La debolezza della cultura laica

 

 

La religione conta o non conta nel processo formativo scolastico? Su questo tema nelle scorse ore

sono state fatte affermazioni incompatibili.

«Sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede

individuale, non può essere oggetto di valutazione sul piano del profitto scolastico». In parole

povere, l’ora di religione non deve entrare nella valutazione scolastica complessiva. Questa è la

sentenza del Tar del Lazio, in sintonia con il principio della laicità dello Stato.

Diametralmente opposta è la tesi del vescovo Pennisi, Commissario della Cei per la scuola: «La

religione è una materia come le altre. La sentenza del Tar è vergognosa e gravissima perché nega

crediti scolastici all’ora di religione, malgrado il suo processo formativo entri nella didattica».

Come è possibile che si sia arrivati a questo contrasto? Questo dilemma mette a nudo una questione

di fondo sempre elusa.

Gli italiani non sanno a chi affidare l’etica pubblica, di cui l’educazione e formazione scolastica è

parte essenziale e fondante. La religione cattolica (intesa nella sua versione ecclesiastica stretta)

diventa così in Italia la grande supplente dell’etica pubblica, di cui l’ora di religione cattolica è una

componente decisiva.

 

Naturalmente la Chiesa con questo suo ruolo supplente non può sovrapporsi apertamente alla natura

laica dello Stato, che anzi si premura sempre di riaffermare. Ma di fatto aggira questa difficoltà,

quando pretende di definire essa stessa che cosa sia la «vera e sana laicità» - dentro e fuori la

scuola. Per questo conta su una classe politica insicura e ricattabile. Dichiara di gestire quella che

ritiene una tradizione italiana («la religione degli italiani»). Non a caso in queste ore una voce di

protesta cattolica ha definito quella del Tar una «sentenza ideologica che cerca di distruggere le

tradizioni italiane e il sentire della gente».

Siamo di nuovo alla vigilia di un’ennesima battaglia che finirà in politica. In effetti, con maliziosa

correttezza il Presidente della Commissione Episcopale per l'Educazione Cattolica ha commentato:

«La Chiesa non farà ricorso contro la sentenza. Il problema è del ministero della Pubblica

istruzione». Appunto.

Ma quello su cui vorrei attirare l’attenzione ora non è la strategia della Chiesa e dei cattolici

militanti, che con il loro apparato mediatico condurranno in porto la loro battaglia con la consueta

spregiudicatezza. Mi pongo invece due altre domande: 1) perché tantissime famiglie italiane

invitano o consentono ai loro figli di frequentare l’ora di religione, senza essere particolarmente

credenti, praticanti o devote? 2) Perché la cultura laica non è riuscita a porre seriamente in

discussione la tradizionale ora di religione, nei suoi contenuti e nelle sue competenze (non

dimentichiamo che l’unica autorità che decide della competenza professionale dell’insegnante è il

Vescovo…)? I due problemi - passività delle famiglie e debolezza della cultura laica - sono

strettamente connessi.

 

Perché non si è mai riusciti a proporre in alternativa all’ora di religione confessionale non dico

un’ora di educazione civica o di etica - come avviene in alcuni paesi europei - ma semplicemente lo

studio del fenomeno religioso o delle religioni in grande prospettiva storica comparata? Dove, se

non a scuola, si impara la lunga dialettica storica del contrasto tra le religioni storiche e il loro

attuale «dialogo»? Perché mai dovrebbe essere competente soltanto chi è autorizzato dal vescovo,

che ne è paradossalmente parte in causa?

La laicità non è nemica della religione, tanto meno di quella cattolica, ma deve rinunciare ad una

ampia visione storico-critica, anche se rispettosa delle singole credenze. Faccio un esempio. Un

paio d’anni fa Ratzinger nella sua lezione di Ratisbona parlò della «ellenizzazione del

cristianesimo» come fondamento della «razionalità della fede» che consente di combattere tutt’oggi

efficacemente lo scientismo e il relativismo tipici dell’Occidente secolare. Detta così, quella della

«ellenizzazione del cristianesimo» sembra (e sembrò a molti cattolici) una questione storicodogmatica

remota, mentre non lo è affatto. Ed è una tesi altamente controversa e a suo modo attuale

con questo Papa. Ma in quante ore di religione nei licei - dove si studiano Platone, Kant e Darwin -

se ne è parlato? Quali competenze hanno gli insegnanti su questo tema ? Se è sempre il solo

vescovo a decidere? Ha senso che ciò accada in uno Stato laico? Questo è il vero problema, non il

voto negli scrutini!

Gian Enrico Rusconi     La Stampa  13 agosto 2009