LA CHIESA CHE PIACE AGLI ATEI DEVOTI

 

 Il tema odierno delle mie riflessioni sarà il raduno cattolico di Verona e i discorsi del Papa pronunciati l'altro ieri in quel raduno e ieri - con analoghi argomenti - all'Università Lateranense. Si tratta infatti di questioni di capitale importanza culturale e politica che riguardano cattolici e non cattolici, credenti e non credenti.

Ma non posso, in rimessa, trascurare alcuni recenti aspetti dell'attualità politica italiana che riguardano la tenuta del governo e della sua maggioranza, il rapporto del presidente del Consiglio con la stampa, il giudizio di due agenzie di "rating" sulla Finanziaria e la risposta dei mercati. L'opinione pubblica segue con preoccupata partecipazione queste vicende e noi con essa, sicché dobbiamo occuparcene sia pure con la necessaria brevità.  

L'opposizione - in particolare il partito di Forza Italia - sta tentando di dare una spallata al governo cavalcando il malumore con cui è stata accolta la Finanziaria e alcuni evidenti errori di comunicazione che sono stati compiuti. Pensare che il governo imploda a causa di quegli errori significa tuttavia confondere l'apparenza con la sostanza. L'apparenza conta, ma la sostanza prevale, perciò il governo non imploderà.  

La Finanziaria aveva tre obiettivi: rientrare nei parametri del patto di stabilità europea, perequare le divergenze più stridenti tra le fasce sociali più deboli e quelle benestanti, incentivare lo sviluppo e la competitività. Questi obiettivi sono nettamente presenti nella manovra da 35 miliardi pur nelle ristrettezze finanziarie che il governo ha ereditato dal suo predecessore. Il punto negativo riguarda il contenimento strutturale della spesa e la prevalenza del ricorso alle entrate fiscali e contributive, postergando ai prossimi mesi le riforme.  

È tuttavia falso sostenere che la dinamica della spesa sia rimasta invariata: è rallentata quella regionale, è stato stipulato un patto di stabilità efficace con gli enti locali, è stata significativamente ridotta la dinamica della spesa nella pubblica amministrazione. Il ricorso alla leva fiscale era d'altra parte imposto dalle circostanze: la Commissione europea darà il suo definitivo giudizio sullo stato della nostra economia subito dopo l'approvazione della Finanziaria.  

Pensare che a quella data le auspicate riforme avrebbero provveduto alla provvista delle risorse necessarie era un'illusione. Certo, la maggioranza ha marciato in ordine sparso e questo non ha giovato (non giova) né alla sostanza né all'apparenza.

Segnalare queste circostanze per ciò che hanno di positivo e di negativo è compito precipuo della stampa la quale, a nostro avviso, ha adempiuto ai suoi doveri di informazione e di analisi. Con le differenze di tono e di accento che rendono diverse le varie testate giornalistiche.  

Per quanto direttamente ci riguarda, noi siamo da sempre un giornale di ispirazione democratica di sinistra, favorevole alle riforme, all'innovazione, alla solidarietà sociale, all'eguaglianza dei punti di partenza. Vediamo e giudichiamo i fatti da questo nostro punto di osservazione. La nostra ispirazione di sinistra non ci ha mai fatto velo agli errori che la sinistra politica può commettere così come, in ambiti diversi ma analoghi, la nostra appartenenza ideale alla cultura politica occidentale non ci ha mai fatto velo agli errori commessi dagli Usa e la nostra adesione alla sicurezza dello Stato di Israele non ci ha mai impedito di criticarne la cattiva politica nella regione mediorientale.

Quanto al brutto voto di due agenzie di "rating" esso suona un campanello d'allarme, in parte dichiaratamente determinato dai lasciti fallimentari del precedente governo. I mercati comunque non hanno seguito quel voto, le ripercussioni sugli oneri del nostro debito pubblico non ci sono state. Ci sarebbero sicuramente - e sarebbe drammatico se questa eventualità dovesse verificarsi - se il profilo della Finanziaria venisse stravolto nel passaggio parlamentare e se, nei mesi seguenti, il programma di riforme non fosse rispettato nei termini indicati nel luglio scorso dal Documento di programmazione economica.  

Fine della (doverosa) premessa.

  

L'assise cattolica di Verona e i discorsi del Papa e di alcuni cardinali, in particolare Tettamanzi in apertura e Ruini in chiusura.

Gran parte dei commenti hanno messo in grande risalto il diverso atteggiamento di Tettamanzi da un lato e del Papa e Ruini dall'altro, nel giudizio sugli "atei devoti". Un ossimoro che ha fatto fortuna in Italia più che altrove, visto che noi siamo maestri nel campo degli ossimori, cioè nelle contraddizioni lessicali ridotte a significati convergenti e addirittura univoci. Dall'ossimoro all'univoco. Benedetto XVI ha detto che è importante accogliere quegli uomini di cultura che accettano di comportarsi secondo i dettami del Vangelo anche se non credono nel Dio cristiano. Parrebbe che Tettamanzi abbia detto il contrario. Ma a me non sembra, leggendo i testi.

L'arcivescovo di Milano ha detto un'altra cosa, molto diversa. Ha detto di preferire i cristiani silenti ai cristiani che si proclamano tali ma non si comportano cristianamente. Gli atei devoti non si proclamano affatto cristiani. Si proclamano invece laici non credenti, ma sostengono le ragioni "politiche" ed anche i messaggi evangelici della Chiesa per volgerli ad obiettivi politici che sono loro propri. Quando quei messaggi collimano.

