La Chiesa il denaro
e la spinetta di Ratzinger
L'anticipazione del documento papale per la giornata mondiale della pace che si
celebrerà il 1°
gennaio giunge in un momento di diffuse preoccupazioni per le società di tutto
il mondo, quello
economicamente sviluppato e quello delle più disperate società africane.
Processi giganteschi
stanno ridisegnando le economie mondiali e travolgono senza pietà le nostre
piccole economie
domestiche. Giorno dopo giorno scopriamo che niente è più come prima. Uno stato
d'animo
inquieto, una sensazione di paura del futuro sono i sentimenti che colorano
l'orizzonte del tempo
presente. Parlare di economia in questi giorni è un esercizio obbligato a tutti
i livelli e in tutti gli
ambienti. Non poteva mancare la voce della Chiesa. Il messaggio papale indica
alcuni temi di
indiscutibile e sempre più drammatica importanza: fondamentale fra tutti lo
squilibrio economico
tra i paesi dove la povertà è un abisso di disperazione senza fine e i bambini
dalle membra emaciate
aprono sull'osservatore occhi grandi e spauriti, e l'isola dorata del mondo
ricco, quello per
raggiungere il quale si rischia e si perde la vita. Regolamentazione
dell'economia per raggiungere
una più equilibrata distribuzione delle risorse; questo il problema che viene
evocato per i commerci
internazionali e per la finanza. Evocato, non certo risolto. La questione
è, formalmente, la pace, il
nesso che esiste tra disarmo e sviluppo, la minaccia per la pace che nasce dalla
povertà e dalla
denutrizione di intere parti del mondo. Il testo inanella considerazioni
morali, avvertimenti e inviti a
tutti i soggetti a fare la loro parte, senza indugi, citando le parole di Leone
XIII nella enciclica
"Rerum novarum". L'intarsio di citazioni sulle quali si appoggia il testo papale
offrirà agli esegeti
sicura materia di riflessione ma non permette al lettore comune di ricavare
ricette concrete su come
affrontare i problemi della pace nel mondo.
Come al solito i documenti papali obbediscono a una
precisa regola di composizione, simile a quella dei documenti che uscivano un
tempo dagli organismi direttivi dei grandi partiti di massa: si tratta di
riuscire a mettere le novità del mondo
nell'antico sacco di un discorso senza tempo, di una dottrina superiore ed
eterna, dotata di una
indeformabile e rassicurante fissità. Eppure sembrerebbe piuttosto difficile
ricavare dalla dottrina
della collaborazione tra le classi offerta nel 1893 all'Europa della rivoluzione
industriale e del
nascente socialismo da Leone XIII una qualche ricetta valida per i problemi di
un mondo
globalizzato e di una finanza internazionale che ha cancellato ogni confine di
stato. Comunque non
di questo si tratta nel documento in questione. Qui un soggetto che si
vuole immutabile, la Chiesa,
si confronta con un oggetto storicamente e geograficamente mutevole, la povertà.
Questa è una
Chiesa che non cambia opinioni e che ha sempre fatto la sua parte: "Da sempre la
dottrina sociale
della Chiesa si è interessata dei poveri". La dottrina è dunque la stessa, sono
i poveri che cambiano.
La povertà non è più quella di una volta. Ci sono diverse forme di
povertà, quella
dell'emarginazione, della "povertà relazionale, morale e spirituale" che le
società ricche e progredite
conoscono e quella che si definisce "assoluta", sofferta dalle masse umane
carenti di cibo e di
acqua. Qui si parla della povertà del secondo tipo. Ma non senza segnalare che
anche la fame
spirituale, quella sofferta dalle folle "sazie e disperate" delle città del
mondo ricco - per usare una
celebre espressione del cardinal Biffi - ha un'origine comune: il "mancato
rispetto della trascendente
dignità della persona umana". Mancano indicazioni su chi sia il responsabile: o
almeno così
sembrerebbe, perché poi un responsabile emerge, come vedremo. Non si fanno nomi
di enti, stati,
organizzazioni, né si danno indicazioni su storture economiche e finanziarie
responsabili delle
guerre in atto. Vengono in mente per contrasto altri discorsi sulla pace che
sono stati avanzati
dall'interno della Chiesa cattolica. E ci accorgiamo a questo punto di qualche
omissione quanto
meno singolare: per esempio, non viene citata la "Pacem in terris" di papa
Giovanni XXIII, il
celebre documento papale che affrontò di petto il tema della pace. Né compaiono
citazioni dai
documenti del concilio Vaticano II. Né vi affiora la questione dell'ingiustizia
dei rapporti di classe e
il rapporto tra giustizia sociale e pace. Il cardinale Carlo Maria Martini in un
libro del 1999 sulla
giustizia scrisse ad esempio che "la pace è perduta ... quando c'è
sfruttamento economico e sociale"
e che la pace può essere garantita solo da "una giusta distribuzione delle
ricchezze" . Di fatto la
giustizia sociale resta sullo sfondo remoto di questo documento che ha il suo
centro non nella
questione della pace, della guerra o della fame ma nel problema dello sviluppo
demografico e del
controllo delle nascite.
La geografia della fame, la scienza triste inaugurata dal
grande libro di José
De Castro che gli italiani lessero nel remoto 1954 con prefazione di Carlo Levi,
è oggi una
disciplina di assoluto rilievo tra quelle che ci raccontano il mutare del mondo
visto dall'angolo
fondamentale della privazione del cibo. E' una strana geografia che non disegna
più confini netti tra
i continenti o all'interno di essi, che vede processi di rapida evoluzione, con
una contabilità degli
affamati non priva di dati positivi. E' su questi che si concentra il messaggio
papale. Dopo aver
segnalato che nell'arco degli ultimi decenni la percentuale della popolazione in
condizioni di
povertà assoluta si è dimezzata. Si osserva che l'uscita dalla povertà è
avvenuta in certi paesi senza
bisogno di controllare la crescita demografica. E qui tocchiamo finalmente il
punto centrale del
messaggio. Se non è l'aumento della popolazione a creare la carenza di risorse,
questo vuol dire che
non c'è bisogno di ricorrere alla contraccezione e tanto meno alla pratica
dell'aborto. I nemici da
combattere sono quelle agenzie del mondo globalizzato che condizionano gli aiuti
economici alla
"attuazione di politiche contrarie alla vita" (leggi: uso dei contraccettivi).
Il rimedio? Avviare
"campagne che educhino specialmente i giovani a una sessualità pienamente
rispondente alla
dignità della persona". Questo vuol dire forse che tra le medicine e le cure
necessarie, tra le
"innovazioni terapeutiche" per combattere l'Aids sarà da intendersi incluso
anche l'uso degli
anticoncezionali? Sembra proprio di no. I poveri del mondo mutano di quantità e
di qualità ma
restano quelli di sempre nel discorso atemporale di questa Chiesa; così pure i
flagelli dell'umanità.
Era da peste, fame e guerra che nelle chiese del passato si invocava il "Libera
nos, Domine". Il
problema urgente da affrontare è uno solo: quello del sesso. Che dire?
Viene alla mente il
brevissimo raccontino, la "scorciatoia" che nel momento più tragico della
seconda guerra mondiale
il poeta Umberto Saba dedicò alla figura di Benedetto Croce: in una casa dove
c'è chi uccide, chi
stupra, chi muore, si apre una porta e si vede una vecchia signora che suona -
molto bene - una
spinetta.
Adriano Prosperi la
Repubblica 12 dicembre 2008