La famiglia riposi in pace
Comincerò dal motore caldo che muove, in questi giorni, la Repubblica italiana e
l’intero schieramento della sua politica. Ogni Paese, per ragioni mediatiche,
per ragioni politiche, e in dialogo con la sua opinione pubblica, ha un motore
caldo che per certi periodi fa girare notizie, impone attenzione, determina
aggregazioni e contrapposizioni. In Usa sono le elezioni primarie per
interpretare il futuro, il Francia è la fluviale conversazione su Sarkozy: così
originale e macho, è molto meglio o molto peggio dei suoi compassati
predecessori?
In Inghilterra è lo stallo fra due partiti rispettabili e stimati, laburisti e
conservatori. Il dibattito è come distinguerli. In Germania la «conservatrice»
Angela Merkel è così social democratica da costringere i socialdemocratici doc a
spostarsi a sinistra. Insomma Paesi fortunati, dove la politica è un’attività
seria, dove nessun miliardario estroso fonda un partito, lo lascia a una
badante, e poi se ne va alle Bahamas.
In Italia è diverso. In Italia il miliardario, che indossa un girocollo tipo
architetto geniale, e continua a ripetere, con lo stesso sorriso (che in omaggio
alla festa dell’Epifania, qui non sarà descritto) le stesse cose sui comunisti
che se ne devono andare perché solo lui è degno di governare, può benissimo
godersi la vacanza. Infatti gli hanno appena consegnato e attivato un motorino
che ronza in ogni angolo della Repubblica e rende i migliori cervelli occupati e
preoccupati. L’hanno chiamato «la moratoria dell’aborto». E passi per il plagio
al successo dei Radicali italiani e del Governo per il voto ottenuto all’Onu: sì
alla moratoria mondiale della pena di morte.
Quello che interessa e che intriga è il senso e la ragione stessa di esistere
del marchingegno. Persino il Papa - certo il Cardinale Ruini - ha certo pensato
che si trattasse di una nobile discesa in campo di certi laici, un tempo
spericolati, in difesa del divieto assoluto e perenne dell’aborto. Invece no.
L’aborto è un imballaggio, destinato se mai a inquinare il paesaggio come gli
imballaggi che assediano la periferia di Napoli.
Dentro l’imballaggio, di cui tutti discutono con vampate di cultura teologica
che passa trasversalmente da un versante politico all’altro e converte ex
fascisti della prima ora e marxisti ante-marcia (prima cioè del ’68), c’è una
geniale macchinetta.
Appena liberata dal venerabile involucro, ha un solo scopo, che è insieme
missione politica e scherzo goliardico: spacca il Partito democratico. Il
marchingegno funziona così, per chi casca nel gioco, un po’ ignobile ma pensato
con estro tanto malevolo quanto geniale: divarica le sponde (quella vagamente
laica e quella vagamente religiosa) del Partito democratico, accende improvvisi
intransigenti furori, che, come scintille di un incendio estivo, si propagano in
modo quasi istantaneo a ogni altro punto dello schieramento politico. Le azioni
si fanno concitate, i linguaggi sgradevoli, le minacce dilagano dalla
intimidazione a non restare nello stesso partito fino alle ipotesi di
tradimento, ma anche all’accusa di ateismo come cancro della politica, alla
minaccia dell’inferno come destinazione naturale dei miscredenti. Si intravede
la fine, che è proprio quella voluta dalla macchinetta avvelenata: il peccato
mortale. Piuttosto che stare insieme con gli atei con inclinazioni assassine, è
meglio tradire e “votare con loro”.
“Loro” sono i devoti e cristianissimi sospetti di mafia, condannati per
corruzione di giudici, eletti e rieletti nonostante imputazioni e condanne, una
allegra banda di male accasati che vivono con altre mogli, generano
affettuosamente e altrove altri figli, raccomandano alla televisione di Stato
ragazze del mercato privato, dopo avere verificato di persona il prodotto alla
Farnesina, quando erano accampati in quel Ministero.
