La pace ai tempi di Ratzinger


Da qualche anno, da quando la guerra è tornata a occupare violentemente il centro della storia, i messaggi pontifici per la giornata mondiale della pace vengono accolti con enorme interesse da parte dell'opinione pubblica.


Dopo la «Pacem in terris»
Anche in questa ultima circostanza la grande stampa non ha mancato di cimentarsi con le parole di Benedetto Sedicesimo, riproponendo però una lettura isolata dei singoli messaggi che non permette di cogliere completamente la portata dell'opera del Pontefice, il cui pensiero non brilla forse per originalità ma si impone grazie alla sua insistita ripetitività e a un'indubbia capacità di sistematizzazione. E infatti, da quando è iniziato il regno di Papa Ratzinger, questi messaggi sono divenuti l'occasione propizia per prendere le distanze dal pacifismo radicale e per ricomporre le ambiguità che avevano segnato gli ultimi anni del pontificato di Karol Wojtyla.
Se per molti secoli la Chiesa cattolica, lungi dall'esprimere un rifiuto assoluto dell'uso delle armi, aveva utilizzato la dottrina della «guerra giusta» per selezionare gli eventi bellici leciti, legittimi, doverosi, quando non addirittura santi, da quelli al contrario e genericamente non ammissibili, la pubblicazione della Pacem in terris aveva prodotto una frattura netta con la tradizione, facendo presagire un processo irreversibile del pensiero cattolico in favore della pace.
Questi due valori contrapposti e inconciliabili - accettazione a determinate condizioni della guerra e rifiuto assoluto della stessa - hanno coesistito, con le immaginabili conseguenze, lungo tutto l'arco dei pontificati di Paolo Sesto e Giovanni Paolo Secondo, disseminando a piene mani nel loro magistero contraddizioni e ambiguità. E' proprio questo scenario che spiega come la Chiesa cattolica abbia potuto esprimere una condanna della guerra «senza se e senza ma» nel caso del primo conflitto iracheno e quasi contemporaneamente impegnarsi nella puntigliosa delimitazione dei requisiti necessari per considerare legittimo l'intervento umanitario nella ex Jugoslavia.
Papa Ratzinger sembra deciso a sciogliere queste incertezze e a ricondurre a unità il pensiero della Chiesa, riesumando la nozione di guerra giusta e sbarazzandosi definitivamente dell'intralcio rappresentato dalla Pacem in terris. Il primo messaggio (quello del dicembre 2005) inviato da Benedetto Sedicesimo in occasione della giornata mondiale della Pace appare, in questo senso, particolarmente significativo.
Papa Ratzinger richiama l'altissimo insegnamento di Paolo Sesto e Giovanni Paolo Secondo ma non quello di Giovanni Ventitreesimo, cita a piene mani la Gaudium et spes ma ignora la Pacem in terris, condanna la violenza inutile e le sofferenze evitabili ma non la guerra in sé.
Una linea riduttiva, un tono prudente, che divengono ancora più marcati nel messaggio inviato da Benedetto Sedicesimo nel dicembre 2006, laddove il giudizio negativo nei confronti della guerra si accompagna alla disincantata presa d'atto della sua salda e persistente presenza nella storia dell'umanità, tanto che la preoccupazione del Pontefice tedesco è tutta rivolta verso l'osservanza del diritto internazionale umanitario (ovvero al rispetto di alcune regole di condotta durante lo svolgimento dei conflitti) e verso la riduzione dei danni prodotti dagli scontri bellici più che verso la condanna assoluta della guerra. Una prudenza che stride con il rinnovarsi, in quel medesimo testo, del rigido giudizio nei confronti dell'aborto e della procreazione, crimini assoluti che non conoscono eccezioni o comprensione.
 

La famiglia e la pace
Il messaggio del dicembre 2007 non fa che consolidare la linea di tendenza appena descritta. L'attenzione del Pontefice è principalmente rivolta alla famiglia «prima e insostituibile educatrice alla pace» e il dramma delle guerre in atto genera solo un invito a contenere le spese militari e a procedere «verso lo smantellamento progressivo e concordato delle armi nucleari esistenti». E allo stesso modo, il testo fatto circolare nei giorni scorsi si limita a indicazioni generiche quando si affronta il tema del disarmo e diventa più stringente solo quando si passa a analizzare i pericoli della globalizzazione e l'aumento delle disuguaglianze.
Anche sotto questo profilo, però, la condivisibile preoccupazione per i disequilibri economici che caratterizzano la nostra epoca e il riconoscimento del nesso che lega la pace allo sviluppo economico non produce niente più che un generico invito alla fratellanza e un semplice richiamo alla correttezza rivolto a tutti gli attori del mercato.
Quello che viene fuori dall'insieme dei messaggi fin qui rivolti da Benedetto Sedicesimo in occasione delle giornate della pace è un magistero complessivamente inadeguato rispetto alla tragicità dei tempi e all'evoluzione dello scenario geopolitico, un pensiero che legge nei conflitti armati motivi di grande preoccupazione per il futuro ma sollecita il mondo a unirsi nella difesa della famiglia o della solidarietà in salsa cattolica più che nella proscrizione della guerra.
Nel messaggio del dicembre del 2006, Papa Ratzinger scriveva che «la pace ha bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò è disponibile e ciò che non lo è».
Con l'intervento dell'8 dicembre si consolida l'amara impressione che tra ciò che rientra nella categoria del disponibile vi sia proprio, e paradossalmente, la stessa pace.
 

Nicola Fiorito       il manifesto 17/12/2008

* Università di Firenze