La Chiesa e la
bioetica non c'è fede senza libertà
Le gerarchie cattoliche sottolineano spesso che i loro interventi sui temi
bioetici sono condotti sulla
base della ragione e riguardano temi di pertinenza della ragione, legati alla
vita di ognuno, non dei
soli cristiani. Per questo, aggiungono, tali interventi non costituiscono
un'ingerenza negli affari
dello stato laico. Scrive per esempio il recente documento Dignitas personae
che la sua
affermazione a proposito dello statuto dell'embrione è «riconoscibile come vera
e conforme alla
legge morale naturale dalla stessa ragione» e che quindi, in quanto tale,
«dovrebbe essere alla base
di ogni ordinamento giuridico». Allo stesso modo molti politici cattolici
rimarcano nei loro
interventi sulle questioni bioetiche che parlano non in quanto cattolici ma in
quanto cittadini. Va
quindi preso atto che le posizioni cattoliche sulla bioetica, sia nel metodo sia
nel contenuto, si
propongono all'insegna della razionalità.
Se questo è vero, se si tratta davvero di argomenti di ragione per i quali
«mestier non era parturir
Maria» (Purgatorio III,39), allora le posizioni della Chiesa gerarchica
sulla bioetica sono
perfettamente criticabili da ogni credente. L'esercizio della ragione è per
definizione laico, non ha a
che fare con l'obbedienza della fede e il principio di autorità. Chi ragiona,
convince o non convince
per la forza delle argomentazioni, non per altro. Per questo vi sono
non-credenti che approvano gli
argomenti razionali delle gerarchie convinti dalla coerenza del ragionamento,
per esempio gli atei
devoti. Ma sempre per questo vi sono credenti che, non convinti dal
ragionamento, non approvano
tutti gli argomenti razionali delle gerarchie in materia di bioetica. Deve
essere chiaro quindi (se
davvero la base dell'argomentazione magisteriale è la ragione) che la posizione
critica di alcuni
credenti verso il magistero bioetico è del tutto legittima. Se la
gerarchia gradisce la convergenza
degli atei devoti in base alla sola ragione, allo stesso modo, sempre in base
alla sola ragione, deve
accettare (se non proprio gradire) la divergenza di alcuni credenti, peraltro
non così pochi e privi di
autorevolezza. Sempre che, ovviamente, le gerarchie non pensino che la
razionalità valga solo
"fuori" dalla Chiesa e non anche al suo interno, dove vale invece solo
l'autorità, istituendo una
specie di disciplina della doppia verità. E sempre che le medesime gerarchie
amino davvero la
razionalità e che il richiamarsi ad essa non sia invece un trucco tattico (come
io credo non sia).
In realtà nessuno può chiedere obbedienza sugli argomenti di ragione perché
l'obbedienza viene da
sé, come di fronte a un risultato di aritmetica o a una norma morale
fondamentale. Per questo io
penso che agli argomenti di ragione occorrerebbe lasciare maggiore duttilità,
visto che la ragione,
da che mondo è mondo, esercita il dubbio, soppesa i pro e i contro, e per questo
vede grigio laddove
invece altri (che non amano la calma della ragione ma forme più nervose di
autorità) vedono solo
bianco o solo nero. Intendo dire che proprio il richiamo alla ragione da
parte delle gerarchie
cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di vista
di fronte alla
complessità dell'inizio e della fine della vita alle prese con le possibilità
aperte dal progresso
scientifico.
La cautela è tanto più auspicabile se si prende atto della
storia. La Chiesa dei secoli scorsi infatti
non è stata in grado di interpretare sapientemente l'evoluzione sociale e
politica dell'occidente,
finendo per condannare pressoché tutte quelle libertà democratiche che ora,
invece, essa stessa
riconosce: libertà di stampa, libertà di coscienza, libertà religiosa e in
genere i diritti delle
democrazie liberali. Allo stesso modo, a mio avviso, le odierne posizioni
della gerarchia corrono il
rischio di non capire la rivoluzione in atto a livello biologico, respinta con
una serie di intransigenti
no, pericolosamente simili a quelli pronunciati in epoca preconciliare contro le
libertà democratiche.
Ora io mi chiedo se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con
granitica sicurezza dalla
Chiesa saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti come lo sono
stati i principi della
morale sociale. Siamo sicuri che la fecondazione assistita (grazie alla quale
sono venuti al mondo
fino ad oggi più di 3 milioni di bambini, di cui centomila in Italia) sia
contraria al volere di Dio?
Siamo sicuri che l'uso del preservativo (grazie al quale ci si protegge dalle
malattie infettive e si
evitano aborti) sia contrario al volere di Dio? Siamo sicuri che il voler morire
in modo naturale
senza prolungate dipendenze da macchinari, compresi sondini nasogastrico, sia
contrario al volere
di Dio? E per fare due esempi concreti legati a precise persone: siamo sicuri
che si sia interpretato
bene il volere di Dio negando i funerali religiosi a Piergiorgio Welby perché
rifiutatosi di continuare
a vivere dopo anni legato a una macchina? E siamo sicuri che si sia interpretato
il volere di Dio
chiamando "boia" e "assassino" il signor Englaro, salvo poi aggiungere, non so
con quale dignità, di
pregare per lui?
Mi chiedo se tra cento anni (e spero anche prima) i papi difenderanno il
principio di
autodeterminazione del singolo sulla propria vita biologica, così come oggi
difendono il principio di
autodeterminazione del singolo sulla propria vita di fede (la quale peraltro per
la dottrina cattolica è
sempre stata più importante della vita biologica). Se si riconosce alla
persona la libertà di
autodeterminarsi nel rapporto con Dio, come fa la Chiesa cattolica a partire dal
Vaticano II, quale
altro ambito si sottrae legittimamente al principio di autodeterminazione?
Non ci possono essere
dubbi a mio avviso che questo principio vada esteso anche al rapporto del
singolo con la sua
biologia.
I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione
definendola
"relativismo cristiano" dovrebbero estendere l'accusa al Vaticano II il quale
afferma che «l'uomo
può volgersi al bene soltanto nella libertà» (Gaudium et spes 17). La
realtà è che non è possibile
nessuna adesione alla verità se non passando per la libertà. È del tutto
chiaro per ogni credente che
la libertà non è fine a se stessa, ma all'adesione al bene e al vero; ma è
altrettanto chiaro che non si
può dare adesione umana se non libera. Dalla libertà che decide non è
possibile esimersi, e questo
non è relativismo, ma è il cuore del giudizio morale.
Vito Mancuso la Repubblica 9 marzo 2009