La memoria condivisa? Sarebbe come l'Alzheimer

Tutti e tutte abbiamo paura di perdere individualmente la memoria, che ci venga l'Alzheimer, perché
l'identità e tutti gli indicatori utili per relazionarci al mondo così si perdono, stingono e non abbiamo più
cognizione di noi stessi. Non si capisce perché invece un Alzheimer politicamente indotto dovrebbe essere
salutare ed essere accolto e addirittura praticato, consigliato, divenire programma politico. Oppure si capisce
anche troppo bene: un popolo immemore di se stesso può essere condotto ovunque, non ha difese, perde il
passato e non ha come costruirsi un futuro.
Perciò il tentativo di Fini di cancellare l'antifascismo, dato che
il fascismo non c'è più - lui stesso che se ne intende lo afferma - è molto pericoloso.
Lasciamo stare per un
momento di vedere se il fascismo non c'è proprio più, se il ventre che lo ha generato, davvero non è più
fecondo: molti tentativi di semplificazione del sistema istituzionale vanno in senso autoritario, tendono a
ridurre la democrazia multilivello e multiordinamento territoriale per averne una più spiccia e facile da
comandare: ma, come si è visto ancora dal terremoto dell'Aquila, una Protezione civile molto veloce attiva
e non criticabile, se però non è stazionata sul territorio da prima, e non accumula memoria degli altri sismi
che pure non ci sono più, e non lavora per addestrare la popolazione trasmettendole memoria, alla fine non
riesce ad evitare un numero esorbitante di rovine e soprattutto di morti.

Ma veniamo al 25 aprile, Festa della Liberazione: da che? dal fascismo e dal nazismo. Almeno per capire il
senso della festa bisogna sapere da che ci siamo liberati. Le vicende storiche si affrontano in termini di
conoscenza, la più critica e ragionata possibile, evitando a priori le operazioni di manipolazione, come è
stato fatto per l'appunto sul nostro recente passato, quando si propose la politica della memoria condivisa: la
storiografia naturalmente non può proporsi di costruire una memoria condivisa, è antiscientifico fare storia
avendo già un fine da dimostrare. Purtroppo ciò era già stato fatto in tempi non democratici (anche prima del
fascismo, che come non è un episodio da cancellare, non fu nemmeno la repentina malattia di un sistema
politico perfetto, il che in qualche modo riteneva Croce) con la memoria della costruzione dello stato italiano:
infatti ciò che del Risorgimento si volle trasmettere fu il tentativo di “condividere" una storia raccontata
falsamente: il progetto di costruire gli Italiani dopo costruita l'Italia su un modello di suddito obbediente e
disposto a versare sangue in guerre e avventure di ogni genere, non funzionò come dimostrano - a tacer
d'altro - la "Questione romana" e il "Banditismo del Mezzogiorno": e sarà un caso che la laicità dello stato e
il governo della criminalità sono problemi ancora aperti?

Tutto ciò è noto, storia che si studia a scuola. Ma vorrei provare a dimostrare che una trasmissione acritica e
pregiudiziale non funziona, non solo nel male, ma anche nel bene che le coscienze riescono sì a superare i
vincoli e a dissipare il fumo indotto da una storiografia ufficiale e apologetica, solo però con grande fatica.
Ma la fiducia che la ragione e la coscienza possono mutare lo stato delle cose presenti, agendo in modo
coordinato e attivo è il fondamento etico della democrazia, forma della politica eccellente perché
autocorreggibile e poggiata su una fiducia forte nella specie umana. Che da “plebe all'opre china" può
trasformarsi in soggetto che ha "ideali in cui sperar”: ad onta di tutta la intrinsecamente non democratica
antipolitica e di ogni qualunquismo denigratorio.
La Resistenza è una dimostrazione dolorosa ma
limpidissima di tutto ciò: se centinaia di migliaia di militari italiani presi prigionieri su tutti i fronti dai Nazi
dopo l'otto settembre 1943 trovarono modo coraggio e coscienza di dire no a Hitler e a Mussolini; se i
giovani meridionali sorpresi dall'armistizio a nord della linea gotica presero parte in gran numero alla
Resistenza (che fu evento del nord solo per dislocazione territoriale dalle Alpi fino a Massa e a Carrara e
fino alla Maiella, ma nazionale per la presenza delle persone che vi presero parte); se i ragazzi delle giovani
generazioni rifiutarono di obbedire ai bandi di Graziani (eppure a scuola si doveva dare ogni anno l'esame di
dottrina del fascismo); e se le ragazze e le donne che erano sempre state escluse dalla politica trovarono il
coraggio e la capacità di entrare nella Resistenza in molte forme e con decisione e autonomia, ciò significa che
la nuova storia italiana nasce da una precisa rottura infrazione discontinuità col passato monarchico e
fascista.
Credo che i fascisti se ne siano resi conto allora, perché inventarono la più triste delle canzoni di
guerra, ancor più triste di Lili Marleen, e dice: “le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la
camicia nera" ecc. Qui, persino nella dichiarata impossibilità che esista il più elementare rapporto tra uomo e
donna si mostra un ostacolo senza rimedio, un rifiuto che resta storico e deve essere ricordato in modo civile e
non vendicativo certo, ma non può essere ridotto a una notte in cui tutto è per l'appunto nero': O eguagliato in
un ordine del tricolore offeso e macchiato.

La storia dell'Italia non più suddita nasce in quegli anni, in quei mesi tragici e non è possibile fondare il
patto politico sommo se non sulla Costituzione che ci rese cittadini e cittadine appunto sconfiggendo
monarchia e fascismo e scrivendo la coscienza antifascista di un intero popolo.

Lidia Menapace     Liberazione 26 aprile 2009