La Chiesa di frontiera di Barak Obama


A pochi giorni, ormai, dall’ingresso di Barack Obama nella Casa bianca, le varie fedi religiose
interessate (protestanti, cattolici, ebrei, musulmani) evitano le prese di posizione favorevoli o
contrarie. Da una parte perché più o meno tutte profondamente divise al loro interno, dall’altra
perché ben altre sono le questioni cruciali della «svolta» che gli Stati uniti si apprestano a
affrontare. Le questioni religiose non sono in primo piano.
Vale la pena, piuttosto, di dare un’occhiata alla «chiesa di Barack Obama», come titola la rivista
«Confronti» che ci fornisce alcune indicazioni interessanti. Obama è membro della United church
of Christ (Ucc), una delle chiese protestanti forse meno note ma certamente fra le più interessanti
degli Usa. Una chiesa che spesso ha fatto discutere per le sue scelte coraggiose. Fra le altre, la
prima a assumere un pastore afroamericano, a assumere una donna al ministero, a sostenere, nel
2005, la possibilità del matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Formalmente la Ucc è istituita di recente (1957), ma le sue radici - di origine calvinista - risalgono
addirittura alla dichiarazione di indipendenza del 1776. Insomma una chiesa di frontiera, ben
lontana da quel conservatorismo protestante di molte chiese, come di quella di Bush. Attualmente
siedono nel Congresso Usa dieci parlamentari membri dell’Ucc: è interessante notare che cinque
sono repubblicani, cinque democratici. Il senatore Obama è stato a lungo membro attivo della Ucc
di Chicago, una delle 5700 comunità locali della Ucc (circa 5700 membri nell’intero paese).
Recentemente ha fatto scalpore un contrasto fra Obama e il pastore della sua chiesa di Chicago,
contrasto che, comunque, non ha allontanato Obama dalla Ucc. Il presidente della Ucc ha
dichiarato: «Sono orgoglioso che il senatore Obama sia un membro attivo delle nostre chiese». Al di
qua dell’Atlantico più perplessi i cattolici. «La Civiltà cattolica»: «A vantaggio di Obama ha
giocato la grave recessione alle porte, che ha messo in secondo piano i problemi della guerra e del
terrorismo e quelli etici. Le sfide interne e una nuova configurazione della politica internazionale
degli Usa richiederanno a Obama notevoli capacità di costruzione del consenso».

Filippo Gentiloni      il manifesto 4 gennaio 2009