La faccia del capo nella catastrofe
Per chi ha il controllo dei mezzi di comunicazione la catastrofe è
un'occasione d'oro. La causa naturale sottrae responsabilità: è il
prodotto del fato. Resta sullo sfondo il contributo diretto di chi ha costruito
con molta sabbia, poco cemento e poco ferro, di chi ha rilasciato autorizzazioni
incaute, di chi non ha controllato la qualità dei materiali e dei manufatti, di
chi per decenni ha permesso che una zona tra le più sismiche d'Italia non fosse
classificata nella prima categoria di pericolo, con l'unico scopo di garantire
costi di edificazione più bassi e valori dei suoli più alti.
Per le vittime la catastrofe è morte, perdita degli affetti e dei beni, angoscia
e incertezza del futuro. Per chi non ha subito danni è occasione di solidarietà
e sostegno. Ma per i mezzi di comunicazione la catastrofe è prima di tutto
spettacolo della sofferenza.
La telecamera indugia su volti piangenti, illustra destini spezzati, inquadra
l'orsetto di peluche, la culla schiacciata. La musica aggiunge pathos.
Telegiornali e programmi si avvicendano, macinano ore di trasmissione in cui
domina l'affabulazione sentimentale e manca l'analisi. Chi pone domande
indiscrete viene bollato: non rispetta il dolore, è uno sciacallo. La
trasmissione Anno Zero per aver dato voce a critiche sulla disorganizzazione dei
soccorsi è stata lapidata. Ora si aggiunge l'inverosimile allontanamento di
Vauro. Ma dopo la dose opportuna di sventura e infelicità giunge la
catarsi. Il capo in mezzo al popolo stringe mani, conforta, promette.
Dispensa forza e sicurezza. Mentre chi fa domande è accusato di non rispettare
il dolore, il capo vince e supera il dolore. Le telecamere - compiacenti le sue,
asservite quelle delle reti pubbliche - lo inseguono e illustrano: mascella
stretta, fermezza virile. La carta stampata in buona parte segue corriva. La
sintesi è già pronta e già detta: il consenso verso di me supera il 70 e va
verso l'80%; non sono più solo il presidente del consiglio sono il presidente di
tutti gli italiani. Pochi si azzardano a osservare che così trae vantaggio
improprio dalla sventura e dal dolore. Dietro il capo, grande protettore, la
società perde il suo carattere pluralistico e conflittuale. Il contrasto tra gli
interessi, la lotta tra le parti si attenuano e svaniscono. Resta in primo
piano il rapporto fiduciario tra capo e popolo. La logica democratica lascia il
posto alla logica plebiscitaria e questa si alimenta con la prassi
pubblicitaria.
Con una critica che non va oltre il blando rilievo di costume, Gramellini su La
Stampa mette in luce che il capo sguazza a meraviglia nel clima di estrema
emergenza. La retorica del fare lo galvanizza. Così dà il meglio di sé: ci
mette la faccia. Ma Gramellini non spiega perché sarebbe un merito. Non
gli costa niente: le reti o sono sue o è come se lo fossero. La protezione
civile non funziona meglio perché c'è il presidente del consiglio in giro per le
macerie a farsi filmare e fotografare. L'aveva già fatto a San Giuliano per la
scuola schiacciata con dentro alunni e insegnanti ma le conseguenze benefiche di
quella tempestiva presenza ancora si attendono. Ci mette la faccia perché
questa è l'essenza ontologica del suo modo di gestire il ruolo: si mette in
scena. Sale nei sondaggi perché ci mette la faccia e ci mette la faccia perché
sale nei sondaggi.
Vedremo nel prossimo futuro se vorrà salire nei sondaggi facendo apprestare
l'elenco più preciso delle imprese coinvolte nella costruzione di edifici
moderni crollati a causa dei materiali scadenti, dei tecnici e degli
amministratori che hanno autorizzato l'edificazione nei luoghi meno adatti o la
trasformazione di edifici privati in edifici pubblici privi di qualsiasi
requisito di sicurezza, dei proprietari che hanno speculato sul valore dei suoli
truccato dalla sottovalutazione del rischio sismico. Lo farà davvero? Si può al
contrario temere che a quel punto l'indagine più necessaria possa ricadere nella
consueta opacità amministrativa? I risarcimenti non saranno complicati da mille
intoppi? Qualche marginale elargizione di fondi pubblici taciterà chi avrà
rinunciato a ricevere giustizia? E il capo sarà pronto a mettere la faccia sulla
prossima catastrofe.
Pancho Pardi Il manifesto 16/03/09