La dittatura del sacro embrione

La dittatura del sacro...

 


Questo riguarda tutti, laici e cattolici, ma con una avvertenza: che i principi morali possono essere discussi e giustificati razionalmente senza alcun bisogno di una fede: si può partire dai presupposti di una fede, ma non può esistere una derivazione automatica di una giustificazione razionalmente accettabile a partire dalla sola fede. E' chiaro che questo riguarda una grande quantità di decisioni individuali, tra le quali emerge certamente la scelta di come e quando morire e di cosa deve essere fatto del nostro corpo, del nostro guscio vuoto, quando non lo abitiamo più.
I giornali stanno pubblicando un numero incredibile di articoli sul caso di Eluana Englaro, ma i termini della questione sono molto semplici e molte delle cose che vengono scritte sono solo fumo negli occhi. A me sembra di cogliere una ragione di fondo e due temi fondamentali e di questi soltanto voglio scrivere.
La ragione di fondo ha a che fare con la perdita della laicità del nostro povero Paese: viviamo sotto la dittatura della sacralità della vita e dell'embrione e per ragioni di pura convenienza nessuno trova il coraggio di protestare e di ribellarsi. Leggo però. Un po' ovunque. Lettere di sdegno di vecchi compagni che a questa sindrome della "lordosi di accettazione" non si rassegnano. Secondo me Veltroni dovrebbe preoccuparsene, è tutta gente che non lo voterà più e andrà a far parte del sempre più folto partito degli scontenti.
Un primo tema è quello della alimentazione e dell'idratazione forzate artificiali, e la discussione verte su come questi due interventi (medici, cioè scelti, messi a punto e applicati da un medico) debbano essere considerati: terapie, come lo sono la somministrazione di ossigeno o la trasfusione di sangue, o normali e indispensabili espressioni del riconoscimento dell'altro come fratello, atti di pietà ai quali a nessuno è concesso sottrarsi.
Ebbene le società mediche nazionali e internazionali che si occupano di problemi nutrizionali sono concordi nel ricordarci che si tratta di trattamenti medici veri e propri, oltretutto sofisticati e complessi, caratterizzati anche da una certa invasività e che non possono essere certamente immaginati e attuati da una qualsiasi badante, neppure da una badante lombarda. Ecco, come esempio, il documento della Società italiana di nutrizione parenterale-enterale, pubblicato nel gennaio del 2007: «La nutrizione artificiale è da considerarsi a tutti gli effetti a scopo terapeutico o preventivo. La NA non è una misura ordinaria di assistenza (come lavare, imboccare un malato non autosufficiente). Come tutti i trattamenti medici la NA ha indicazioni, controindicazioni ed effetti indesiderati. L'attuazione della NA prevede il consenso informato del malato, o del suo delegato, secondo le norme del codice deontologico».
Mi chiedo allora: tutti questi signori che blaterano di medicina stabilendo, con singolare prosopopea, cosa è giusto e cosa è sbagliato, alla prima prolungata crisi intestinale (non so perché, ma immagino che debbano soffrirne spesso) si mettono nelle mani del nutrizionista e gli affidano la propria vita e la propria salute con un atto di sottomissione che potrebbe persino sembrare patetico? E' dunque così: tutta quella fiducia (dottore sono nelle sue mani) se la riprendono non appena scoprono di dover assolutamente scrivere qualcosa che faccia sorridere (di compiacimento) i vescovi. Mi sembra francamente penoso.
Il secondo problema è più specificamente medico e riguarda la condizione nella quale versa Eluana. Prima di tutto, qualche definizione. Lo stato vegetativo permanente (SVP) è uno stato post-comatoso nel quale il paziente, apparentemente vigile, non è cosciente. Più tardi è stata coniata la definizione di stato vegetativo persistente che descrive una nuova sindrome comparsa grazie alla possibilità della medicina di mantenere in vita i corpi dei pazienti dopo gravi lesioni encefalitiche: questo stadio dissocia funzioni cognitive e vegetative dell'organismo umano e comporta, con l'abolizione della coscienza, la perdita della possibilità di una relazione interiore, in se stessi e con l'ambiente.
E' vero che la condizione di stato vegetativo resta gravata da un tasso elevato di errori diagnostici, e può essere confusa con la sindrome di deafferentazione e con lo stato minimalmente responsivo, ma nel caso di Eluana le possibilità di un errore diagnostico sono state praticamente ridotte a zero. E' anche vero che mancano stime precise sulla sopravvivenza di questi soggetti, ma è certo che essa è comunque molto bassa e che solo un caso su 75mila sopravvive per oltre 15 anni. Il caso di Eluana è stato comunque studiato con tutta la competenza e l'obiettività necessarie dal suo medico curante, il professor Defanti, sulla cui competenza neurologica non credo possano esistere dubbi. Il professor Defanti ha dichiarato che non esistono possibilità che Eluana ritorni a un ripristino della coscienza: non si può invece escludere un barlume di coscienza, un primitivo sensore volontario, che nulla ha a che fare con la ripresa delle capacità cognitive, così come noi le intendiamo. Possibile, ma nel caso di Eluana assolutamente improbabile.
Il Magistrato ha ritenuto che la dichiarazione della sentenza che sottolinea l'irreversibilità della condizione di Eluana sia scorretta perché esagerata in senso pessimistico. In realtà è quello che il consenso dei medici ritiene oggi di poter affermare. Il Magistrato dovrebbe ricordare che in medicina non esistono verità scientifiche, ma solo consensi, e che i consensi, per fallaci che siano, sono il risultato del massimo sforzo possibile alla luce delle conoscenze attuali. Dovrebbe anche ricordare che i consensi, in medicina, non tengono conto dei miracoli, ai quali si tende ad attribuire credito solo in alcuni ospedali meridionali. Il Magistrato dovrebbe anche tener conto del fatto che alla maggior parte di noi un possibile ma assolutamente improbabile barlume di coscienza interessa poco, pochissimo. Siamo fatti così.



Carlo Flamigni        Liberazione  03/08/2008