne
nacque un putiferio. Il direttore dell'Agenzia delle Entrate, autore di tanto
misfatto, fu incriminato e si dimise. Ma ora il ministro Brunetta pubblica i
contratti di tutti i dirigenti pubblici e le retribuzioni di tutti i consulenti
e viene intensamente applaudito e incoraggiato. Anch'io lo applaudo e lo
incoraggio come ho applaudito allora Visco e Romano. Ma perché invece due pesi e
due misure? La risposta è semplice: per i pubblici impiegati si può.
E' questo il buon clima? Attenti al risveglio, può essere durissimo. Può essere
il risveglio d'un paese senza democrazia. Dominato dall'antipolitica. Dall'anti-Europa.
Dall'anarchia degli indifferenti e dalla dittatura dei furboni.
Io trovo che sia un pessimo clima.
EUGENIO SCALFARI La Repubblica 15 giugno 2008