LA GEOPOLITICA AL TEMPO DEGLI OLEODOTTI

Basta seguire le rotte del gas e del petrolio per capire la geopolitica di questo tormentato inizio secolo, come leggerete nell'articolo sui progetti di oleodotti pubblicato in questo numero del Venerdì. Un inizio secolo che modifica profondamente, o addirittura ribalta, le tendenze che erano emerse nell'ultima decade del precedente. Tra il 1990 e il 2000 il mondo sembrava essersi appiattito con la caduta di barriere decennali, prima fra tutte la Cortina di ferro che divideva in due l'Europa ma di fatto il mondo intero, e la globa-lizzazione. Tanto che si levarono incauti peana alla pace garantita e alla fine della Storia. L'inizio del nuovo secolo ha azzerato gli inni alla gioia e, con l'offensiva terroristica islamica contro l'Occidente (in sequenza New York, Madrid, Londra) e le relative risposte americane, dall'Afghanistan alla sciagurata guerra irachena, ha ricreato barriere e steccati: che in parte riproducono quelli della Guerra fredda, dall'altra ne sono la conseguenza sotto forma di rivincita. Le trame degli oleodotti a venire disegnano un mondo opposto a quello che sembrava delinearsi fino all'11 settembre 2001.

Prima tutti per uno e uno per tutti: «Siamo tutti americani» scrisse Le Monde dopo l'attacco alle Torri gemelle, ma duro poco. Oggi, piuttosto, tutti per sé e nessuno per gli altri. L'America e irritata con la Russia perché rialza la testa e vuole misurarsi da pari a pari, forte appunto della sua potenza energetica, della sua crescita economica al sette per cento annuo, ma an-che della forza nucleare ereditata dall'Urss e mai smantellata. La Russia e avvelenata con l'Europa e con la Nato perché si sono «annesse», secondo il Cremlino, i vecchi satelliti di Mosca, che finge di sentirsi perciò isolata e insicura. Gli ex Paesi comunisti dell'Europa manifestano odii e gelosie retrospettive verso la Russia, che si traducono in iniziative addirittura grottesche (come la costosissima campagna dell'Estonia, in parte finanziata da fondi comunitari, per promuovere l'aringa del Baltico a cibo nazionale estone). E fomentano i timori della vecchia Europa per la dipendenza energetica dalla Russia, finendo per divi-dere anziché unire la Ue a 27. E, intanto, il Medio Oriente, ignorato o trascurato, e un fuoco d'artificio. La Cina guarda e aspetta, ma allarga la sua sfera di influenza in Africa, dove secondo l'ultimo sondaggio globale Pew gode di una buonissima opinione pubblica, di fronte a quella pessima dell'America.

E un mondo confuso e pericoloso, quello che viene fuori guardando i percorsi dei futuri gasdotti. Ci vorrebbe un saggio che mettesse ordine. Ma, temo, dovremo aspettare un nuovo presidente americano. Cioè quasi due anni. Troppi?

 Umberto Galimberti      Venerdì di Repubblica  13/07/07