La differenza tra cattolici e clericali

 

I fondamenti della grammatica concettuale possono essere distorti per trascuratezza o ignoranza, ma

anche per un calcolo strumentale. È il caso dell´uso, diventato in Italia corrente, dei termini "laici" e

"cattolici", secondo cui i primi sono i non credenti, coloro che non intendono dare alla Chiesa

cattolica tutti i diritti che le spettano, e i secondi gli appartenenti, tout court in quanto cattolici, al

fronte contrario. Ed è naturale che siffatta distinzione-opposizione, la quale altro non è se non una

grande confusione-distorsione, piaccia assai alle gerarchie cattoliche, perché essa altera e nasconde

la vera distinzione-opposizione: quella tra "laici" e "clericali". Bisogna dire che davvero offende che

si sia dimenticata, sovente anche da parte di molti che si qualificano come laici e si sono

tranquillamente adattati alla confusione, la lezione di grandi studiosi non credenti e credenti,

cattolici e non cattolici, quali Francesco Ruffini, Gaetano Salvemini, Carlo Arturo Jemolo, per

citare pochissimi nomi esemplari. I quali hanno insegnato che laici non vuol dire non cattolici, che

cattolici non significa non laici, che i laici sono i non clericali indipendentemente dal fatto di essere

o non essere credenti, cattolici o non cattolici e che i cattolici si dividono a loro volta in non

clericali e clericali. Una grammatica concettuale, questa, ben chiarita a suo tempo, ma che appare

oggi in Italia largamente dimenticata. A ribellarsi alla distorsione dovrebbero essere sia i non

credenti sia i cattolici non clericali; ma così non è. È pur vero che ogni tanto qualche voce, anche

dal versante cattolico, si leva a respingere la distorsione, ma questa ormai si è imposta.

Alle gerarchie ecclesiastiche riesce comprensibilmente gradito un simile stato di cose. Dividere gli

italiani tra laici e cattolici costituisce il presupposto di una contrapposizione ad esse conveniente,

della tenace azione intesa a impedire l´emergere anzitutto all´interno dei cattolici della distinzione

tra cattolici laici e cattolici clericali, della riduzione dei laici a "laicisti" non credenti che non

riconoscono il diritto della Chiesa di occupare lo spazio pubblico nei modi prevaricanti e privilegiati

a questa assicurati a partire dai Patti del Laterano.

 

La laicità è libertà per tutti; è rispetto dei diritti di ogni individuo e gruppo di seguire ciò che detta la

coscienza, di praticare, organizzandosi, la propria filosofia, ideologia e religione senza violare i

diritti altrui e pretendere di acquisire posizioni di monopolio o di predominio in forza di privilegi e

della discriminante protezione del potere politico; è creazione di un luogo aperto in cui le frontiere

delle credenze si formano e si spostano unicamente per spontaneo consenso; è confronto paritetico

tra le verità che si ritiene di possedere e si vogliono divulgare; è riconoscimento reciproco della

dignità di tutte le visioni del mondo non violente, del diritto di dibattito e confronto; è rinuncia al

ricorso a bracci secolari per far prevalere le une a danno delle altre. Per questo la laicità è un´idea

universalistica che nessuno esclude e tutti comprende; e che richiede uno Stato laico, di diritto,

tutore del pluralismo culturale, religioso e sociale. Esso è laico perché assicura nell´eguaglianza le

libertà di credenti e di non credenti, di credenti sia cristiani sia appartenenti ad altre confessioni. In

questo sta la sostanza, continuamente fraintesa, della "neutralità" dello Stato laico. Da esso si

differenzia lo Stato semi-laico, quale è lo Stato italiano odierno, che afferma i valori laicità ma in

via di fatto conferisce privilegi di molteplice sorta alla Chiesa cattolica, la quale li chiede, anzi

pretende, in nome del principio illiberale e contrario all´eguaglianza che la religione della

maggioranza abbia in quanto tale diritti particolari, da tradursi in primo luogo in moneta sonante e

una posizione dominante nel campo dell´insegnamento.

 

Lo Stato laico si contrappone allo Stato clericale, che nella storia europea ci ha dato continui aspri e

persino crudeli conflitti religiosi, politici e civili; alla cui fine hanno contribuito il riformismo dei

sovrani settecenteschi, le lotte di liberali e democratici, il tanto, anche recentissimamente deprecato

dalle gerarchie vaticane, illuminismo, il faticoso farsi strada nel seno e del protestantesimo e del

cattolicesimo delle correnti che, non a caso, furono denominate e si denominarono "liberali".

Tendenze liberatrici, che la Chiesa cattolica combatté e denunciò come perniciose e colpevoli di

contrastare e al limite di mirare a distruggere l´unica verità in effetti tale e in grado di guidare

propriamente le coscienze. Certo, oggi non è consentito neppure alla Chiesa di respingere

frontalmente, come in passato, lo Stato laico; ma laico essa lo vuole sempre e soltanto se le offre gli

strumenti per stabilire una condizione di primato religioso, morale e civile, orientando allo scopo la

politica.

Basta, dunque, nel nostro paese con questo deviante, equivoco, prevalente linguaggio che pone da

una parte i laici e dall´altra i cattolici; e si ritorni alla giusta, vera e illuminante distinzione tra laici e

clericali. Uno dei terreni principali in cui in Italia si gioca la questione della laicità dello Stato è,

come a tutti presente, la scuola. A questo proposito vorrei concludere citando un passo di Salvemini,

tratto da un discorso tenuto alla Camera il 2 luglio 1920. Lo Stato - diceva - «non domanda

all´insegnante quale fede politica e religiosa abbia: gli domanda solo che dimostri di possedere l

´educazione critica e scientifica senza cui ogni fede è dogmatismo, è catechismo, è fanatismo, non è

luce di umanità, non è vita dello spirito. Gli domanda (…) di sviluppare nei suoi alunni quelle

abitudini critiche e razionali, che permettano loro di rendersi conto delle basi attuali delle loro

credenze, e li metta in grado di conservarle o mutarle (…)». Ora i cattolici che respingono i principi

di laicità «non accettano questa scuola. Per essi la verità è una sola: quella tramandata da un ente

superiore all´umanità e di cui è depositaria la gerarchia ecclesiastica… E la scuola deve insegnare

questa sola verità». Il tempo passa, ma in Italia resta sempre aperta la questione di intendere la

laicità per ciò che è e ha da essere.

      

        Massimo L. Salvadori       la Repubblica 21 agosto 2009