La crociata contro
Voltaire.
L’enciclica del Papa
La crociata continua. L’enciclica di Benedetto XVI «Spe salvi» ribadisce e anzi
radicalizza l’anatema della Chiesa cattolica contro una modernità colpevole di
disobbedire a Dio, e che precipita perciò nella disperazione del nichilismo.
L’outing è ora completo. Anche la democrazia è menzogna se la sovranità degli
uomini non si sottomette all’imperio della «legge naturale», cioè se la libertà
non coincide con l’obbedienza agli ukase della Chiesa, unica interprete
autorizzata di tale «legge naturale» e della volontà di Dio con cui essa
coincide. La democrazia deve essere cristiana, altrimenti è disumana.
Il giallo è finalmente risolto. Il colpevole è Voltaire, anzi addirittura Bacone.
Il Male è l’illuminismo, il progetto di autonomia dell’uomo.
Autos-nomos, il darsi da sé la propria legge, anziché riceverla da Dio, o dai
suoi surrogati e ministri (la «Natura» e la Chiesa gerarchica), ecco la Colpa
inespiabile. Il Nemico (proprio nel senso delle Scritture) è la ragione che
prescinde da Dio, la ragione che lavora iuxta propria principia, la ragione che
ragiona, insomma.
L’autos-nomos, la pretesa di sovranità di tutti e di ciascuno, precipita anzi
l’umanità nella gehenna dei totalitarismi, dove è pianto e stridor di denti, e
anche peggio: il Terrore di Robespierre e Saint Just e il Gulag di Stalin. A
questo si arriva, inevitabilmente - Ratzinger dixit - se l’uomo nel suo rapporto
con la natura e con gli altri uomini (scienza e politica), si comporta come se
Dio non ci fosse, prende cioè sul serio la proposta di Grozio che ha salvato
l’Europa dall’autodistruzione delle guerre civili di religione: «Etsi Deus non
daretur». Precetto, dunque, che è - storicamente parlano - l’unica autentica e
incontestabile radice dell’Europa.
Nulla di nuovo, si dirà. Extra ecclesiam nulla salus è la pietra angolare - da
secoli - di tutte le pretese «papiste». A queste pretese, però, da qualche
decennio era stata messa la sordina. La stessa Chiesa sembrava - giustamente -
vergognarsi del suo passato «costantiniano» e dei suoi anatemi contro scienza,
liberalismo, democrazia (pronta perfino a chiedere qualche perdono). Non citava
più il Sillabo ma il Concilio Vaticano II.
Da allora è trascorsa un’epoca. Con Papa Wojtyla prima, e con Papa Ratzinger ora
(che di Wojtyla fu il più stretto collaboratore nell’estensione di encicliche
cruciali come «Veritatis splendor» e «Fides et ratio») i contenuti essenziali
del Sillabo sono stati riportati in auge: la sovranità appartiene a Dio, un
parlamento - democraticamente eletto dai cittadini - che agisca contro la «legge
naturale» (ad esempio con una legge che consenta l’aborto, anche limitatamente)
diventa ipso facto illegittimo.
Così Wojtyla a Varsavia, solenne di furore e di collera, contro il parlamento
polacco (il primo liberamente eletto dopo mezzo secolo di comunismo!). L’aborto
come «genocidio dei nostri giorni», come nuovo olocausto. Una donna che sceglie
il dramma dell’aborto, colpevole quanto la Ss che getta un bambino ebreo nel
forno crematorio. Il mondo laico fece finta di non sentire o di non capire, in
preda a fascinazione mediatica.
Ora, la rimozione non è più possibile. Per chi cerca alibi, il Papa tedesco ha
eliminato ogni dubbio. O Dio o la sovranità popolare. Aut aut. Non sembrino
esagerazioni polemiche. Il ragionamento teologico-politico di Joseph Ratzinger è
compatto, lineare, e - nella sua logica confessionale e dogmatica -
perfettamente coerente.
Eccolo. La modernità vuole fondare l’esistenza dell’uomo sul binomio ragione +
libertà, autonomamente, a prescindere dal Dio della Chiesa. Ma dal «fare» della
conoscenza (la scienza baconiana) si passa inevitabilmente al «fare» della
politica, in una idea illuministica di «progresso» come «superamento di tutte le
dipendenze». Libertà illimitata, libertà perfetta «nella quale l’uomo si
realizza verso la sua pienezza». Sappiamo come è finita (Robespierre e Stalin) e
sappiamo anche perché: l’ateismo come esito dell’illuminismo.
Perciò «è necessaria un’autocritica dell’età moderna» che deve avvenire «in
dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza». L’eufemismo
«dialogo» non tragga in inganno: «solo Dio può creare giustizia». E, si badi,
«non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati
fino alla fine». Il Dio/Gesù Cristo della Chiesa gerarchica, della Verità
consegnata nei concili di Nicea e Calcedonia, come ribadito dal Papa tedesco nel
suo recente libro best-seller. Ma tale «concezione della speranza», secondo
l’enciclica, equivale né più né meno alla certezza della fede. Il mondo, e in
particolare l’Occidente che è nato dalla modernità, può sfuggire alla
maledizione della disperazione solo attraverso «l’apertura della ragione alle
forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male».
Fuor di perifrasi, pensando e operando in obbedienza alla morale cattolica.
Dalla vita alla morte, lungo tutte le epoche della sessualità, e non
dimenticando la ricerca scientifica. Staminali, aborto, contraccezione, istituto
matrimoniale, educazione scolastica, interpretazione del darwinismo, terapie del
dolore, eutanasia: tutto deve obbedire alla «legge naturale», sinonimo puro e
semplice della volontà confessionale della Chiesa gerarchica.
Sotto il profilo culturale, basterebbe rispondere al Papa teologo che la
modernità non è innanzitutto e per lo più, come vuole farci credere, Terrore e
Gulag, perché dalle tre rivoluzioni «borghesi», da Cromwell, dai girondini, da
Jefferson, è nata una forma di convivenza straordinaria, fino ad allora sdegnata
come utopia, la democrazia liberale (i cui princìpi, troppo spesso, gli
establishment di Occidente calpestano nella loro azione quotidiana). E che
Nietzsche e Marx, per non parlare di Bacone e dei Lumi, non assomigliano proprio
al bignamino parodistico spacciato nella «Spe salvi».
Ma Joseph Ratzinger, malgrado le indubbie e prepotenti civetterie accademiche
che animano la sua penna, è a sufficienza smagato uomo di potere per sapere che
il peso di un’enciclica non dipende dalla sua claudicante caratura culturale. Di
essa ha dato perciò una interpretazione politica autentica il giorno dopo,
parlando di fronte ai rappresentanti delle organizzazioni umanitarie non
governative (Ong) di matrice cattolica, accusando diverse agenzie dell’Onu di
«logica relativistica» che nega «cittadinanza alla verità sull’uomo e sulla sua
dignità nonché alla possibilità di un agire etico fondato sul riconoscimento
della legge morale naturale». A tale deriva bisogna opporre i «princìpi etici
non “negoziabili”» di cui la Chiesa è depositaria e paladina.
Come si vede, con il suo outing contro illuminismo e autos-nomos democratico
Papa Ratzinger si candida esplicitamente alla leadership mondiale del
fondamentalismo religioso, quello non terroristico, ovviamente. Il suo prossimo
intervento alle Nazioni Unite, previsto per il 18 dicembre, ne costituirà l’atto
ufficiale e solenne. Speriamo che, almeno quel giorno, «chi ha orecchie da
intendere, intenda».
Paolo Flores d’Arcais l’Unità 21.12.07