La Chiesa che punta il dito sulla moralità del premier
Una lettera appassionata, di sofferenza viva quella del sacerdote don Angelo Gornati da Limbiate
che scrive al quotidiano «
condanna dell'immonda spazzatura che dalla vita privata del presidente del Consiglio trabocca sul
paese, ne incrina le convinzioni morali, trasforma lo squallore in virtù, la vergogna in vanteria.
Perché i vescovi sembrano «così poco decisi e precisi a condannare una moralità così squallida»?
La sua domanda è quella che si fanno da tempo tanti italiani che davanti al vento di chiusura
intollerante e razzista, alla spaccatura profonda tra ricchi e poveri e tra nord e sud, all'esibizione
sfrontata di stili di vita remoti da ogni moralità, laica o cristiana che sia, si chiedono che cosa ci
stiano a fare le autorità ecclesiastiche in questo paese. Dove e quando si è esercitato su queste cose
quel ministero pastorale della guida del gregge che la Chiesa da secoli si attribuisce come compito
primario? Il direttore di
coloro che dovevano riceverli. Anzi, quello che a don Angelo è sembrato silenzio o quasi, è
diventato un grido: lo è diventato, riconosce il direttore, attraverso i titoli e i commenti di
«
Per riconoscere – senza strumentalizzazioni, senza alimentare confusioni di presupposti generali, di
posizioni intellettuali e di scelte religiose – che quello che sta avvenendo attraverso il canale di
comunicazione del giornale della Conferenza episcopale è un fatto importante. Nel mondo del clero
italiano è in atto da tempo una reazione stupita, addolorata, scandalizzata davanti allo scenario
offerto dal gran teatro televisivo. Che si sia deciso di raccogliere voci come quella di don Angelo
incrina finalmente in maniera decisa e significativa un silenzio pesante, un parlare a mezza bocca,
un alternare generiche reprimende con sorrisi e atti di complicità. Non è la prima volta nella storia
d'Italia che le ragioni della convenienza politica e l'istintiva, connaturata tendenza conservatrice
della Chiesa hanno avuto la meglio: il clerico-fascismo è un virus radicato nel sangue del paese. Ma
non è la prima volta che nel punto di saldatura tra il corpo ecclesiastico e il mondo dei laici, là dove
la vita quotidiana e le scelte morali della popolazione vengono sondate, radiografate e corrette, si
levano voci di sofferenza e di critica. Crediamo che sia nell'interesse generale di donne e uomini del
nostro paese come pure dei tanti che nel mondo guardano increduli alla scena italiana, che su questa
strada si proceda con maggior decisione. La linea dovrebbe essere chiara per il clero cattolico. E'
stato papa Giovanni Paolo II che il 27 maggio 2001 commentando il passo evangelico di Matteo 10,
27 ( «Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio
predicatelo sui tetti») osservò che quei tetti nel mondo attuale sono diventati una foresta di
trasmettitori e di antenne: una foresta che trasmette quasi solo messaggi di indifferenza alla verità ,
tesi a cancellare il confine tra vero e falso. Da qui la grande responsabilità della Chiesa: dire parole
di verità. Naturalmente il papa si riferiva alla verità della fede. Ma la sua condanna dell'immoralità
diffusa colse allora il carattere essenziale della corruzione collettiva operata dalla comunicazione di
massa: il venir meno della percezione della realtà, la soggezione agli idoli della televisione, la
perdita del confine tra vero e falso. Ebbene, se la Chiesa che nel nostro paese non è certo priva di
mezzi di comunicazione sociale, vorrà parlare chiaro e alto sui fatti che avviliscono oggi il clima
morale del paese intero e fanno traballare il senso diffuso del bene e del male non avrà certo
bisogno dell'aiuto di un giornale laico: un giornale che, senza potersi affidare alla Provvidenza, ha
condotto finora la sua battaglia in quasi completa solitudine, chiedendo solo verità sui fatti e
Adriano Prosperi
Niente «silenzi di convenienza», parole appropriate
lettera di don Angelo Gornati
Caro Direttore, è da un po’ di giorni che sento tanta amarezza nel mio animo, amarezza che a volte
sfocia in rabbia. Sono un sacerdote e vostro abbonato da tanti anni, ma da sempre compero
quotidianamente il giornale Avvenire. Vi ringrazio di tutto quello che fate perché si combatta e non
ci si adatti alla cultura corrente, di massa, di profondo egoismo e di banalità sconcertante che si
estende e domina cuori e menti di tanti giovani. Vi ringrazio delle vostre battaglie su tantissimi
temi.
Ma sono deluso dal vostro atteggiamento circa quello che da settimane riempie alcuni giornali: la
vita privata del presidente del Consiglio. Quale spazzatura, quale disgusto, quale miseria. Aveva
ragione la moglie dicendo «Aiutatelo, è ammalato». E lui ora non nega lo squallore, ma lo indica
come performance, come capacità, come virtù… Afferma: «Non sono un santo e gli italiani mi
vogliono così». Ma quale falsità! Tanta è la mia sofferenza per il vostro atteggiamento di silenzio,
di attesa di verifiche certe, di… come il Tg!
Ma perché non una parola chiara su quello squallore? Perché anche i Vescovi non sono così chiari
e precisi come su tanti altri temi di morale? Perché, senza condannare il peccatore, non si dice
quasi nulla di questo peccato d’immoralità? E lui se ne fa un vanto! Quanta sofferenza, quanta
amarezza nel vedervi così quasi servili, così poco decisi e precisi a condannare una moralità così
squallida che purtroppo inficia menti e cuori di tante persone, di tanti giovani. Dov’è la parola
chiara, precisa, puntuale che condanna? E questo atteggiamento di prudenza (che io definisco di
convenienza), non c’è solo su atteggiamenti di morale sessuale ma anche del dovere di accoglienza
delle persone che fuggono dall’inferno e chiedono aiuto. Dov’è la tolleranza cristiana? Né sul suo
giornale né nelle parole di tanti Vescovi c’è stata una condanna precisa, chiara, evangelica. Solo il
mio vescovo , il cardinale Dionigi Tettamanzi e i Vescovi lombardi sono stati precisi sul dovere
dell’accogliere. E li ringrazio di cuore. Ma non certamente la Cei né il quotidiano Avvenire. C’è
tanta amarezza in me. Grazie dell’ospitalità per questo sfogo e grazie se risponderà e pubblicherà.
don Angelo Gornati, Limbiati