Non le accettano quando i cattolici si dichiarano contro la guerra americana. Non le accettano sull'immigrazione. Non accettano le critiche al capitalismo. Li fanno invece propri quando si parla di educazione cattolica, scuole cattoliche da finanziare, discriminazione nei confronti delle coppie di fatto, ostacoli alla fecondazione artificiale, revisione della legge sull'aborto. Dove si vede che gli atei devoti non sono i cristiani deboli ai quali si indirizzava Tettamanzi, ma conservatori forti che tra i messaggi della Chiesa scelgono quelli che meglio convengano alla politica conservatrice e possano rappresentare altrettanti cunei per disgregare la malcerta coalizione di centrosinistra.

Ed ecco la ragione per cui una parte rilevante dei giornali di ispirazione centrista valorizza la "buona accoglienza" di Ratzinger-Ruini al contributo degli atei devoti, così come valorizza Montezemolo, Draghi, Monti, quando criticano il governo e ne tacciono o sorvolano quando (di rado) lo lodano.

Dunque il centro della questione non è la differenza con Tettamanzi. Mi permetto di autocitare il mio commento all'indomani della lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona: il centro della questione sta nel rapporto, che data dagli albori della patristica e si sistematizza nella scolastica di Tommaso, tra fede e ragione nel quadro di un'architettura che il Papa ha delineato ancora una volta a Verona e all'Università lateranense e che vede la teologia come massimo architrave della filosofia, della scienza e della libertà.

La teologia è un sostantivo che non ha bisogno di attributi, gli altri sostantivi di questa architettura si qualificano invece con gli attributi. La ragione dev'essere ragionevole, la filosofia deve cercare la verità buona, la scienza deve spiegare l'universo nel quadro di quel disegno intelligente che promana dalla sapienza e dall'amore del Creatore. Quanto alla libertà, è stata concessa all'uomo affinché i figli di Adamo "liberamente" scelgano di realizzare il disegno di Dio.

Questo è il nocciolo del problema. Ma qui, inevitabilmente, la visione della Chiesa si scontra con quella laica la quale non riconosce attributi alla ragione né alla scienza né alla libertà. Non accetta - la visione laica - uno statuto ancillare alla filosofia, alla ricerca scientifica, alla libertà.

La visione laica ha grande rispetto per le persone di fede; ne ha molto meno per la fede ipocrita, proclamata ma tradita nella vita pratica; ma postula l'autonomia e riconosce i limiti della ragione. Una ragione autonoma e non ancillare non si pone il problema di puntellare una fede ma proclama anzi la propria incompetenza in materia.  

La ragione non insegue un senso ultimo né una verità ultima e assoluta. Il suo senso è la vita, la nostra vita. Molti dei valori cristiani ed evangelici coincidono con la morale laica: il rispetto della vita, l'amore del prossimo, la difesa dei deboli dalle prevaricazioni dei prepotenti, l'anelito verso la pace e la fratellanza, la libertà dell'individuo che non nuoccia alla libertà altrui.

La visione laica ammira l'insegnamento di Gesù di Nazareth come ammira quello socratico e quello del Budda.

Perciò ben venga l'attivismo cristiano incoraggiato da Benedetto XVI purché non interferisca con la politica la filosofia la scienza e la libertà senza aggettivi.

 

Concluderò con un problema lessicale che è sostanza è non apparenza. La parola "laico" ha un campo semantico molto vasto. Distingue anzitutto i non chierici dai chierici. Quando il Papa e i vescovi si rivolgono al laicato cattolico stanno parlando alla loro Chiesa, formata soprattutto da laici. I delegati diocesani di Verona erano appunto cattolici non-chierici, non presbiteri. Osservo dall'esterno che i cattolici laici hanno ancora scarso peso all'interno della Chiesa, infinitamente minore dei cattolici laici nella Chiesa delle origini. Ma questi sono fatti loro e non miei.

Ci sono poi i laici cattolici. Volete un esempio alto di laici cattolici? Carlo Azeglio Ciampi. Luigi Einaudi. Ma ci metterei anche Pietro Scoppola e un'infinità di altri, tra i quali a giusto titolo anche Romano Prodi. Infine i laici senza aggettivi, che seguono ragione e libertà, fratellanza e giustizia, senza l'appiglio della fede.

In questa sommaria classificazione c'è anche posto per gli atei devoti. Ci sono stati molti Papi in questa categoria. Il più significativo folcloristicamente parlando fu il Borgia, ma prima e dopo di lui ce ne furono una quantità. Direi che la storia del papato è una galassia di Papi atei ai quali il disegno intelligente dette il compito di tener ferma l'"auctoritas" della gerarchia e trasmetterla ai pochi Vicari che hanno dedicato la vita a diffondere il Vangelo.

Post Scriptum. Ieri nella piazza principale di Vicenza si sono radunate seimila persone per acclamare Berlusconi e Bossi e "spallare" la Finanziaria e il governo. L'ex premier ha ripetuto i consueti slogan contro i comunisti, contro i brogli elettorali che gli hanno tolto la meritata vittoria, contro la Finanziaria che affama il popolo e le imprese. Bossi ha ricordato il credo leghista per la "devolution" e per la sovranità delle Regioni e della Padania.

Ma le note dominanti sono state due: i fischi di gran parte della piazza quando la banda ha suonato l'Inno di Mameli; l'attacco di Berlusconi alla sinistra che ha occupato tutte le alte cariche dello Stato a cominciare dal Quirinale.

Questi sono i segnali che provengono dalla piazza vicentina e dai suoi promotori. E queste sono anche le ragioni per cui il governo dovrà governare per tutta la legislatura: perché non ha alternative. Quella berlusconiana mai come oggi rappresenta il rischio altissimo del salto nel buio del quale del resto abbiamo già fatto triste esperienza nei cinque anni che ci stanno alle spalle.

 

Eugenio Scalfari        la Repubblica 22 ottobre 2006