E qui diventa chiaro un fatto insolito a cui non si era pensato. Non è Il
Foglio, docile e sottomesso credente, che segue il Papa. È il Papa - o almeno i
suoi cardinali prestati alla politica - che segue Il Foglio. Riconoscono la
genialità del marchingegno, la trappola del tradimento annunciato, che non è
cattiva volontà di questo o quel senatore (senatrice) credente. È una sorta di
obbligo prefigurato che al momento giusto - quando c’è, mettiamo, un solo
senatore dell’Unione in più in Aula - fa scattare fuori dalla scatola il dio di
cartone del premiato giornale.
Infatti Dio non c’entra niente e non ha mai detto né dice tutte le sere, in
tutti i telegiornali, qualunque sia la notizia, che Prodi deve andare a casa.
Questa che stiamo discutendo, anche se in apparenza riguarda - ci dicono - le
vite innocenti dei nascituri, in realtà è niente altro che la voce e la volontà
di Berlusconi travestita da voce e volontà di Dio. Non l’aborto, intendiamoci,
che è un indecente pretesto. Non l’angoscia e il dilemma delle madri e il severo
e immutabile ammonimento della Chiesa. Qui si gioca una sola vita, quella di un
secondo governo Berlusconi, che speriamo non nasca mai (ricordate? Crescita
zero!). È anzi la miglior ragione per restare abortisti.
Su tutto il resto l’importante discorso è grande, civile, aperto e - come dice
Marco Cappato a nome dei Radicali - non ci sono totem e non ci sono tabù (salvo
il rispetto - questo sì, non negoziabile, del diritto delle donne a decidere sul
proprio corpo).
Ma sulla gestazione di un Berlusconi bis che potrebbe tornare a mettere fuori la
testa, con la maglietta girocollo e il sorriso-vendita, la risposta, sia
teologica che pratica, non può che essere no.
* * *
«Noi vogliam
Dio» dice un inno cristiano che è un atto di fede. Ma possibile che Dio voglia
Berlusconi? Infatti un conto è permettere, per ragioni imperscrutabili, cose
tremende nell’altra vita. Un conto è organizzarci per volerle adesso, in Italia,
a breve scadenza. E qui bisogna dire che la crociata del finto aborto, del
tradimento indotto nei credenti, e del vero esito programmato, che è la
liquidazione di Prodi, una crociata farsesca che sta già mobilitando nobili
discussioni, fieri scontri e - finora - solo poche denunce per la incredibile
messa in scena, difficilmente proponibile in Paesi meglio serviti da stampa e Tv
indipendenti, bisogna dire che questa crociata non è isolata.
Il Papa sarà anche - come è lecito pensare - un lettore ammirato del Foglio
(ammirato, se non altro, dal cubo di Rubik che, su questo argomento Il Foglio ha
inventato). Ma di suo fa davvero - e con grande autorità - tutto il possibile
per spaccare il neonato Partito democratico e per indurre le sue componenti
altrettanto nobili ma profondamente diverse, a scontrarsi e - se Dio vorrà - a
dissociarsi.
Come lo fa? Ma, per esempio, con l’affermazione molto celebrata ma certamente
stravagante secondo cui «negare la famiglia minaccia la pace» (titolo del
Corriere della Sera, 2 gennaio). Un bel colpo in più alle coppie di fatto
descritte come una minaccia di guerra.
Vero, i titoli estremizzano. Le frasi esatte sono «la famiglia naturale fondata
sul matrimonio fra un uomo e una donna è culla della vita e dell’amore, e
insostituibile educatrice alla pace».
È evidente che questa prima frase, che viene interpretata come un precetto e un
comandamento, sia niente di più di un benevolo augurio per la istituzione
famiglia che - insegna la vita, ma anche le statistiche, ma anche i
commissariati di polizia, ma anche i tribunali, ma anche le cronache - è la più
ambigua delle istituzioni umane nel senso che - come anche la letteratura
dimostra - è il migliore e il peggiore contesto sociale che si conosca. Si
presta alla esortazione, alla protezione, a un intenso lavoro per allargare il
meglio e ridurre il peggio.
