La legge del bavaglio
L´agenda delle priorità di Silvio Berlusconi continua ad essere ad personam.
Quindi, che la ricreazione continui, con buona pace di Emma Marcegaglia.
Sostegno alle imprese e a chi perde il lavoro? Possono attendere. Per la bisogna
sono sufficienti, al premier, un paio di bubbole nel tempio di cartapesta di
Porta a porta (4 giugno): «Oggi non c´è nessuno che perdendo il lavoro non venga
aiutato dallo Stato. C´è la cassa integrazione per i precari, così come per i
lavoratori a progetto».
Il Cavaliere diventa meno fantasioso quando si muove nel suo interesse. Teme le
intercettazioni (non si sa mai, con quel che combina al telefono) e paventa le
cronache come il diavolo l´acqua santa. Si muove con molta concretezza, in
questi casi. Prima notizia post-elettorale, dunque: il governo impone la fiducia
alla Camera e oggi sarà legge il disegno che diminuisce l´efficacia delle
investigazioni, cancella il dovere della cronaca, distrugge il diritto del
cittadino di essere informato. Con buona pace (anche qui) della
sicurezza dei cittadini di un Paese che forma il 10 per cento del prodotto
interno lordo nelle pieghe del crimine, le investigazioni ne usciranno
assottigliate, impoverite. L´ascolto telefonico, ambientale, telematico da mezzo
di ricerca della prova si trasforma in strumento di completamento e
rafforzamento di una prova già acquisita. Un optional, per capirci. Un
rosario di adempimenti, motivazioni, decisioni collegiali e nuovi carichi di
lavoro diventeranno sabbia in un motore già arrugginito avvicinando la machina
iustitiae al limite di saturazione che decreta l´impossibilità di celebrare il
processo, un processo (appare sempre di più questo il cinico obiettivo
"riformatore" del governo). Ancora. Soffocare in sessanta giorni il limite
temporale degli ascolti (un´ulteriore stretta: si era parlato di tre mesi)
«vanifica gli sforzi investigativi delle forze dell´ordine e degli uffici di
procura», come inutilmente ha avvertito il Consiglio superiore della
magistratura,
Sistemata
in questo modo l´attività d´indagine, il lavoro non poteva dirsi finito se anche
l´informazione, il diritto/dovere di cronaca, non avesse pagato il suo prezzo.
Con un tratto di penna la nuova legge estende il regime che oggi regola gli atti
giudiziari coperti dal segreto anche agli atti non più coperti dal segreto «fino
alla conclusioni delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell´udienza
preliminare». Prima di questo limite «sarà vietata la pubblicazione, anche
parziale o per riassunto, della documentazione e degli atti delle conversazioni
telefoniche anche se non più coperti dal segreto».
Si potrà dire che si indaga su una clinica privata abitata da medici
ossessionati dal denaro che operano i pazienti anche se non è necessario. Non si
potrà dire qual è quell´inferno dei vivi e quanti e quali pasticci hanno
organizzato accordandosi al telefono. Lo si potrà fare soltanto a udienza
preliminare conclusa (forse). Con i tempi attuali della giustizia italiana dopo
quattro o sei anni. In alcuni patologici casi, dopo dieci.
Addio al giornalismo come servizio al lettore e all´opinione pubblica.
Addio alle cronache che consentono di osservare da vicino come funzionano i
poteri, lo Stato, i controlli, le autorità, la società. È vero, in
alcuni casi l´ostinazione a raccontare le opacità del potere ha convinto il
giornalismo ad andare oltre i confini del codice penale violando il segreto. È
il suo mestiere, in fondo, perché la libertà di stampa è nata nell´interesse dei
governati e non dei governanti e quindi non c´è nessuna ragione decorosa per non
pubblicare documenti che raccontano alla pubblica opinione - ricordate un
governatore della Banca d´Italia? - come un´autorità di vigilanza protegge (o
non protegge) il risparmio e il mercato.
Naturalmente violare la legge, anche se in nome di un dovere professionale,
significa accettarne le conseguenze. È proprio sulle conseguenze di violazioni
(finora comunemente accettate) che la legge del governo lascia cadere un maglio
sulla libertà di stampa. I cronisti che violeranno la consegna del silenzio
saranno sospesi per tre mesi dall´Ordine dei giornalisti (sarà questa la vera
punizione) e subiranno una condanna penale da sei mesi a tre anni di carcere
(che potrà trasformarsi in sanzione pecuniaria, però). Ma non è questo che conta
davvero, mi pare. Che volete che sia una multa, se si è fatto un lavoro decente?
La trovata del governo che cambia radicalmente le regole del gioco è un´altra. È
la punizione economica inflitta all´editore che, per ogni «omesso controllo»,
potrà subire una sanzione pecuniaria (incarognita nell´ultimo testo) da 64.500 a
465mila euro. Come dire che a chi non tiene la bocca cucita su quel che sa - e
che i lettori dovrebbero sapere - costerà milioni di euro all´anno la violazione
della "consegna del silenzio", cifre ragguardevoli e, in molti casi,
insostenibili per un settore che non è in buona salute. L´innovazione
legislativa - l´abbiamo già scritto - sposta in modo subdolo e decisivo la linea
del conflitto. Era esterna e impegnava alla luce del sole la redazione,
l´autorità giudiziaria, i lettori. Diventa interna e vede a confronto, in una
stanza chiusa, le redazioni e le proprietà editoriali. La trovata
trasferisce il conflitto nel giornale. L´editore ha ora un suo interesse
autonomo a far sì che il giornale non pubblichi più quelle cronache. Si portano
così le proprietà a intervenire direttamente nei contenuti del lavoro
redazionale. Le si sollecita, volente o nolente, a occuparsi della materia
informativa vera e propria, sindacando gli atti dei giornalisti. Il governo, nel
progetto inviato al Parlamento, pretende addirittura che l´editore debba
adottare «misure idonee a favorire lo svolgimento dell´attività giornalistica
nel rispetto della legge e a scoprire ed a eliminare tempestivamente situazioni
di rischio». È evidente che solo attraverso un controllo continuativo e molto
interno dell´attività giornalistica è possibile «scoprire ed eliminare
tempestivamente situazioni di rischio». Di fatto, l´editore viene invitato
a entrare nel lavoro giornalistico e a esprimere un sindacato a propria tutela.
Ecco dunque i frutti intossicati della legge che oggi sarà approvata, senza
alcuna discussione, a Montecitorio: la magistratura avrà meno strumenti
per proteggere il Paese dal crimine e gli individui dall´insicurezza quotidiana;
si castigano i giornalisti che non tengono il becco chiuso anche se sanno come
vanno le cose; si punisce l´editore spingendolo a mettere le mani nella fattura
del giornale. E quel che conta di più, voi - cari lettori - non
conoscerete più (se non a babbo morto) le storie che spiegano il Paese, i
comportamenti degli uomini che lo governano, i dispositivi che decidono delle
vostre stesse vite. Sono le nuove regole di una "ricreazione" che non finisce
mai.
Giuseppe D’Avanzo Repubblica 10.6.09