La Dichiarazione
dei diritti umani un anniversario che parla del presente
Il 10 dicembre 1948, approvando la Dichiarazione universale dei diritti umani,
l'assemblea delle
Nazioni Unite sanciva i diritti che spettano ad ogni essere umano, e l'impegno
solenne degli Stati a
garantirli. Quando quel testo fu scritto l'Onu era appena nata, e ne facevano
parte solo le nazioni che
avevano vinto la Seconda guerra mondiale. Alcune possedevano ancora imperi
coloniali in Asia e in
Africa. C'erano le grandi potenze, come Stati Uniti ed Unione Sovietica, che di
lì a poco avrebbero
inaugurato la stagione della guerra fredda e continuato poi per decenni a
contendersi il dominio del
mondo alimentando conflitti e dittature. Eppure, ancora in mezzo alle macerie
della guerra, col
ricordo vivo di milioni di morti, della tragedia dell'olocausto e della prima
bomba atomica, anche i
vincitori avevano capito che non c'è pace e sicurezza per nessuno senza il
rispetto dei diritti di tutti,
e sentirono il bisogno di voltar pagina alla storia scrivendo quella carta.
Ancora oggi, la Dichiarazione del '48 è la bussola che può orientarci nello
sforzo di cercare le
risposte alla grave crisi del tempo che viviamo. Certo, in sessant'anni la
cultura dei diritti si è
evoluta. L'Onu ha approvato altre importanti Convenzioni contro la
discriminazione delle donne e il
razzismo, per i diritti dell'infanzia, delle persone disabili e dei lavoratori
migranti, per la protezione
delle biodiversità e delle diversità culturali. Tutti temi che oggi dovremmo
aggiungere alla
Dichiarazione, insieme ad altri ancora, come il diritto del pianeta terra ad
essere difeso dall'azione
irresponsabile degli umani. Viviamo un tempo difficile. La negazione dei
diritti umani è ancora
normalità quotidiana per milioni di persone. Eppure al mondo ci sarebbero
risorse sufficienti per
assicurare a tutti una vita degna e la sicurezza del futuro; eppure il progresso
scientifico ci
offrirebbe la possibilità di ridurre le disuguaglianze ed aumentare il benessere
dell'intero pianeta.
Ma il mondo è sempre più dominato dalla legge del più
forte. Enormi quantità di ricchezza si
concentrano nelle mani di pochi. Disuguaglianze, scempio delle risorse naturali,
guerre e regimi
totalitari dilagano ad ogni latitudine. Diritti elementari come abitare,
nutrirsi, curarsi, istruirsi sono
occasione di profitto per pochi e motivo di sofferenza per tanti.
Il problema non riguarda solo il sud del mondo: i diritti sono violati anche
nell'occidente sviluppato,
anche nel nostro Paese. E non riguarda solo gli ultimi, i più deboli, ma la
dignità e la vita di
ciascuno di noi.
In Italia il divario sociale sta crescendo fino a toccare il livello di guardia.
Nuove povertà, precarietà
del lavoro e della vita investono strati sociali sempre più estesi alimentando
un diffuso senso di
frustrazione e di insicurezza. Sono evidenti i segnali di sgretolamento dei
legami comunitari.
All'emergenza sociale si somma un grande problema culturale. Nel vuoto creato
dal crollo degli
ideali del '900 si fa largo l'ideologia dell'autosufficienza dell'individuo
contrapposta alla dimensione
sociale della vita, un'idea darwinista della società in cui la competizione è
l'unico orizzonte delle
relazioni umane. L'invadenza del mercato e dei consumi produce nelle persone
crisi di senso,
solitudine, difficoltà a rielaborare le informazioni in sapere critico, a
pensare con la propria testa.
Il Paese non riesce più a fare sistema fra le sue componenti, a riconoscersi in
un progetto comune.
Viviamo in una società impaurita, che si illude di difendere il proprio
benessere escludendo i più
deboli, alimenta pregiudizio, rancore, guerra fra poveri, e diventa terreno di
conquista del
populismo autoritario con cui la destra fa scempio dei principi costituzionali e
delle conquiste
sociali del ‘900. Stanno facendo dell'Italia un Paese fondato non più sulla
cittadinanza come
insieme di diritti civili, sociali e politici, ma sul privilegio dei potenti e
la compassione per i poveri.
Per restituire fiducia alla gente servirebbe una politica capace di proporre
alternative concrete e
credibili a questo stato di cose. Ma i partiti sono incerti e divisi, le
organizzazioni sociali deboli e
frammentate. La sinistra sconta un pesante ritardo di elaborazione, l'assenza di
un progetto. Non
basta la percezione che le cose così come sono non vanno bene per creare le
condizioni del
cambiamento: bisogna che un altro progetto di società ci sia, concreto e
credibile.
Bisognerebbe ritrovare il filo di un ragionamento comune, la consapevolezza che
i destini umani
sono legati e interdipendenti, che gli uni contro gli altri perderemo sempre
perché i diritti di tutti
sono l'unica condizione per garantire anche i nostri. Bisognerebbe ripartire
dalle persone per
ricostruire la politica come fatto collettivo, presa di coscienza, assunzione di
responsabilità,
percorso comune di emancipazione e conquista dei diritti. Lavorare nei territori
e nelle comunità per
ricostruire i legami sociali e un nuovo patto di convivenza. Tutto questo è
certamente compito della
politica e delle istituzioni, ma anche di ciascuno di noi.
Ecco perché, nel 60° della Dichiarazione universale, l'Arci ha promosso una
"Maratona dei diritti
umani": centinaia di incontri, eventi culturali, mostre, film, dibattiti, tante
occasioni per riflettere e
discutere su questi temi. Una maratona che si intreccia con le tappe della
carovana antimafia, con le
campagne contro il razzismo e le discriminazioni, la precarietà e le morti sul
lavoro; col nostro
impegno contro l'ignoranza, per la conoscenza e il sapere critico.
Trenta giorni di iniziative, tanti quanti sono gli articoli della Dichiarazione,
che abbiamo ristampato
in decine di migliaia di copie invitando tutti a rileggerla, perché è semplice,
chiara, e ancora
attualissima. Al testo originale abbiamo voluto aggiungere una frase, l'articolo
0: «io sono perché
siamo». Perché da soli non ce la faremo a liberarci della legge del più
forte, dell'ingiustizia e della
solitudine che ci fanno vivere male. Abbiamo bisogno di fare comunità, una
comunità democratica
in cui sentirci liberi e sicuri in mezzo agli altri. E dobbiamo provare a
costruirla.
Paolo Beni Liberazione 10 dicembre 2008
*presidente nazionale Arci