La chiesa e il modello Zapatero
Sul capo del socialista Zapatero la Chiesa cattolica si attiva a raccogliere le
nubi più nere. Essa non accetta la politica che il leader spagnolo intende
attuare in materia religiosa e la denuncia con toni tanto pesanti da evocare –
lo si è fatto recentemente da alte gerarchie ecclesiastiche – addirittura una
minaccia di ateismo imposto dallo Stato. Da parte sua su questo giornale Joaquín
Navarro-Valls ha sostenuto che Zapatero persegue il disegno di un socialismo
conformista, concepisce i diritti individuali in contrasto con «i sentimenti
religiosi della maggioranza» della popolazione spagnola che è cattolica. In
sintesi, egli «finisce per essere veramente il sostenitore di una proposta
massimalista e totalitaria, degna di altri tempi».
Un simile modo di leggere la politica religiosa del leader socialista sembra a
chi scrive un´interpretazione deformata. Una linea che ha per finalità di dare
piena attuazione alla libertà civile e alla libertà religiosa ponendo tutti i
cittadini di fronte allo Stato in una posizione di piena uguaglianza viene
presentata alla stregua di una strategia volta a soffocare democrazia e
pluralismo culturale e religioso. Qui l´equivoco non potrebbe essere maggiore.
In realtà la posizione di Zapatero non si ispira affatto, come vorrebbe
Navarro-Valls, ad un «socialismo antico» (ovvero ad un socialismo totalizzante),
ma all´opposto al più schietto liberalismo, il quale è non già antireligioso ma
laico nella sua essenza. Andiamo a un testo classico in argomento, La libertà
religiosa, di un grande studioso liberale, certo non socialista, quale Francesco
Ruffini, pubblicato nel 1901, e vi troviamo affermato che «la libertà religiosa
è un concetto o un principio essenzialmente giuridico», che «il vero concetto di
libertà», compresa la religiosa, «può solamente esistere dove identiche
concessioni si fanno a tutti, e dove l´esercizio della libertà degli uni trova
un freno e una regola nell´esercizio dell´uguale libertà degli altri». Ecco il
punto: uguale libertà. Dal che deriva che uno Stato propriamente libero,
democratico e laico, che non ha da contribuire direttamente o indirettamente ad
indirizzare le coscienze verso questa o quella credenza religiosa o non
religiosa o ad evidenziare una preferenza per alcuna di esse, chiede in quanto
tale all´insieme dei cittadini di rispettare i loro doveri verso la sfera
pubblica e di godere in privato e in pubblico dei propri diritti di libertà, di
opinione e di orientamento interiore senza pretendere e ottenere privilegi
neppure di carattere simbolico nei luoghi – dalle aule di giustizia alle scuole
– frequentate da persone di diversa fede religiosa o non religiose, a cui lo
Stato è tenuto a rivolgersi in maniera paritaria. Il che coinvolge anche
l´esposizione del crocifisso. Chiederne la rimozione – la questione è stata
posta anche in Italia - significa intraprendere la via non di un socialismo che
impone dall´alto una laicità escludente, ma di un liberalismo democratico
rispettoso delle scelte, quali che siano, delle coscienze dei gruppi e dei
singoli. È facile vedere dove sta il punto dolente dell´invocare il rispetto
privilegiato dei sentimenti degli appartenenti a una sola religione, la
cattolica. Proviamo ad immaginare per ipotesi che ad un certo punto in uno Stato
della Ue si giungesse ad una prevalenza islamica. In tal caso, la Chiesa
cattolica accetterebbe che nei luoghi pubblici al crocifisso si sostituisse in
virtù del principio di maggioranza un simbolo islamico? Inutile attendere la
risposta. Quando Zapatero ha espresso la direttrice che intende seguire in tema
di libertà religiosa, si sono levate da noi all´interno del Partito democratico
voci che hanno inteso rassicurare che in Italia non si intende «imitare» questa
direttrice. Ma certi diritti hanno o non hanno un valore universale?
Rileggiamo l´incipit del testo di Zapatero riportato su la Repubblica del 7
luglio, e ci si chieda dove appaia il supposto vulnus alla libertà religiosa e
alla democrazia. Esso così suona: «La solidarietà che caratterizza la società
spagnola si fonda sul rispetto dei diritti. Proprio di questi ci siamo occupati
nei giorni passati, quando abbiamo discusso la portata della libertà religiosa;
del riconoscimento e della protezione dei milioni di spagnoli cattolici, della
tutela degli spagnoli non cattolici, delle conseguenze inderogabili della norma
costituzionale sul carattere laico dello Stato». Il problema che egli mette al
centro è dunque la posizione uguale dello Stato dinanzi a cattolici e non
cattolici: posizione che richiede che ciascuno sia libero e rispettato nella
propria diversità e che lo Stato perciò non consenta a che vi sia chi è più
eguale degli altri. Un messaggio, dicevo, prettamente liberale.
Ad esso la Chiesa contrappone il proprio, che fa perno su due punti cardine
essenziali. Il primo è una posizione di fede, la quale consiste sia nel credere
– al che non vi è obiezione da farsi - che la propria verità sia la verità tout
court, sia che questa verità comporti un diritto di supremazia giuridicamente
sanzionata dallo Stato. Il secondo punto, il quale costituisce l´elemento
spirituale che sorregge la dimensione giuridica, è l´idea che lo Stato debba
avere e tutelare un nucleo «etico» da espandere nella società neppure ispirato
alla religione ma al cristianesimo di cui la Chiesa cattolica costituisce la più
autentica incarnazione. Fare appello da parte cattolica ai valori di pluralismo,
rispetto degli altri, tolleranza, valorizzazione delle differenze in un simile
contesto significa confondere le acque e pretendere davvero troppo dalla «contradizion
che nol consente».
Massimo L. Salvadori Repubblica 16.7.08