La cieca bugia


Distrazione di massa. Attrarre l’opinione pubblica attorno a un’emozione forte legata a un aspettodrammatico di una situazione, per passarne sotto silenzio la realtà complessiva. È una tecnica ormai
consolidata in un’Italia dove il Paese virtuale, deciso dagli interessi della politica e dai mass media
che le fanno da megafono, è sempre più distante da quello reale. Questa “distrazione” falsa tutte le
prospettive. Parcellizza la realtà e fa sprofondare il Paese in una confusione caotica e pericolosa.
Provoca un’atmosfera dove si mescolano paura, insicurezza, forti reazioni emotive, voglia di
ripararsi dietro l’uscio di casa, determinati a provvedere da soli alla propria sopravvivenza e
salvezza.
Due sono in questi giorni le punte dell’iceberg di questa distrazione che hanno fatto da
catalizzatore: gli immigrati e i rom. Realtà legate dal filo rosso del “diverso”, che in un momento di
crisi generale e di malessere diventa il capro espiatorio. Perché alla base di tutto c’è un Paese che
sta male, dove lo Stato è vacante dappertutto, le istituzioni non funzionano, la politica è diventata
un guscio vuoto senza progetti e capacità di gestire il bene comune, in uno scambio delle parti e dei
favori, confermato dall’attuale melassa in cui navigano maggioranza e opposizione.
L’etica quotidiana, quella privata e pubblica, è scomparsa. La principale emergenza è diventata la
questione e la crescita morale. L’Italia, già lo scriveva nostro padre Dante nel VI canto del
Purgatorio, «albergo di dolori, nave senza timoniere in mezzo a una grande tempesta», è come
quell’inferma che «non può trovare posa in su le piume, ma con dar volta suo dolore scherma». Ma
le piaghe non si guariscono nascondendole. O mascherandole. Fin quando Stato, istituzioni e
politica non diventeranno cose serie e in grado di rispondere alle necessità dei cittadini, di
progettare una crescita positiva del Paese in tutti gli ambiti, l’Italia continuerà ad andare alla deriva.
E non si tratta solo di urgenze economiche, ma della formazione culturale, umana ed etica delle
persone. A cominciare dalla scuola, divenuta un nodo scorsoio.
Gli immigrati. Non sono numeri. Sono donne e uomini che hanno un volto, un’anima, delle
famiglie, dei figli. Hanno storie spesso dolorose, obbligati a lasciare i propri Paesi per mancanza di
lavoro e di un futuro. E rappresentano una forza-lavoro fondamentale per il tessuto economico.
Gian Antonio Stella ha ricordato sul «Corriere della Sera», citando gli studi del docente Alessandro
Castegnaro, che, se la Regione veneta dovesse farsi carico dei 30 mila vecchi che sono accuditi da
badanti, dovrebbe spendere 440 milioni di euro in più, per non dire degli ospizi da costruire con un
costo almeno di 150 mila euro a letto. Il discorso vale per la maggior parte delle altre Regioni
italiane.
Fra gli immigrati ci sono i clandestini, circa settecentomila, che sono il risultato di leggi, ultima la
Bossi-Fini, incapaci di accogliere e di regolarizzare in modo efficace, svelto e senza infiniti calvari i
flussi immigratori, accogliendo coloro che vengono per lavorare e respingendo con determinazione
coloro che vengono per delinquere, che approfittano del disordine permanente, delle croniche
lentezze degli organi deputati ai controlli per diventare criminalità organizzata. Ancora il nostro
padre Dante già otto secoli fa stigmatizzava questo secolare male legislativo d’Italia: «Fai tanto
sottili provvedimenti ch’a mezzo novembre non giugne quel che tu d’ottobre fili».
