La notte della repubblica
Sappiamo bene che la
notte della Repubblica berlusconiana è appena agli inizi. E sappiamo altrettanto
bene che, con il Cavaliere, a scommettere sul peggio non si sbaglia mai. Ma
vorremmo rassicurare il presidente del Consiglio: non c´è bisogno di aspettare
il prossimo strappo costituzionale, o la prossima intemperanza verbale, per
vedere «di che pasta è fatto», come minaccia lui stesso. L´avevamo capito da un
pezzo.
Abbiamo avuto una prima conferma due sere fa, subito dopo la sentenza che ha
bocciato il Lodo Alfano, con le accuse infamanti contro Giorgio Napolitano. Poi
una seconda conferma ieri sera, con il farneticante documento del Pdl che
rilancia le accuse incongruenti contro la Consulta. A lasciare basiti non è solo
la violenza politicamente distruttiva degli attacchi contro tutti gli organi di
garanzia: presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, giudici ordinari.
Ma è anche e soprattutto la valenza tecnicamente "eversiva" del ragionamento con
il quale il premier (purtroppo sempre insieme ai docili maggiorenti del suo
partito) sta delegittimando, in un colpo solo, le tre più alte magistrature
della Repubblica. Di fronte a tanta irresponsabilità, conforta il comunicato col
quale i presidenti di Camera e Senato hanno fatto quadrato intorno al Quirinale.
Ma questo atto dovuto (voluto fermamente da Fini e a quanto si racconta subito
passivamente da Schifani) non basta a ridimensionare la portata di uno scontro
istituzionale inaudito e pericoloso.
Le parole che Berlusconi ha pronunciato l´altro ieri, prima in strada poi in
diretta televisiva, andranno studiate a fondo. Servono a comprendere la
vera essenza del moderno populismo plebiscitario che, in nome di un suffragio
universale trasformato in ordalia personale, snatura lo Stato di diritto perché
uccide, allo stesso tempo, sia lo Stato che il diritto. La prima
affermazione del Cavaliere è la solita invettiva anti-comunista. «Napolitano,
voi sapete da che parte sta... Poi abbiamo giudici della Corte costituzionale
eletti da tre Capi di Stato della sinistra che fanno della Corte non un organo
di garanzia ma un organo politico». Ma quando, poco più tardi, il presidente
della Repubblica replica che lui «sta dalla parte della Costituzione», scatta
l´escalation del premier: «Non mi interessa quello che dice Napolitano. Io mi
sento preso in giro e non mi interessa, chiuso».
Quel
«preso in giro» non può passare inascoltato. Infatti più tardi (nel confortevole
salotto di Porta a Porta, dove il beato cerimoniere Bruno Vespa non si degna
neanche di difendere Rosy Bindi dagli insulti da trivio del premier e di un
inqualificabile Castelli) il Cavaliere rincara la dose dei veleni. «Su
Napolitano ho detto quello che penso: non ho nulla da modificare sulle mie
dichiarazioni che potrebbero essere anche più esplicite e più dirette».
Un´allusione tanto vaga quanto pesante. E poi: «Il presidente della Repubblica
aveva garantito con la sua firma che la legge sarebbe stata approvata dalla
Consulta, posta la sua nota influenza sui giudici di sinistra della Corte».
Vespa, ossequioso, tace. Parla il leader dell´Udc Casini, per fortuna: «È
un´accusa inaccettabile nei riguardi di Napolitano». Ma il premier non arretra.
Anzi, porta il colpo finale: «Non accuso il capo dello Stato, prendo atto di una
situazione in cui c´erano certi suoi comportamenti e sappiamo tutti quali
relazioni intercorrano tra i capi dello Stato e i membri della Consulta. Sono da
anni in politica, so quali siano i rapporti che intercorrono».
