La croce
dell'Abruzzo
Il dramma del nostro Abruzzo rende particolarmente pregnante, bene o male, la
simbologia della
festa pasquale imperniata sulla rinascita. Quale festa sarà mai questa Pasqua
2009 per le donne, gli
uomini, i bambini, i vecchi, che la madre terra ha stritolato con un abbraccio
mortifero inaudito
distruggendo i loro corpi e le loro anime? Quale festa per tutti noi svuotati
dal senso dell'esistere,
devastati nelle nostre più profonde certezze, sommersi nell'intimo da quelle
immani rovine che
richiamano nella veglia e nel sonno tutte le macerie che sovrastano le nostre
vite?
Eppure la simbologia festiva è stata creata fin dai tempi più remoti,
prima che le religioni istituite ne
rivendicassero il monopolio, proprio per dare un senso al dramma dell'esistenza,
per ricondurre
l'umanità all'essenza dell'essere, alla danza senza sosta del nascere e morire,
al sogno del continuo
rinascere del tutto, alla poesia perenne dell'esistere senz'altro scopo al di
sopra e al di fuori
dell'esistere in sé, uno scopo quindi capace di animare tutta l'infinita gamma
dei colori dell'esistenza
stessa.
Cambiano i nomi delle feste, cambiano i loro simboli, i riti, i tempi. Le feste
però hanno tutte uno
stesso nucleo profondo: distacco dalla quotidianità dominata dalla fatica
e in certo modo
dall'insensatezza del vivere e immersione nella dimensione del sogno, della
danza, della poesia, che
consente di emergere all'io profondo normalmente compresso dalla fatica del
dover essere. La festa
induce a svuotare un po' i nostri scrigni per non dire i nostri sarcofagi di
verità assolute, di obiettivi
irrinunciabili, di «non possumus» senza speranza. La festa è anche
invito a fare tutti un passo
indietro in modo da dare spazio all'inedito, alle cose nuove che premono per
nascere. Ma è possibile
che la frenesia feriale si metta un po' da parte in senso vero, reale, profondo?
Oppure il dominio
totalizzante e ossessivo dei fini, degli obiettivi, delle tecniche, della
«crescita» infinita,
dell'operosità insaziabile ha ormai invaso anche la festa? Lo smarrimento del
senso festivo della
vita è preoccupante e devastante. Le religioni istituite hanno la loro
responsabilità perché hanno
piegato la festa a scopi trascendenti, che in fondo sono scopi di potere,
separati dall'esistere per sé,
estranei alla nuda esistenza e alla sua immanente poesia. Invece di unire il
trascendente e
l'immanente, li hanno separati. E così hanno consegnato l'esistenza
senza difese a tutte le violenze e
la festa a tutte le strumentalizzazioni. Sarà possibile recuperare il senso
profondo della festa?
Prendiamo la Pasqua. Pasqua è un termine ebraico, pesah, trascritto in
greco con la parola pascha
che in latino s'intreccia col termine pascua il quale serve a indicare «i
pascoli». Significa
letteralmente «passaggio». La festa di Pasqua nasce come grande festa
della primavera di tipo
agricolo-pastorale. Acquista poi gradualmente significati religiosi, storici,
politici. Al fondo però
mantiene sempre questo tema del passaggio: perdere una condizione e tendere a
un'altra senza
averla ancora acquisita. Come avviene per la natura a primavera. Quindi il
«passaggio» a livello
esistenziale ha il senso di un protendersi nel vuoto. La stessa
simbologia pasquale cristiana è infatti
segnata dall'assenza e al tempo stesso dall'attesa: il sepolcro vuoto e la
speranza del ritorno. Questa
è la resurrezione per molti di noi, variamente credenti. E non il miracolo
della rianimazione di un
corpo morto, evento senza storia che si trascina da duemila anni, imbalsamato
nel dogma, perduto
nelle nebbie dei secoli.
E' possibile ancora oggi liberare il paradigma della resurrezione dal
dominio del sacro e del
miracolo e ricondurlo alla quotidianità e all'etica laica che è l'etica
originaria dello stesso Vangelo
mantenuta viva nella storia da un cristianesimo «ribelle»?
Più che una possibilità è forse un impegno. Perché un'etica laica, di cui
sentiamo una grande
necessità, non nasce dal nulla. Ha bisogno del recupero di tutti i frammenti di
creatività, di saggezza
e di senso disseminati dalla fatica umana nella storia.
Possiamo allora vivere la festa pasquale duemilanove valorizzando questa grande
solidarietà senza
frontiere né condizioni che sta risorgendo nel dramma delle popolazioni
terremotate e nella loro
volontà di rinascere. E inoltre accogliendo con la nostra partecipazione
il risorgere dell'utopia
concreta della condivisione e del rispetto della natura nei nuovi orizzonti
sociali, politici e
economici che si stanno aprendo a livello mondiale sollecitati dalla crisi
economica. E anche
vivendo con speranza la resurrezione di Eluana Englaro nel grande movimento per
l'autodeterminazione. E tanto altro che è nel cuore e nella vita di ognuno e
ognuna.
E' un augurio e insieme un impegno che può dare senso alla festa pasquale.
Enzo Mazzi il manifesto 11 aprile 2009