La cultura della
violenza
Ancora una violenza razzista, ma non soltanto. Si cerca di uccidere per
divertimento, un tragico
réfrain. «Nel 2009 ce sarà da divertisse...», dice Davide Franceschini, un
normale ragazzo romano,
in un´intervista alla televisione la sera di Capodanno. Qualche ora dopo passa
dalle parole ai fatti, e
"per divertisse" violenta ripetutamente una ragazza conosciuta nel corso di una
festa alla Fiera di
Roma. «Avevamo bevuto, avevamo deciso che ci saremmo divertiti: uno di noi l´ha
violentata due
volte quella ragazza. Ci avevamo già provato quella sera, con un´altra coppietta
ma ci era andata
male»: così Mirel, un rumeno di 21 anni, il più giovane del branco degli
stupratori di Guidonia, ha
confessato di aver partecipato alla violenza. Ieri notte un immigrato indiano,
mentre dormiva nell
´atrio della stazione ferroviaria di Nettuno, è stato cosparso di benzina e
bruciato da un gruppo di
ragazzi italiani tra cui un minorenne. Un episodio di razzismo? Pare proprio di
no. I tre ragazzi, tutti
incensurati, tra cui un minorenne, hanno confessato. Avevano bevuto, forse
avevano fatto uso di
qualche droga e, alla fine della nottata, volevano «fare un gesto eclatante,
provare una forte
emozione». E così, tanto per divertirsi, hanno dato fuoco al barbone.
È un divertimento dunque stuprare una ragazza appena conosciuta ad una
festa, è un divertimento
aggredire una coppia, chiudere nel bagagliaio l´uomo e violentare la giovane, è
per provare una
emozione che si può dare fuoco a un poveretto che, quale che sia il colore della
sua pelle, dorme
nell´atrio di una stazione.
Questo non è razzismo. Forse, se possibile, è ancora
peggio. È puro e semplice culto della violenza.
E non si corrono rischi quando la violenza non si esercita tra bande rivali ma
nei confronti di chi è
del tutto indifeso. La vittima allora può essere una donna che torna a casa, da
sola, una sera, o una
coppia appartata nella sua macchina, o un barbone italiano o straniero che dorme
per terra appena
protetto da una coperta o da un paio di cartoni. Un divertimento? Pare proprio
di sì, un divertimento
o una emozione, esaltata dai pianti della donna violentata o dalle grida di un
barbone cui viene dato
fuoco, dalla sofferenza di un debole che non può reagire.
Avevamo bevuto, eravamo un po´ fatti, volevamo divertirci...
Non c´è la disperazione, la miseria, il degrado (banale e consueta spiegazione
sociologica) dietro gli
autori di questi reati. Non c´è, dietro l´aggressione di Nettuno, nemmeno la
spiegazione, se tale si
possa chiamare, del razzismo. No. Nella violenza di questi ragazzi, italiani
o stranieri, c´è soltanto
un cieco desiderio di sopraffazione, il piacere di infliggere sofferenza e così
sentirsi più forti,
padroni del corpo dell´altro. Questa è l´emozione. Questo il divertimento, che
l´uso della droga,
quando c´è, rende finalmente possibile.
Se le cose stanno così, allora siamo tutti chiamati ad un serio esame di
coscienza. Dobbiamo intanto
riconoscere che il nostro è un mondo intriso di violenza. Non solo per i
conflitti e le guerre che lo
sconvolgono, e da cui giungono immagini di orrende sopraffazioni, di umiliazioni
che i più forti
infliggono ai più deboli e indifesi. Non solo per le violenze che si consumano
negli stadi. Non solo
per i sempre più frequenti episodi di bullismo che si consumano, impuniti, nelle
nostre scuole. Ma
anche per la cultura di cui la nostra società si nutre. Una cultura che
promuove a vincente colui, o
colei che, anche violando le regole, conquista la ricchezza o il successo.
E che, comunque, di fronte
a chi conquista la ricchezza o il successo non ritiene opportuno chiedere come
lo ha raggiunto.
Edanzi dà per scontato che per raggiungerlo abbia fatto uso,
abbia dovuto far uso, anche di metodi
illegali e violenti. Nel nostro mondo, insomma, l´aggressività, la
violenza, la forza, o per lo meno
una certa dose di aggressività, di violenza, di forza vengono generalmente
considerate necessarie,
indispensabili per avere successo.
I ragazzi di Nettuno che hanno dato fuoco a un barbone, i giovani rumeni che
hanno aggredito una
coppietta, chiuso l´uomo nel bagagliaio della macchina e violentato la sua
ragazza, il giovane
romano figlio di una famiglia di lavoratori che "per divertisse" ha violentato
una ragazza conosciuta
a Capodanno, ci fanno paura, ma sono figli di questa cultura. È la nostra
cultura, quella che
caratterizza la nostra società, che in qualche modo abbiamo costruita, che
disprezza e irride alla
mitezza, alla pazienza, alla solidarietà, alla debolezza, alla sobrietà.
Miriam Mafai la Repubblica 2 febbraio 2009