Con questa micidiale miscela di allusioni e intimidazioni (indegnamente condita
dalla ridicola accusa del Pdl alla Consulta per aver «sviato l´azione
legislativa del Parlamento») si celebra la negazione della democrazia liberale.
Non si scherza sulla pelle delle istituzioni repubblicane. Se Berlusconi è a
conoscenza di trattative politiche avvenute sottobanco tra i palazzi del potere
intorno al Lodo Alfano, ha il dovere di denunciarle con chiarezza, raccontando
fatti e facendo nomi e cognomi davanti al Parlamento e al Paese. Ma poiché, con
tutta evidenza, non ha in mano nulla se non il suo disperato furore ideologico,
allora ha il dovere di tacere, e soprattutto di chiedere scusa. Ma non lo farà.
Le sue parole dissennate tradiscono la sua visione "originale" e del tutto
illiberale del costituzionalismo democratico.
Nello schema del Cavaliere, Napolitano (o perché aveva promulgato a suo tempo lo
scudo salva-processi per il premier o perché gli aveva «promesso» riservatamente
non si sa cosa) avrebbe dovuto fare ciò che la Costituzione gli vieta:
interferire nella decisione dei giudici della Consulta, convincendoli a dare via
libera al Lodo Alfano. Avrebbe dovuto, lui sì, chiedere ai giudici una «sentenza
politica», che violasse apertamente la legge con l´unico obiettivo di proteggere
il «sereno svolgimento» della legislatura. In questa logica, aberrante,
non esiste la «leale collaborazione» tra istituzioni, ma il banale
"collaborazionismo" tra complici. Non esistono il "nomos", le regole, la
divisione dei poteri e il "check and balance". Esistono l´anomia, l´arbitrio, la
potestà illimitata del leader consacrato per sempre dall´investitura popolare.
Non esistono organi di garanzia sovrani e indipendenti, che decidono
autonomamente, ciascuno nel proprio ambito e secondo i principi sanciti dalla
Carta fondamentale. Esistono solo semplici emanazioni del potere esecutivo, che
condiziona le altre istituzioni e comanda, in un meccanismo di pura cinghia di
trasmissione, il legislativo e il giudiziario.
Quali altre estreme forzature del quadro politico-istituzionale dobbiamo
attenderci, nei prossimi giorni e nei prossimi mesi? Quale piano inclinato sta
prendendo, questa anomala democrazia italiana dove l´"autoritas" del
Principe rivendica il primato indiscusso sulla "potestas" delle
istituzioni? Già si evocano nuove riforme della giustizia da usare come una
clava contro i magistrati, e magari come ennesimo trucco "ad personam"
per fermare qualche processo. Viene in mente Ehud Olmert che, sospettato per
corruzione, si dimette dicendo: «Sono orgoglioso di aver guidato un Paese
in cui anche un primo ministro può essere indagato come un semplice cittadino».
Ma l´Italia non è Israele. Il coraggio dei giudici della Consulta, la tenuta del
presidente della Repubblica, la tenacia del presidente della Camera,
rappresentano una speranza. Ma non nascondiamocelo: il Potere, quando non vuole
riconoscere che la democrazia è limite, fa anche un po´ paura.
Massimo Giannini
Repubblica 9.10.09
«Ci siamo liberati del fascismo, ci salveremo anche dal
berlusconismo»
La reazione del premier? «Un padre padrone che disprezza le istituzioni e
distrugge la democrazia ma quello che allarma è il male profondo di un paese
così privo di dignità da accettare la guida di un uomo corrotto»
Intervista a Giorgio Bocca
I processi del
premier «I suoi avvocati troveranno mille cavilli per ottenere la prescrizione.
È un piccolo dittatore vestito di nero»
Spero nel miracolo» risponde Giorgio Bocca a un amico partigiano, che gli chiede
un confronto tra ieri e oggi, tra i vent'anni di Mussolini e i quindici di
Silvio. Cioè: ci siamo liberati del fascismo, ci salveremo anche dal
berlusconismo. E poi spiega: "Il popolo italiano ha già dimostrato altre volte
una forza straordinaria e insperata... ". Prima di tutto dovrebbe rendersi
conto del precipizio morale, della corruzione, della devastazione culturale.