Non si presta a servire da modello assoluto. Nessun riscontro fattuale,
statistico, sociologico ci dice che lo è. Al contrario, molto di ciò che
sappiamo della famiglia è una collezione di promesse, speranze, pericoli,
fallimenti e tragedie. La stessa definizione di famiglia offerta come unica dal
Papa è in sospeso nei secoli fra donne schiave, condannate a lungo, anche nei
Paesi cristiani, per colpe da cui gli uomini sono sempre stati esenti, e donne
partner che co-decidono delle scelte di casa e dei figli; fra donne fattrici di
figli quasi fino alla morte e donne apprezzate (ma poco, ma tardi) per le loro
qualità di persone.
Ma c’è una seconda frase che è certamente ispirata a buoni sentimenti ed è
certamente non vera: «Lo stesso amore che costruisce e tiene unita la famiglia,
cellula viva della società, favorisce l’instaurarsi fra i popoli della terra di
quei rapporti di solidarietà e di collaborazione che si addicono a membri della
unica famiglia umana». Eppure Ratzinger dovrebbe aver presente la storia
esemplare della famiglia Goebbels, una famiglia molto legata e affiatata in cui
il padre e la madre hanno ucciso i loro quattro bambini col cianuro «perché non
cadessero in mani comuniste». E sono state una infinita catena di buone e
amorevoli famiglie cristiane a rendere possibile l’individuazione, l’isolamento,
l’arresto, la deportazione, lo sterminio di una infinita catena di buone e
amorevoli famiglie ebree, senza alcuna esclusione per i bambini.
Chi indebolisce la famiglia, questa grande e ambigua istituzione umana? Lo dice
di nuovo il Papa: i colpevoli sono coloro che hanno in mente strane e
peccaminose aggregazioni alternative, come due che si amano e non si sposano o
(Dio ce ne scampi e liberi) due che si amano e sono dello stesso sesso. Ecco, ci
dice il Papa, i nemici della pace. E’ una affermazione senza alcun fondamento
perché non si sa di quale pace Benedetto XVI stia parlando. Non ha mai visto il
Papa in quel telegiornale della sera che, ci dicono i quotidiani il Pontefice
non perde mai, la tragica fierezza della madre del kamikaze (che a volte è un
bambino) quando avvengono i lugubri festeggiamenti dopo “il martirio”?
È vero che la famiglia umana può essere «comunità di pace», vorremmo dire al
Papa con tutto il rispetto del mondo, dopo avere ricordato terribili fatti veri
del passato e dei nostri giorni. Ma è vero di qualunque famiglia umana in cui
c’è amore, rispetto, lealtà e legame profondo. È il mondo in cui i sofferenti
come Piergiorgio Welby non vengono lasciati morire di dolore e poi abbandonati
fuori dalla chiesa senza una parola di conforto e di solidarietà per la
famiglia.
Forse è il caso di ricordare che ci sono famiglie esemplari e famiglie di mafia,
famiglie che danno la caccia agli zingari e famiglie che li accolgono. E
famiglie che accettano e amano e sostengono i loro figli omosessuali e le loro
unioni, famiglie fatte, allo stesso modo, di amore e di pace.
Come sarebbe bello, anche per un non credente, sentirsi dire che la pace non si
fonda sulla apartheid dei veri credenti, e che l’amore non è l’esclusiva di
certe persone e di certe famiglie e di certe unioni, però non di altre, che
invece devono essere considerate pericolose perché nemiche della pace. Riesce
difficile anche a un non credente (per ragioni di carriera ormai ce ne sono
pochissimi) immaginare un Dio stizzoso che caccia dalla sua porta chi non
corrisponde nei dettagli all’identikit che viene fornito ogni giorno, come
regola di comportamento politico, al governo italiano dalla presente Chiesa di
Roma e dal quotidiano Il Foglio.
Furio Colombo l'Unità 6.1.08
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