La Chiesa in campo
e l'Italia divisa
Dirò subito perché la proposta di Vito Mancuso sulla religione civile mi pare
importante e degna di
attenzione al di là della solidità dei mattoni con cui è costruita. Il suo
appello è rivolto ai cattolici
che avvertono la gravità dei problemi del paese e l'inadeguatezza delle loro
organizzazioni politiche
o ecclesiali di riferimento, incapaci o non interessate a tradurre in programmi
e comportamenti
collettivi i valori evangelici di solidarietà e di fratellanza fra tutti gli
esseri umani. Vedremo se
questo appello sarà raccolto e come. Ma intanto è evidente che molti
problemi italiani nascono oggi
proprio dalla mancanza di un movimento di cattolici organizzato politicamente e
capace di portare
avanti in proprio idee e valori di quel tipo senza lasciare a papa, vescovi,
ordini religiosi, agenzie
giornalistiche o altro ancora il compito di parlare per loro conto.
La cosa interessa tutti. Ci troviamo ogni giorno a dover
fare fronte a ondate di integralismo e di
intolleranza alimentate da questo o quel pronunciamento ecclesiastico supportato
da «atei devoti» e
da furbeschi manipoli di destra estrema. Dobbiamo assistere allo strazio
delle leggi del paese fatto
da ministri che, per compiacere alle tesi del Vaticano, bloccano perfino
l'esecuzione di sentenze
della magistratura fondate sui principi della Costituzione - quella costituzione
che ha già subìto un
"vulnus" sul principio fondamentale dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla
legge e altri si
prepara a subirne. Intanto si avanzano provvedimenti contro immigrati e
diseredati di una violenza
così insensata da costringere a blande proteste quelle stesse autorità
ecclesiastiche che non avevano
lesinato sorrisi e abbracci verso l'avanzante nuova maggioranza. Sotto le
bandiere del cattolicesimo
pullulano oggi tentazioni di integralismo e di guerra di religione. E
non manca nemmeno a dare il
colore del tempo l'affacciarsi di germi di antisemitismo nel paese delle non
dimenticate leggi
razziali fasciste. Tutto questo dimostra che non si può lasciare né al
Papa pro tempore né al clero il
compito di tradurre nella politica del paese l'interpretazione di quei principi
religiosi cristiani che
continuano nonostante tutto a essere sostanza viva nel cuore di una grande
quantità di italiani.
Naturalmente ci sarebbero tante altre considerazioni da fare sul modo in cui
Vito Mancuso
costruisce il suo ragionamento. Ciascuno dei suoi argomenti andrebbe sciolto
nella sostanza di una
storia che si apre col celebre giudizio di Machiavelli sugli italiani
diventati per colpa della Chiesa
«sanza religione e cattivi». Doveva seguirne una lunga questione: ma
intanto i provvedimenti delle
autorità religiose sorrette dal potere e dalle classi dominanti colpivano
l'intelligenza italiana, quella
di Machiavelli stesso, di Giordano Bruno, di Galileo, e sorvegliavano
sospettosamente gli interessi
destati dalla cultura in quei figli del mondo contadino che, come don Angelo
Roncalli, emergevano
al sapere libresco per la via obbligata del seminario e del sacerdozio. La
società del paese Italia vide
così aprirsi un abisso tra masse ed élite. Ci vorrebbe la penna di Federico Zeri
per ricordarci come
ne nascesse la divisione storica di quella "intelligenza italiana" (un mito
consolatorio di lunga
durata) tra la raffinata cultura di un'elite e l'analfabetismo di masse
condannate alla fatica e
all'ignoranza per garantire i godimenti artistici dei pochi. Di tutto questo
bisognerebbe tener conto
in ogni discorso generale sull'Italia: che è un paese giovane, fragile, senza
istituzioni adeguate,
risollevatosi a stento dalla tragedia e dall'infamia della stagione del
clerico-fascismo. Ma proprio
perché si è risollevato si può oggi porre l'esigenza di rovesciare la frase
famosa di D'Azeglio,
«l'Italia è fatta, bisogna fare gli italiani». Perché oggi gli italiani ci
sarebbero, quella che manca è
l'Italia.
Ma ci fermeremo qui: non senza ricordare il precedente più significativo della
proposta di Vito
Mancuso, l'appello «a tutti gli uomini liberi e forti « lanciato nel gennaio
1919 da un prete siciliano,
don Luigi Sturzo. Era una «bandiera morale e sociale» che veniva alzata, in nome
di un ideale
politico cristiano, per invitare a portare il paese al «più alto sviluppo delle
sue energie». Il paese
rispose a quell'appello. Ma quando si affacciò il movimento fascista e promise
alle classi dominanti
e alla monarchia sabauda di mettere di nuovo sotto il tallone le masse popolari,
don Sturzo fu messo
alla porta dal Vaticano senza tanti complimenti in nome di un'alleanza di ferro
con l'ateo e
anticlericale maestro romagnolo pronto a diventare «l'uomo della Provvidenza».
Oggi è accaduto qualcosa di simile. Gli ultimi eredi del partito dei
cattolici rinato dalle macerie
dell'Italia clerico-fascista si sono visti preferire dalle gerarchie
ecclesiastiche e dai «poteri forti» un
nuovo Cavaliere. E poi si dice che la storia non si ripete.
Adriano Prosperi la Repubblica 16 gennaio 2009