Più che Berlusconi c'è a spaventare l'esito diffuso della sua politica e della
sua cultura. Parlano le immagini: "Basta guardare una fotografia: lui,
il piccolo dittatore, vestito di nero, sempre circondato da cinque o sei
energumeni vestiti di nero”.
Giorgio Bocca, partigiano e giornalista, a che punto siamo dopo la bocciatura
del lodo Alfano? Che succederà? «Berlusconi rimarrà al governo, i suoi
avvocati inventeranno mille cavilli perchè i suoi processi cadano in
prescrizione e se anche Berlusconi dovesse cadere resterà il berlusconismo,
il male profondo di un paese che ha così poca dignità d'accettare la guida di
un uomo corrotto che sta distruggendo la democrazia...».
Come scrive Saramago nel suo «Quaderno» censurato dalla Einaudi e pubblicato
dalla Bollati Boringhieri: «Nel caso concreto del popolo italiano... è
dimostrato come l'inclinazione sentimentale che prova per Berlusconi, tre volte
manifestata, sia indifferente a qualsiasi considerazione di ordine morale».
Preciso, no?
«Che
gli italiani, figli di un fascismo mai completamente estirpato, siano corrotti
lo si vede: quanta mafia, quanta camorra, quante tangentopoli, quanto fisco
evaso. Berlusconi ha avuto modo di dare una patente alla corruzione: con lui,
sul suo esempio, non s'è più sentito il bisogno di celare, nascondere. Si può
fare tutto alla luce del sole. Sentire quelli che si vantano perchè non pagano
le tasse... Che cosa gliene importa della democrazia?».
La malattia è profonda. Tanto più difficile rimediare. «Certo. Davvero occorre
darsi tempo e sperare nel miracolo, appunto, o in quelle scosse profonde nella
coscienza, cui abbiamo talvolta assistito».
Ti è già capitato di vivere momenti come questi? «Da giovane ho conosciuto il
fascismo e la privazione di tutti i diritti».
Berlusconi vanta i suoi sondaggi e il suo sessanta, settanta, ottanta per cento
di preferenze tra gli elettori... «Anche Mussolini vantava un grande seguito
popolare. Era un padre padrone, proprio come s’atteggia Berlusconi. Mussolini
andava a mietere il grano, si mostrava a torso nudo e incantava le folle.
Berlusconi va in televisione e inaugura le casette. Hitler era un mostro. Loro
li definirei dittatori morbidi». Come giudichi, a proposito, le reazioni di
Berlusconi?
«Privo di qualsiasi bussola politica. Come si fa a gridare che Napolitano è di
sinistra, che Napolitano avrebbe dovuto pesare sulla Corte? Come si fa a dire
che la Consulta è di sinistra? Una follia. Non è solo questione di rispetto di
una sentenza, è anche mancanza di senso della realtà: ma li conosce i giudici
della Consulta, che in maggioranza se mai sono di destra per formazione,
cultura, età...».
E il presidente Napolitano?
«Cauto come sempre. Prudente. Vuol fare il Presidente. Di fronte alle
nefandezze di Berlusconi avrei preferito sentire parole più forti. A un certo
punto viene il momento di dire basta».
Oltre i giudici chi e che cosa dovrebbe temere di più Berlusconi? Fini?
«Ma intanto deve temere quanti nel suo stesso schieramento si sono convinti che
un individuo simile è pericoloso anche per la destra. Si è capito poi che
Berlusconi non incanta più gli industriali, che preferirebbero un Tremonti».
E la Chiesa, dopo gli scandali con le escort? «La Chiesa lo tiene in
piedi, perché sa di poterlo ricattare, sa di poter pretendere da lui in cambio
soldi e leggi».
