La giustizia e la
vendetta
All´origine del sentimento di giustizia c´é un sentimento naturale di vendetta –
gli utilitaristi lo chiamavano sentimento "animale" per sottolinarne l´utilitá
immediata per l´individuo ma anche la necessitá della sua rieducazione. È un
sentimento "naturale" nel senso che viene prima di ogni educazione morale e
intellettuale, prima della riflessione ragionata e delle istituzioni, e serve a
orientare la nostra risposta all´ambiente in vista della nostra sopravvivenza,
il bene primario.
Uno dei padri fondatori del liberalismo, John Locke, sosteneva per questo che
benché capaci di naturale giudizio morale e di ragionevolezza, gli esseri
umani non riescono a vivere fuori dello stato per una ragione molto semplice:
perché non sanno essere imparziali. Quando vengono offesi o
danneggiati giudicano in maniera parziale perché danno a se stessi e alle
proprie cose un valore sproporzionato in eccesso. Per questo serve un giudice
esterno: una norma che non sia fatta né da chi ha subito il danno
(giustizia come vendetta) né da chi il danno vuole perpetrarlo (giustizia come
licenza) ma da chi si mette ipoteticamente nella condizione ideale di un giudice
disancorato o di chi non é parte in causa e che per questo riesce a valutare
spassionatamente. Su queste premesse riposa la possibilitá di creare la pace
sociale.
La
civilitá puó essere a ragione definita come un processo faticoso, e a quanto
pare mai compiuto, per superare o domare il sentimento "animale" della
giustizia come vendetta e ritorsione in un sentimento riflessivo che
sappia giudicare a prescindere dalle passioni che l´ingiustizia provoca nella
vittima o dagli interessi che un comportamento equo puó imporre di sacrificare.
Come si puó intuire, ragionare secondo giustizia é un esercizio tutt´altro che
spontaneo e facile: l´educazione che i genitori ci impartiscono quando siamo
bambini e che l´obbedienza delle leggi ci conferma quando siamo adulti é
un segno di quanto sia innaturale ragionare secondo giustizia e quanto venga
invece spontaneo farci guidare dall´istinto di proteggere noi stessi e le nostre
cose con tutti i mezzi e sopra tutto e tutti. Lo Stato di diritto, la
norma uguale per tutti, l´autonomia della sfera giuridica da quella politica
sono gli esiti piú importanti di questo grande e difficile cammino della
civilitá dalla naturalitá del sentimento di vendetta al sentimento ragionato di
giustizia.
In Italia si assiste a una trasvalutazione dei valori, a un rovesciamento vero e
proprio del sentimento di giustizia per cui si sente dire con rituale frequenza
e impudica chiarezza che i giudici perseguitano o che la giustizia si vendica,
mentre la giustizia vera sarebbe quella più vicina ai propri desideri e
interessi. Ovviamente la giustizia che si fa vendetta é un atto
gravissimo. Ma quando ciò succede si é già fuori della giustizia, si é già nella
dimensione del reato, per giudicare del quale é comunque necessaria una visione
della giustizia come imparzialità. Per questo é sempre sbagliatissimo e
improvvido associare la giustizia alla persecuzione o alla vendetta, anche
quando per le ragioni le più diverse si dissente dall´operato dei giudici. Ed é
sbagliatissimo soprattutto quando a fare questi proclami non sono cittadini
ordinari che chiacchierano davanti a un bicchiere di vino, ma invece uomini
delle istituzioni e mezzi di informazione. Siamo qui di fronte a un caso di
stravolgimento di quella che é la relazione impersonale ordinata dalla legge tra
il cittadino (potenzialmente tutti senza distinzione) che può aver o ha violato
la legge e il magistrato che ha il compito di verificare che ciò sia avvenuto
per poter giudicare il reato, comminare la pena e così restaurare l´integrità
della legge.
Quando questa relazione viene stravolta dichiarandola vendicativa e questo stravolgimento addirittura esaltato in nome di più vera giustizia e fatto passare nel linguaggio ordinario si produce gravissimo danno non tanto o soltanto alle istituzioni, ma anche e soprattutto alla nostra personale sicurezza, poiché a cadere insieme al senso di giustizia é la fiducia reciproca (se giustizia é vendetta di chi ci si può più fidare?) e con essa la tranquillità della vita quotidiana. E purtroppo questo stravolgimento valoriale e linguistico ha effetti che sono difficili perfino da immaginare e controllare e che vanno ben al di là del fatto specifico per il quale esso é stato ad arte creato, ovvero la protezione degli interessi particolari di chi ci governa. Il paradosso é che proprio colui dal quale vengono le accusa di persecuzione rivolte ai giudici, poi quando deve trovare un argomento di difesa del suo operato si appella proprio a una giustizia dei giudici. Rispondendo alle domande di Bruno Vespa sulla sua ricattabilitá, il Presidente del consiglio ha detto che quando nei suoi «confronti sono state avanzate richieste che secondo il giudizio [suo] e dei [suoi] legali si configuravano come ricattatorie, [egli si é] immediatamente rivolto all´autorità giudiziaria» – e se questo é vero é perché egli stesso deve presumere che questa autorità sia imparziale e per questo meritevole di autorità.
Nadia Urbinati Repubblica 6.11.09