Criminalità e clandestinità. Non possiamo non pensare, ad esempio, alle macchine di italiani che la
sera nelle città fanno la fila per comperare le dosi di eroina o cocaina dagli extracomunitari che
gestiscono il commercio di stupefacenti, o a quel folto pubblico maschile che preleva sulle strade
prostitute straniere sempre più giovani, poco più che bambine. Nell’ambito del lavoro quante
famiglie, quanti imprenditori sfruttano la mano d’opera a basso prezzo di badanti, colf, operai senza
permesso di soggiorno e, quando alcuni di loro riescono a regolarizzarsi, piuttosto che pagare i
contributi o il dovuto, li licenziano e passano a un altro clandestino che non ha pretese e accetta
tutto. Più che clandestini sarebbe giusto definirli nuovi schiavi.
Si capisce, allora, come il problema di cui si parla a lettere cubitali sui giornali e si riempiono i
dibattiti televisivi è un problema deviato. È la cartina di tornasole delle disfunzioni di uno Stato
sempre di più allo sbando nei suoi organi legislativi, esecutivi e di controllo. Nel suo disordine
umano e morale.
Ma “la distrazione di massa” nasconde tutto questo. Indica gli immigrati come la causa principale
dell’insicurezza, delle paure, dei pericoli in cui viviamo. A cominciare da chi governa, da quel
decreto del ministro degli Interni Maroni sul reato d’immigrazione clandestina che il presidente
Napolitano è stato costretto a respingere e archiviare, da quelle affermazioni del ministro delle
Riforme, Bossi, il quale ha dichiarato a Varese che il problema dell’Italia è quello «di mettere fuori
gli immigrati».
Con quest’aria che tira ai vertici e che promette di risolvere i problemi legati all’immigrazione
facendo vedere i muscoli, la risposta della base è quella delle ronde “fai da te” da Padova a Bari,
della tolleranza zero. È quella di un ragazzino torinese di una scuola di un quartiere residenziale che
ha pestato, con l’aiuto di alcuni compagni, un coetaneo di 13 anni all’uscita dalle lezioni, soltanto
perché era romeno, gridandogli: «Ritorna al tuo Paese». Ed è anche stato difeso dai propri genitori.
Speculare al fenomeno immigrazione è quanto è accaduto a Napoli, dove sono stati bruciati a
Ponticelli i campi rom, obbligando gli abitanti alla fuga. Il capoluogo napoletano non è mai stato
razzista. Ma è diventato una città a rischio, con la costellazione dei quartieri dell’hinterland
dominati dalla camorra. E dopo «Gomorra» sappiamo drammaticamente come. Una città di
endemici malesseri e drammi, come quello dei rifiuti che è divenuto incontenibile. Una città
stupenda con tesori artistici patrimonio dell’umanità, dove l’assenza dello Stato, le compromissioni
e le connivenze con la criminalità organizzata hanno consegnato il territorio a quest’ultima,
divenuta funzionale e indispensabile al sistema, con il consenso di molti cittadini che si sentono
protetti e difesi nella loro sopravvivenza. Il vero problema di Napoli è il dominio sempre più esteso,
sempre più agguerrito, della camorra che, anche là dove non è presente fisicamente, lo è con la sua
cultura di resa, di rassegnazione a una sudditanza che è scelta di vita o di morte.
L’assalto ai campi rom in zone malavitose, fuori da ogni controllo delle forze pubbliche, è la risposta di un degrado che non può accettare di essere messo in crisi da un altro degrado. È un segnale della criminalità che ha voluto manifestare, là dove non c’è lo Stato, la propria sovranità e
le proprie regole che non possono essere destabilizzate. Ma che ha colto, anche con la rapida
intelligenza del male, l’aria che tira. Se a Roma il sindaco Alemanno dice di voler chiudere i campi
rom, se si confondono i nomadi che delinquono con i tanti rom che cercano un insediamento dove
poter vivere nel rispetto dei diritti umani la loro cultura e le loro tradizioni, si rischiano quei pogrom
che nel secolo scorso hanno fatto scorrere fiumi di sangue. E che stanno riaffiorando nelle
dichiarazioni di tante persone che condividono l’espulsione indiscriminata dei nomadi. «La parola
“pogrom” ha cessato di indicare solo tragedie di altri tempi e di altri popoli per diventare la
definizione di atti compiuti da folle di italiani», ha scritto Adriano Prosperi.


Maria Pia Bonanate       in “il nostro tempo”  25 maggio 2008