Non dimentichiamo la sinistra...
«Pelandrona e inconcludente. Di fronte a quanto sta avvenendo non ci si può
limitare a dire che Berlusconi deve continuare a governare».
Per fortuna, stiamo in Europa.
«L’Europa è una garanzia. Non può consentire che nel suo cuore a un
certo punto spunti un regime con i connotati del fascismo. Ma quello è
pure capace di trascinarci fuori dall’Europa. Le tenterà tutte».
Oreste Pivetta l’Unità 9.10.09
Il governo antistato
Nulla si salva
nell´inedita guerra del governo italiano allo Stato italiano, neppure il
maresciallo dei carabinieri e il parroco. I ministri leghisti attaccano la
bandiera e l´unità dello Stato e Berlusconi organizza la piazza contro i
tribunali di Stato, contro la Corte costituzionale e contro il capo dello Stato.
Brunetta mitraglia il pubblico impiego dei fannulloni di Stato e la Gelmini
smonta la scuola e l´università di Stato. Anche il federalismo in Italia non
prende, come negli Usa e come in Germania, la forma dello Stato, ma dell´attacco
al cuore dello Stato.
Ed è un attacco che non richiede coraggio, non presuppone l´allestimento di
covi, non c´è neppure necessità di drogarsi ideologicamente: basta accendere un
microfono e subito il premier di Stato, il ministro di Stato, il sottosegretario
di Stato diventano la torre di sfondamento dello Stato, insultano lo Stato,
cercano di far saltare il catenaccio e, dal quartiere generale dello Stato,
bombardano lo Stato.
Ormai anche l´informazione di Stato attacca lo Stato. Anche il Tg1
e "Porta a Porta", famosi un tempo per l´ineleganza sacerdotale e la garbata
goffaggine "a modo", che sta nel mezzo, medium, "mezzano"..., ormai anche Vespa
e Minzolini, anche il giornalismo governativo, pur nella modestia estetica e
nella creatività disadorna, mettono in scena film di Tarantino: pulp fiction
sullo Stato, sui magistrati, sul presidente della Repubblica, sul sindacato, sui
bidelli, sulla libertà di stampa...; pulp fiction su Rosy Bindi che,
signora dell´opposizione, è stata, nel complice silenzio dei presenti,
dileggiata e insolentita da un Berlusconi così volgare e gaglioffo da far
vergogna – speriamo – anche ai suoi elettori per bene, e forse pure a se stesso.
Tra
le molte indecenze della nostra storia nazionale questa del governo di Stato che
demolisce lo Stato non si era mai vista e non perché non abbiamo avuto anarchici
scamiciati con le cravatte nere a fiocco, e rivoluzionari di ogni specie,
fascisti e comunisti, cortei cattivissimi con i ritratti di Stalin e processioni
incolonnate dietro le Madonne che piangono. Insomma c´è di tutto nella storia
dell´Italia eversiva, anche i governi perfidi e intelligenti che lavoravano
nell´ombra e c´è ovviamente il colpo di Stato: la marcia su Roma. Ma non
c´è lo statista che demolisce lo Stato. Non c´è il governo che si vuole
sostituire allo Stato e anziché amministrare sgretola la qualità dello Stato,
aggredisce invece di proteggere i servitori dello Stato, dai magistrati agli
impiegati agli insegnanti.
Nella storia d´Italia abbiamo avuto politici che, in nome dello Stato, hanno
denunziato l´esistenza di un presunto doppio Stato che minacciava lo Stato, con
prefetti e questori, poliziotti e generali che tramavano... Abbiamo avuto
persino lo statista che si è fatto Belzebù, ma sempre per proteggere, sia pure a
modo suo, lo Stato. Giuseppe Alessi, fondatore della Dc siciliana, ci disse:
«Dovevamo fermare il comunismo a qualsiasi costo, il comunismo pesante, quello
che non avete conosciuto. Nell´immediato dopoguerra era meglio co-governare con
i mafiosi piuttosto che consegnare il Paese ai comunisti di Stalin».
