La grande ingerenza

Il Sacramentum Caritatis non è altro che il definitivo suggello papale alla Restaurazione. Il pontefice ha ribadito che "politici e legislatori cattolici" non devono votare leggi in contrasto con "la natura umana". E' la fine del Concilio Vaticano II

E fu così che nell'anno di grazia 2007 fu messa la pietra tombale al Concilio Vaticano II, per il quale già da anni era pronta la fossa. L'esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis, resa nota oggi, non è altro infatti che il definitivo suggello di Benedetto XVI alla grande Restaurazione.

Un processo iniziato sotto il pontificato wojtyliano, passato attraverso la messa al bando di tutte le opzioni progressiste interne al cattolicesimo (e la contemporanea benevolenza verso le frange estremiste, a partire dai lefebvriani), la crescita smodata di realtà ''laiche'' più integraliste di buona parte del clero (da Comunione e Liberazione alla tentacolare Opus Dei), il costante soffocamento delle istanze teologicamente più avanzate, dei preti più coraggiosi, delle battaglie sociali in Africa e in America Latina, della collegialità episcopale. E l'elenco potrebbe continuare all'infinito.

Papa Giovanni aprì la finestra della Chiesa, per "far entrare - lo disse lui stesso - l'aria fresca del mondo". Il suo successore tedesco la richiude, senza ipocrisie e senza neanche versare una lacrima per l'eredità conciliare dissipata e calpestata. Si possono contraddire palesemente, dopo poco più di 40 anni dalla sua chiusura, le costituzioni dogmatiche (e sottolineiamo dogmatiche) di un Concilio ecumenico, presieduto da un pontefice e composto da tutti i vescovi del mondo? Se lo chiedano i tanti che si ritengono veri cattolici, i tanti che sono convinti che la strada non possa che essere quella imboccata fin dai primissimi anni '80, quando al Sant'Uffizio veniva chiamato lo stesso Ratzinger. Il Concilio infatti sanciva la distinzione tra piano spirituale e piano politico-temporale: "La comunità politica e la Chiesa - stabiliva la Gaudium et Spes - sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo". Oggi invece l'ingerenza è la norma.

Il papa si scaglia nella Sacramentum Caritatis contro i Dico, ribadendo che "politici e legislatori cattolici consapevoli della loro grave responsabilità sociale" non devono votare leggi che vanno contro "la natura umana". Un vero e proprio diktat universale (un'esortazione post-sinodale ha natura magisteriale, ed è vincolante per tutti i cattolici). La Chiesa si arroga il diritto di stabilire i programmi politici dei governi presenti e futuri, spogliando i deputati cattolici da ogni vincolo rispetto agli elettori, e in definitiva della comunità politica che li ha scelti, e di fatto eterodirigendoli in nome non del bene comune e della salvaguardia della persona, ma di (presunte) verità di fede. I malcapitati parlamentari cattolici, ordina Ratzinger, devono "dare pubblica testimonianza della propria fede" nella difesa della famiglia, del matrimonio, della vita, insomma in tutti i "valori fondamentali".

E' la fine del sogno di conciliare il cattolicesimo con i diritti individuali dei cittadini, con la libertà di coscienza, con l'autonomia della sfera politica. Quei diritti suggellati (o così si sperava) da Giovanni XXIII nella Pacem in Terris: "In una convivenza ordinata e feconda - scriveva Roncalli nel 1963 - va posto come fondamento il principio che ogni essere umano è persona cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili". Oggi invece al politico cattolico viene posto un vero e proprio ultimatum: "I valori fondamentali come il rispetto e la difesa della vita umana" hanno "un nesso obbiettivo con l'Eucarestia". Tradotto, se votate leggi "sbagliate" scordatevi di fare la Comunione. Un diktat gravissimo, con l'unico precedente della scomunica dei comunisti del 1949, in piena guerra fredda, e peraltro molto spesso ignorata. E poi, appunto, non c'era stato il Concilio. Che stabiliva la distinzione tra errore e erranti, definizione caritatevole di Roncalli che permetteva di tener salde alcune convinzioni dottrinali della Chiesa senza per questo emarginare i "peccatori".

Una bella lapide anche su questo: i divorziati risposati ad esempio, ammonisce Ratzinger, sono un problema spinoso, anzi addirittura "vera piaga dell'odierno contesto sociale", e non possono assolutamente essere ammessi ai sacramenti.
Il papa mette il punto anche sul problema della castità dei preti, come noto una condizione non dogmatica ma storica, rivista da tutte le confessioni cristiane tranne quella cattolica: il celibato "è una ricchezza inestimabile". E vacilla anche la costituzione conciliare forse più nota, quella sulla liturgia: Benedetto XVI auspica un ritorno al latino e al canto gregoriano, da sempre armi ideologiche dei nostalgici di una Chiesa monarchica e tridentina. ""E' bene - scrive, riferendosi soprattutto ai grandi incontri internazionali - che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano". E ancora, l'invito a preservare la domenica, e quello alla salvaguardia del ruolo della donna. Un ruolo, beninteso, che la irreggimenta rigorosamente nel "suo essere sposa e madre".

Insomma, un vero e proprio manifesto controriformista, qualcosa di simile all'enciclica "Quanta Cura" del 1864, firmata Pio IX. Di fronte a un mondo politico tremante e incerto (e se era lecito aspettarselo dal centrodestra, fa male notare la stessa debolezza strutturale nel centrosinistra) la Chiesa torna a dettare norme e comportamenti. Seppellisce, con il Concilio, la grande tradizione del cattolicesimo liberale, da Gioberti a Rosmini, da Manzoni al De Gasperi che si oppose all'Operazione Sturzo progettata da Pio XII. Spacca oggettivamente la politica italiana, costretta a dilaniarsi su questioni che in tutta Europa sono state affrontate e ampiamente superate (spesso, come in Francia, ad opera di governi di destra), e a fare la conta tra chi è più cattolico e chi meno (a quando il termine "infedele"?).

Un documento, questa "Sacramentum caritatis", che di caritatevole non ha niente, un passaggio gravissimo, ai limiti del reato. Ricattare un deputato regolarmente eletto, è stato detto, va contro la Costituzione. E' vero. Ma a nostro avviso è ancora più grave il complessivo spostamento a destra della Chiesa cattolica, che si autocondanna all'isolamento, si arrocca nella difesa della Verità, e in un'epoca di scontro di civiltà offre di sè un'immagine speculare a quella del mondo islamico. Che non per caso Ratzinger giunse pochi mesi fa a indicare ad esempio per la spiritualità e la lotta al relativismo che vigono in quei paesi. Gli strali feroci che l'Osservatore Romano ha dedicato alla manifestazione sui Dico hanno le tinte fosche dell'intolleranza e dell'oscurantismo, e chi era lì sabato pomeriggio non dimenticava che a pochi metri, a Campo de' Fiori, avevano divampato i cupi bagliori del rogo per Giordano Bruno. Ci piace, per non rovinare la giornata a molti lettori, concludere con le parole del solito papa Giovanni, con la speranza che la Chiesa torni a farle proprie: "Niente condanne dottrinali - disse parlando del Concilio - oggi la Chiesa preferisce piuttosto dimostrare la validità delle sue dottrine e far uso della medicina della grazia".

 

Paolo Giorgi        Aprile online 13 marzo 2007