La forza del post-it

 

La legge bavaglio sembra ormai destinata ad essere rimandata a settembre. Questo è l’esito di una battaglia politica di cui è opportuno rintracciare i protagonisti, anche perché questioni altrettanto gravi si stagliano sull’orizzonte e la tutela di diritti fondamentali continuerà ad esigere la presenza convinta dei loro difensori. Senza trionfalismi, ma registrando un dato di realtà, si può ben dire che l’opinione pubblica ha giocato un ruolo essenziale. Dicendo a tutti che si può e si deve uscire dalla passività, che vi sono buone cause per le quali vale sempre la pena di battersi e che perfino in tempi così difficili non è impossibile sconfiggere i molti nemici della libertà.

Questa volta il vero sconfitto è uno solo, il Presidente del consiglio, abituato a parlare padronalmente sempre in prima persona, imputandosi ogni successo, e che quindi sa d’essere lui ad aver perduto la partita. S’infuria non tanto perché la "sua" legge è stata stravolta, ma perché il suo potere è stato messo in discussione, e non attraverso complotti e ribaltoni, ma grazie alla discussione aperta e nell’odiatissima sede parlamentare, che questa volta non ha potuto domare a colpi di fiducia.

Ma dev’essere sottolineato anche il modo in cui si è formato e ha agito questo movimento di opinione. Si sono congiunte diverse modalità dell’agire pubblico. Le antiche piazze si sono riempite grazie anche agli inviti lanciati nelle nuove piazze telematiche. I cittadini attivi hanno potuto materializzarsi sui siti Internet dov’era possibile raccogliere adesioni. La vecchia stampa e il nuovissimo Facebook hanno marciato insieme. Su tutto questo bisogna riflettere, di questa esperienza non bisogna perdere troppo presto la memoria, perché non si è trattato della semplice somma di iniziative diverse, ma di una qualità diversa dell’azione politica. Non vi sono stati appelli dall’alto ai quali si chiedeva semplicemente di aderire, rimanendo poi la gestione dell’intera vicenda in poche mani. Si sono, invece, manifestati soggetti diversi, grandi e piccoli, tutti fortemente autonomi, che si sono sostenuti a vicenda, hanno dialogato anche polemicamente, hanno depurato il tema in discussione dagli aspetti particolaristici e corporativi. Tra la politica e le persone è stato aperto un canale, una distanza che pareva incolmabile per un momento è stata colmata. Di questo dovrebbero tenere conto i partiti, quelli di opposizione in primo luogo.

Si potrebbe obiettare che il successo è stato possibile solo perché ci si è trovati, e si è ancora, in una particolarissima congiuntura politica. Senza il dissenso dei Fini e dei finiani non vi sarebbe stata nessuna conclusione positiva. Ammettiamo pure che le cose siano andate, almeno in parte, così. Ma è del tutto evidente che solo l’esistenza di una vera e forte opposizione sociale ha impedito che i conflitti tra maggioranza e minoranza del Pdl potessero essere ridotti a regolamenti di conti interni a quel partito, e quindi delegittimati e riassorbiti. I dissenzienti sapevano di parlare in nome di un’opinione pubblica larga, rappresentata anche nei territori del Pdl. Ma l’opposizione sociale è stata benefica pure per l’opposizione parlamentare, che ha ritrovato un piglio e una grinta che non sempre caratterizzano la sua azione.

Un segnale per il futuro? Bisogna stare attenti a non correre troppo. La politica per issues, per temi specifici, offre grandi opportunità, ma conosce limiti significativi. Lo sguardo sul futuro immediato, allora, deve tener conto di due fatti importanti. I tentativi di limitare i diritti non cominciano e finiscono con la legge bavaglio, ma caratterizzano il nostro tempo, dilatano la politica per issues, entrano stabilmente nell’agenda politica e consentono così continuità d’azione a chi vuole opporsi ad ogni forma di autoritarismo, di sequestro delle libertà delle persone. Vi è, poi, il contemporaneo ridestarsi di una attenzione più generale per tutte le sfaccettature della dimensione dei diritti, testimoniata dal milione e quattrocentomila firme a favore del referendum sull’acqua come bene comune e dal quaranta per cento degli operai di Pomigliano che, in condizioni difficilissime, hanno rivendicato libertà e dignità contro proposte che le limitavano. E’ compito della politica in senso largo far sì che questi diversi fatti, lotta contro la legge bavaglio compresa, non rimangano episodi isolati.

Non credo che sia una caduta di stile ricordare infine il modo in cui questo giornale ha partecipato a questa impresa civile, anche con la sua edizione online e con invenzioni grafiche come quella dei post-it gialli che continuano a costellare le sue pagine. Non vi era in campo "il partito di Repubblica". Vi era e vi è un giornale che fa la sua parte quando è proprio la sua funzione informativa ad essere messa in discussione. E, con essa, la stessa democrazia.

 

Stefano Rodotà      La Repubblica  30/7/2010