L´innegabile contiguità tra la mafia siciliana e la Dc, tra l´innervatura
dell´una nell´altra, sino ai cugini Salvo e a Salvo Lima, nasce probabilmente da
quell´idea di guerra fredda. È da lì che viene la leggenda di Andreotti, lo
statista-diavolo. Mai però avevamo avuto lo statista antistato che sega l´albero
sul quale è legittimamente appollaiato.
E non è il solito ossimoro italiano, la prova dell´identità dei contrari
garantita da Gesù che forse mutò l´acqua in vino non per fare un miracolo ma per
dimostrare appunto l´uguaglianza degli opposti. Anche l´ossimoro qui è speciale
perché è speciale l´idea di uno Stato sostanziale (Berlusconi) da sostituire
allo Stato formale, quello delle regole, della grammatica istituzionale, dei
bilanciamenti, dei controlli, delle garanzie, delle competenze, della legge
uguale per tutti, della divisione dei poteri... Il comunismo qui non c´entra
nulla. Sotto attacco c´è la forma dello Stato, il nostro modo si stare insieme,
che il governo vuole piegare alla logica del più forte. O con i numeri
elettorali o con i soldi debbono sempre vincere i più forti.
Lasciamo stare i sondaggi che, quanto più inconfutabili sembrano, tanto più
bugiardi sono. Il loro martellante, sommario, clamoroso linguaggio è solo uno
strumento di intimidatoria propaganda. Ci sono però i risultati elettorali reali
che legittimano pienamente il governo Berlusconi. Gli danno il diritto e il
dovere di governare, ma non di mettere la macchina in doppia fila e pretendere
di non pagare la multa, né di commettere reati o di corrompere i giudici... La
corte costituzionale ha stabilito che nessun cittadino può sottrarsi ai
processi. La politica non c´entra nulla. Ma Berlusconi non sopporta la
repubblica parlamentare, vuole trasformare il consenso popolare in odio
popolare. E contro i poteri che limitano (e garantiscono) il suo potere,
contro i giudici che indagano e giudicano i cittadini, tutti uguali davanti alla
legge dello Stato, contro lo Stato si appella ai descamisados, come Evita: «Don´t
cry for me, Italia». Vuole avere tutto nelle sue mani, e dunque vuol far
saltare i dispositivi più elementari, occupare tutti i poteri che contano, non
rispondere agli organi di garanzia. Sta nello Stato per sgretolare lo Stato, per
rosicchiarlo, per larvalizzarlo, per svuotarlo. «Lo Stato si abbatte e non si
cambia» era lo slogan di guerra dei leninisti. Un governo che sconfessa,
destruttura e delegittima tutti i servitori dello Stato, dai magistrati ai
partiti avversari, dagli insegnanti ai bidelli, è un governo di guerra.
Come credete che nascano le guerre civili?
Francesco Merlo Repubblica 9.10.09
La filosofia dell’utilizzatore
Il premier che «adora le
donne», come ha graziosamente risposto al giornalista spagnolo che lo
interrogava sulle sue frequentazioni, perde non solo le staffe, ma ogni senso
della buona educazione e del limite appena una donna, una sua collega
parlamentare e vicepresidente della camera, si permette di criticarlo.
Nella cultura da caserma in cui sembra trovarsi a suo agio quando tratta
di donne e con le donne, non gli basta insultarla genericamente come comunista
mangiabambini, come fa di consueto con gli oppositori del suo stesso sesso. Non
può trattenersi dall´appoggiare il suo disprezzo ad un giudizio estetico.
