La Chiesa in attivo per la Borsa
Vaticano. Sono le
speculazioni finanziarie l'elemento responsabile della chiusura in positivo del
bilancio vaticano relativo al 2005
Tra i
tanti sfasci economici che dominano le cronache finanziarie italiane, un buon
risultato lo registra lo Stato del Vaticano con la presentazione del bilancio
consultivo 2005. Il settore finanziario si è chiuso per lo stato pontificio con
un avanzo di 43,3 milioni di euro contro i 6,1 del 2004, come dichiarato alla
presentazione di lunedì scorso dal cardinale Sergio Sebastiani, presidente della
Prefettura degli Affari economici della Santa Sede, che ha aggiunto: “Siamo in
un periodo di vacche grasse...questo risultato straordinario è stato reso
possibile da una migliore congiuntura dei mercati finanziari dei cambi”. Dunque
dalle giocate in Borsa con le valute estere dello stato ecclesiastico. Sì perché
la Chiesa, per il bene dei suoi fedeli, beninteso, specula in Borsa. Grazie alle
fluttuazioni delle monete il Vaticano ha guadagnato ben 21,7 milioni di euro.
Ma andando per ordine, dal documento risultano in attivo diversi settori, tra
cui quello immobiliare, che ha fatto incassare al Vaticano 22,2 milioni di euro
(ma ricordiamoci che la Chiesa non paga l’Ici allo stato italiano). Positivo il
dato relativo a cedole e dividendi e quello degli interessi attivi, mentre
quelli passivi passano da un valore di 8,3 milioni di euro nel 2004 agli 8
milioni del 2005. Il settore “comunicazione” invece fa registrare un trend
discontinuo: mentre salgono i bilanci del Centro Televisivo Vaticano (650 mila
euro di utile contro i 235 mila del 2004), che vende a tutte le televisioni del
mondo le immagini del papa, quello della Lev (Libreria Editrice Vaticana) che,
grazie alla recente modifica della normativa detiene la proprietà e la tutela
dei diritti d’autore sulle parole e i testi del papa, chiude con 934 mila euro
di attivo e infine della Tipografia Vaticana, che ha chiuso il 2005 con un
avanzo di 653 mila euro, se la passano male sia l’Osservatore Romano che Radio
Vaticana, rispetto alla quale padre Lombardi, neo successore di Navarro-Valls
nonché direttore della radio e del Centro televisivo, ha annunciato un piano di
riduzione del personale da 395 a 335 dipendenti nell’arco dei prossimi 10 anni,
ricorrendo non a licenziamenti bensì alla mancata sostituzione del personale che
via via andrà in pensione. A meno che non si riaffacci la possibilità, da anni
ipotizzata, che sia l’Opus Dei a prendere in mano le redini dell’emittente
pontificia per risanarne le casse.
E ancora, sono in aumento le entrate della Chiesa corrisposte dalle diocesi
sparse per il mondo, che dovrebbero coprire le innumerevoli spese della Curia.
Ma le “attività istituzionali” vaticane hanno bisogno di più capitale per
coprire i costi della Segreteria di Stato, delle congregazioni, dei consigli
pontifici, sinodi, accademie e commissioni, che allo stato attuale segnano un
disavanzo complessivo di 36,9 milioni di euro. D’altro canto sono in
considerevole aumento i proventi dell’Obolo di S. Pietro, cioè le offerte
dirette al papa, che hanno raggiunto i 59,4 milioni di dollari, provenienti per
il 40 per cento da donatori statunitensi, i più generosi di tutti. In passato la
tradizionale offerta al papa si raccoglieva nelle chiese una volta all’anno, per
l’appunto il 29 giugno festa dei santi Pietro e Paolo. Oggi invece l’obolo può
venire offerto “in qualunque momento” anche con carta di credito. Una proficua
furbata ecclesiastica.
Poi, dulcis in fundo, al di fuori del bilancio il Vaticano incassa i proventi
delle fondazioni nate per sostenere la chiesa, che vengono devoluti direttamente
al papa.
Un resoconto piuttosto positivo delle attività economico-finanziarie della Santa
Sede, che però manca di un elemento fondamentale di trasparenza: non c’è traccia
del bilancio relativo allo Ior (Istituto per le Opere di Religione), uno degli
uffici chiave della finanza pontificia, che altro non è che la banca centrale
del Vaticano allo stesso tempo riconosciuta come istituto di credito ordinario
(con un patrimonio di 5 miliardi di euro).
La situazione finanziaria dello Ior non è mai stata resa pubblica, costituendo
un’anomalia rispetto alla prassi degli istituti di credito che devono comunicare
i propri bilanci. Si tratta di una banca molto particolare che non ha sportelli,
non emette assegni e non fa prestiti, ma gestisce i capitali del clero o dei
laici interni al Vaticano, con l’eccezione di enti o privati con finalità
religiose, operando sulle monete forti come yen, dollaro e euro. Ma c’è molto di
più. Lo Ior è il centro di una organizzazione mondiale di banche controllate
dalla Santa Sede che rende possibile qualsiasi trasferimento di denaro senza
limiti di quantità né di distanza, con la copertura della assoluta riservatezza.
I suoi bilanci sono noti solo al papa e ad altri tre cardinali. Non è un caso
dunque che sia molto ambita da chi possiede capitali da far passare
“inosservati”, così come non sorprende, ma indigna, che non abbia l’obbligo di
presentare il proprio bilancio.
Insomma, un'eccezione nel panorama creditizio. Ma se tutto questo viene fatto
per il bene dei fedeli…
Manuela Bianchi AprileOnLine. del 26/07/2006