La lettera del Papa
La lettera che il Papa ha scritto ai vescovi per rimediare alla crisi aperta con la revoca della scomunica ai prelati lefebvriani, contiene due informazioni che lasciano interdetti.
La prima è che la Santa Sede non consulta Internet, altrimenti - par di capire - venendo a sapere quello che dicevano i vescovi scomunicati, non li avrebbe riammessi alla comunione. Il Papa ne trae ora “la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo portare più attenzione a questa fonte di notizie”. La decisione è giusta, ma è sconcertante che fino al presente la Santa Sede sia rimasta priva di milioni di notizie che certamente aiutano a capire lo stato del mondo (e della stessa Chiesa), notizie che per altro non sono state conseguite nemmeno attraverso i canali tradizionali di proverbiale efficienza e meno moderni.
La seconda informazione è che il Papa si è sentito aggredito anche da cattolici, “con un’ostilità pronta all’attacco”, e che anche nell’ambito ecclesiale sarebbe stato trattato “con odio senza timore e riserbo” per avere osato avvicinarsi ai lefebvriani, venendo così coinvolto nella stessa intolleranza e nello stesso odio di cui essi sarebbero vittime nella Chiesa, pur contando quel gruppo, come dice il Papa, 491 preti, 6 seminari, 8 scuole, 117 frati e un gran numero di fedeli. È in questo contesto che il Papa trova applicabile il grave giudizio di San Paolo: “se vi mordete e divorate a vicenda guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri”. Questo passaggio della lettera indica che il Papa si è sentito in pericolo, non certo nella sua vita fisica, ma nella sua identità come papa. È una cosa assai drammatica, che merita tutta la nostra solidarietà, come sempre si deve essere vicini a chi è o si sente in pericolo, quale che sia la causa del pericolo.
Per questa estrema sincerità, non priva di spunti autocritici e fraterni, la lettera è stata molto lodata, e molto se ne è apprezzata l’intenzione di tranquillizzare i “vescovi perplessi”, prendendone sul serio le obiezioni. Tuttavia se questo era il proposito, allora la lettera avrebbe dovuto essere indirizzata non solo ai vescovi, ma anche a noi fedeli, che siamo coinvolti nelle decisioni del Papa come “pastore di tutto il gregge”, e che siamo rimasti non meno turbati del provvedimento del 21 gennaio, bene o male che ne siano stati illustrati “la portata e i limiti”, nello “sbaglio” che si è compiuto, dice il Papa, “al momento della sua pubblicazione”; altresì la lettera avrebbe potuto essere indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà che erano stati toccati dal Concilio e chiamati a testimoni della riconciliazione con gli ebrei, e che avevano appreso dai giornali che tutto ciò era stato rimesso in discussione.
Quanto al merito del chiarimento papale, esso sostanzialmente retrocede il provvedimento del 21 gennaio a un atto di benevolenza privata, disponibile al Papa perché riguardava solo la disciplina della legittimità della consacrazione episcopale, e non le dottrine coinvolte nello scisma lefebvriano; un atto di clemenza volto a liberare i ribelli da un “peso di coscienza”, mentre resta la più larga scomunica (anche se tecnicamente non si chiama così) verso la Fraternità scissionista, “la quale non ha alcuno stato canonico nella Chiesa e i suoi ministri non esercitano legittimamente alcun ministero nella Chiesa”: insomma un esserci senza esserci.
Ma la cosa più importante di tutte che emerge da questo gran trambusto ecclesiale, è che la vera posta in gioco è la sussistenza del Vaticano II nella Chiesa. L’accanimento, denunciato da Benedetto XVI, con cui si è combattuta questa battaglia, dimostra che a oltre quarant’anni dal Concilio, la Chiesa - vescovi e comunità dei fedeli - non è affatto disposta a lasciarselo togliere, e la lettera pontificia ne rappresenta, in un certo senso, la presa d’atto. Resta naturalmente lo spazio, che continuerà a essere tenuto dai conservatori, del gioco delle interpretazioni, per una “ermeneutica” riduttiva del Concilio, che nulla avrebbe cambiato rispetto alla tradizione, portando in sé “l’intera storia dottrinale della Chiesa”, come dice il Papa, quale era giunta fino al 1962.
Questo diventa pertanto il problema teologico dell’ora: dare conto delle straordinarie novità comportate dal Concilio nella stessa comprensione e formulazione delle dottrine della fede, comprendendole più a fondo come prosecuzione, arricchimento, lettura critica (fino al pentimento!) e nuova intelligenza spirituale (cioè, nello Spirito) dell’intera tradizione ecclesiale. E ciò proprio per rispondere, oggi come allora, al vero problema indicato da Benedetto: impedire che in questo nostro momento della storia Dio sparisca dall’orizzonte degli uomini.
Raniero La Valle
Articolo della rubrica “Resistenza e pace” in uscita sul prossimo numero del quindicinale di Assisi, Rocca