La Chiesa che vorremmo
Sono sempre molto meravigliato dalla mancanza di reciprocità nei rapporti
«diplomatici» con la chiesa cattolica. Se è ben vero che la religione cattolica
è un «sistema di credenze» che coinvolge una parte della popolazione mondiale e
non solo italiana, è anche vero che, occupandosi di regole del comportamento può
anche interferire con la nozione di legittimità delle azioni individuali in una
comunità non necessariamente credente. Mi si dice, però, che il Vaticano è uno
stato estero, ma, a proposito di rapporti, non ho mai trovato niente di più
preciso del cavouriano motto «Libera chiesa in libero stato», in verità un po’
troppo vago e inefficace. Ora, parto dall’idea che una massa non marginale di
personale ecclesiastico (il clero) di nazionalità italiana goda di finanziamenti
che gravano sul pubblico bilancio per svolgere attività per così dire
«professionali» in ambito religioso, in sedi sparse su tutto il territorio. Se
di cittadini italiani si tratta, vorrei che un bravo giurista rispondesse a
queste domande: 1) è concepibile che questi «impiegati» siano tenuti, per
svolgere il loro mestiere, al celibato che, secondo il loro codice linguistico,
dovrebbe invece essere considerato «contro natura»? Se di libera scelta si
tratta, come può accadere che, in caso di rapporti con altro individuo, «perdano
il posto»? 2) come mai, se si accetta la funzione educativa spirituale di questo
personale, non accade quasi mai (se si eccettuano occasioni celebrative come
cerimonie mediaticamente visibili in cui condannare la delinquenza palese) che i
sacerdoti si esprimano a favore di doveri civici, come il dovere di pagare le
tasse o contro il conflitto di interessi o, più generalmente, per la legalità
dei comportamenti sociali? 3) come mai, se praticano comportamenti contro natura
imposti da obblighi non previsti in leggi italiane («castità»), si oppongono poi
alla legalizzazione delle coppie di fatto etero ed omosessuali? 4) perché, come
corrispettivo in prestazioni del finanziamento statale e dell’esenzione fiscale
(Ici), hanno soprattutto la licenza di insegnare catechismi a minori anche nelle
scuole pubbliche e non sono invece destinati a sole opere di utilità sociale,
come quelle di assistenza nelle quali oggi è molto più frequente vedere
impegnati volontari laici? 5) Come mai, pur condannando pubblicamente gente
comune non rispettosa dei dogmi, non condannano mai notabili politici immorali
dai però quali dipendono o possono dipendere le elargizioni a favore della
chiesa?
Insomma, c’è qualcosa di fortemente squilibrato nell’attenzione che siamo
costretti a prestare alle obiezioni della chiesa sulle nostre leggi (la 194, la
fecondazione assistita, le staminali, gli anticoncezionali, l’eutanasia, ecc.)
mentre alla chiesa tutto è concesso (e Ratzinger non fa che minacciare) fino
alla limitazione dei diritti e delle libertà di alcuni individui, pure italiani,
che in essa prestano servizio. Non sarebbe il caso di sottoporre a referendum un
concordato costituzionalmente accettabile, più democratico e rispettoso dei
diritti elementari di tutti, religiosi inclusi? Non sarebbe più utile impiegare
preti, frati e suore in servizi sociali che gratificherebbero il loro spirito
assai più di quanto non faccia la banale osservanza rituale? So bene che la
chiesa non può tollerare che gli esseri umani scelgano liberamente ciò che
assicurerebbe loro la serenità e la felicità; e considera simili circostanze
come oggetto di dottrina e verifica di obbedienza. Ma chi non crede avrà il
diritto di opinare che c’è qualcosa di dogmaticamente mostruoso in queste
imposizioni. È difficile pensare che, 2000 anni fa, un Messia così attento alla
sofferenza degli umili volesse un apparato di potere piuttosto che l’altruismo e
il benessere come «sentimenti diffusi e condivisi»; ma è difficile anche pensare
che, in tempi più vicini a noi, Don Sturzo o De Gasperi avrebbero accettato
ingerenze così pesanti delle gerarchie ecclesiastiche, come queste che stiamo
subendo oggi, e che vengono avallate da politici apparentemente di ben altra
tradizione e cultura.
Carlo Bernardini l’Unità 5.1.08