Confermando che per lui – per altro brutto, tinto e rifatto, oltre che piuttosto
anziano – le donne si dividono in due categorie: quelle (per lui) guardabili e
potenzialmente utilizzabili (se non già utilizzate), la cui intelligenza è
eventualmente un optional e comunque non deve velarne il giudizio
obbligatoriamente positivo nei suoi confronti, e tutte le altre. Le non
convenzionalmente belle e le anziane sono accettabili solo se adoranti.
Altrimenti cadono sotto la mannaia del giudizio di non esistenza.
Il leghista Castelli ha offerto un´altra variante della stessa cultura da
caserma, scegliendo un altro topos classico, quello della zitella. Come
se, tra l´altro, una donna senza un uomo fosse automaticamente una donna non
voluta, non desiderata e non una che ha scelto di non avere un compagno
(saggiamente, verrebbe da dire, se questi fossero gli unici tipi di maschi
disponibili sul mercato). Per i leghisti, apparentemente, le donne non devono
coprirsi il volto e il capo per motivi religiosi, ma vale sempre l´esortazione
del Veneto profondo, secondo cui la donna «Che la tosa la tasa, che la piasa,
che la staga a casa» – un atteggiamento non molto distante da quello degli
uomini tradizionalisti mussulmani da cui gli orgogliosi leghisti nordici si
sentono tanto diversi.
Con prontezza, Rosy Bindi ha reagito all´insulto osservando che ovviamente lei
non appartiene alla categoria delle disponibili e utilizzabili . Ma è stata la
sola a reagire alla maleducazione di Berlusconi e Castelli. Nonostante qualche
faccia imbarazzata, nessuno dei maschi presenti, incluso il conduttore, ha
ritenuto doveroso prendere le distanze da questo tipo di linguaggio e
comportamento gravemente sessista, che rende difficile partecipare alla
comunicazione pubblica le poche donne cui, raramente, si concede la parola
(Bindi era la sola donna l´altra sera a Porta a Porta, in un folto parterre di
uomini). Nessuno dei molti brutti, sfatti e rifatti uomini più o meno anziani
che popolano la politica italiana deve temere di essere insultato e
delegittimato per questo dai propri interlocutori, per quanto aggressivi. Il
silenzio – complice, imbarazzato o codardo – degli uomini sia alleati a
Berlusconi che all´opposizione, sia in politica che nei media è una questione
politicamente seria che andrebbe affrontata, perché segnala quanto siano
profonde le radici culturali del sessismo nel nostro paese. Non dimentichiamo
che in Spagna Zapatero è stato attaccato dalla stampa per aver assistito in
silenzio allo show in cui Berlusconi ha spiegato come intende le norme di
ospitalità quando si trova di fronte una bella donna potenzialmente disponibile.
Ma c´è anche un altro silenzio che disturba: quello delle donne dei
partiti di governo, a cominciare dalle ministre. Le loro voci si sono
levate solo quando il capo le ha chiamate all´appello perché lo difendessero
allorché scoppiarono gli scandali a catena: dalle candidature promesse alle
veline a Noemi ai festini di Villa Certosa. Mai nessuna presa di distanza dalla
immagine di donna – e di loro come politiche e come ministre – che emerge dalle
appassionate autodifese del loro capo. Particolarmente silente è la ministra
delle Pari opportunità, che pure dovrebbe parlare per dovere istituzionale.
Qualsiasi siano i motivi per cui è finita lì, cerchi di ricordarsi per favore
che le pari opportunità non sono un concorso di bellezza. E che non si può
lasciare a dei vecchi mandrilli, per quanto ricchi e potenti, il potere di
parola e di giudizio su ciò che sono, sanno e possono fare e dire le donne, a
prescindere dall´età e dai canoni estetici. Lasciare insultare una
collega, anche della opposizione, con argomenti che nulla hanno a che fare con
la politica, ma solo con il sessismo, è un errore grave, di cui paghiamo il
prezzo tutte.
Chiara Saraceno Repubblica 9.10.09