La democrazia al
tempo delle emergenze
Nel 1979 il filosofo ebreo tedesco Hans Jonas, emigrato negli Stati Uniti a
causa delle persecuzioni
razziali, pubblicò un libro che sarebbe divenuto una pietra miliare nel campo
dell’etica pubblica: «Il
principio di responsabilità».
Aveva fretta di scrivere, Jonas, perché sapeva di essere vecchio e aveva paura
che il tempo non gli
bastasse (oddio, aveva l’età che ha ora il pluriliftato, trapiantato, tinto e
truccato presidente del
consiglio italiano, ma una considerazione di sé evidentemente più realistica e
meno vanesia).
Decise quindi, per scrivere più velocemente, di tornare al tedesco dopo
quarant’anni di
frequentazione scritta e parlata dell’inglese, e mise giù, in una lingua un po’
arcaica quanto
impeccabile, i suoi pensieri sul tema della responsabilità da parte degli uomini
nei confronti dei loro
simili, delle generazioni future, dell’ambiente, dell’intero pianeta, di fronte
ai problemi dell’età
della tecnica. Uno dei punti che Jonas affronta è proprio come reagire
alle catastrofi, naturali o
indotte, chiedendosi a chi spetta prendere decisioni e sulla base di quali
principi. Ora, chi si occupa
di questi problemi da un punto di vista teoretico sa bene che le catastrofi
chiedono spesso una
reazione rapida e risposte veloci ma non isteriche che si traducano in azioni
efficaci. Sa anche,
tuttavia, che la democrazia non è la forma di governo della velocità e nemmeno
quella della
segretezza. La democrazia richiede deliberazioni riflesse e ponderate
nonché trasparenza di metodi.
Come conciliare dunque il tempo della riflessione con il tempo dell’azione senza
che il sistema
assuma tratti dittatoriali? Come conciliare l’efficienza dell’intervento con la
giustizia dei principi e
il rispetto della trasparenza? Il problema non è di facile soluzione: esso ha
bisogno, avrebbe detto
Gramsci, di tutta la nostra intelligenza. C’è bisogno che ci organizziamo con
tutta la nostra forza per
creare forme di democrazia partecipativa, non paternalistica, per predisporre
strutture di
sorveglianza preventiva e di pronto intervento in caso di incidenti di varia
natura e livello; per
rispondere in prima persona – questa è responsabilità, direbbe Jonas – guidati
da leggi che
favoriscano l’impegno civico più che l’assistenza dall’alto.
Occorre assumersi la responsabilità, dimettersi se lo dice la coscienza e
non se lo ordina il capo,
ridersela di atteggiamenti tipo la luce accesa di notte a Palazzo Venezia a
significare «dormite
tranquilli, ghe pensi mi». No grazie, ci pensiamo noi che siamo intelligenti e
forti.
Francesca Rigotti l'Unità 16 febbraio 2010