La Chiesa al suo posto
Che campagna elettorale! Poche idee, bassezze, graffi,
scuse, perfino Vespa si annoia. Nel Popolo della Liberta gli slogan di sempre
sono pieni di disprezzo per l'avversario. Berlusconi aggiunge una prudente
allusione ai tempi difficili che verranno - recessione, euro troppo alto,
petrolio alle stelle - per cui (ma non lo dice) si stringerà la cinghia. Invece
Veltroni gioca la carte delle buone maniere anche se ieri gli è sfuggito un «chi
vince comanda», a prova che della democrazia hanno la stessa idea.
Lui però non mette in guardia dalle imminenti vacche magre: macché pericoli
provenienti dall'esterno, sono state la sinistra e i centro-sinistra a sbagliare
tutto, facendosi legare le mani dalla nefasta ideologia che contrapponeva
padroni e operai, proprietari e spossessati, beni privati e beni pubblici.
Usciamo da questa paralizzante menzogna! Lo pensa anche Galli della Loggia.
Passate le redini in mani più giovani e refrattarie alle fantasie sociali
l'Italia rifiorirà.
Bankitalia e l'Ocse informano che abbiamo in Italia i salari più bassi
dell'Europa, neanche la Grecia, ma solo Bertinotti raccoglie. Gli altri tacciono
perché la Banca Centrale Europea comanda: guai ad alzarli, i salari, sarebbe
l'inflazione. I salariati non hanno da fare che una cura dimagrante in attesa di
tempi migliori.
Eppure all'aeroporto mi hanno avvicinato due giovani, due facce pulite: Questo
Veltroni, quale speranza per noi! E lei che ne pensa? Rispondo ridendo: Il
peggio possibile. Sorpresa. Li guardo, due ragazzi cui il leader rinnovatore, le
playstation e la tv assicurano che viviamo in un mondo senza conflitti, eccezion
fatta per l'amore, la mafia e il terrorismo islamico. Che strada in salita li
attende per rimediare alla devastazione di quel minimo di critica dell'economia
e di spessore democratico cui eravamo arrivati.
Non penso agli estremisti, ma a uno come Caffè, uno come Bobbio, miti persone
serie, anch'esse consegnate da Silvio e Walter alle pattumiere della storia.
Non stupisce che nella generale piattezza tornino a brillare le religioni con i
loro lampi lontani, ma la vicina tentazione di una nuova egemonia. Non tutte,
intendiamoci, da noi si agita la chiesa cattolica apostolica romana, cujus regio
ejus religio. Ratzinger parla dallo schermo ogni due giorni più la domenica,
negli altri predicano i cardinali Bertone e Bagnasco. Degli altri culti approda
in tv solo il Dalai Lama, ma perché perseguitato dalla Cina. Non ci arrivano le
sue parole. Non la sapienza dell'ebraismo, non quella dei protestanti: la
comunità ebraica italiana si fa sentire solo in politica, i secondi sono avvezzi
a essere ignorati.
Silvio e Walter e Casini omaggiano più di ogni altro il Sacro soglio, ma con il
ritorno del sacro hanno frascheggiato tutti. Politici e filosofi, maschi e
femmine pensanti. Adesso che se ne vedono le conseguenze, più interventismo che
spiritualità, proporrei alla sinistra di mettere fra le tre o quattro priorità
un bel ritorno al laicismo.
Eh sì. Si finisca di traccheggiare con «laicità sì, laicismo no». E' una
distinzione inventata da poco, che in parole povere vuol dire: la Chiesa ingoi
la separazione dallo stato nei termini costituzionali, purché applicata «con
juicio» e con i consueti strappi sottobanco, tipo esenzione dalle tasse e
accomodamenti con la scuola privata . Ma ad essa lo stato deve riconoscere la
competenza sulla sfera morale e del costume. Il bieco laicismo la nega, una
laicità come si deve è tenuta invece a riconoscere l'autorità del papa su questo
terreno.
Io penso che questa autorità non vada riconosciuta affatto. Prima di tutto, come
si può parlare di etica, di scelte morali, là dove non esiste libertà di
coscienza? Mi ha sorpreso che uno dei nostri amici più colti, Massimo Cacciari,
abbia definito Karol Woytila come la più alta autorità «morale» dei suoi tempi.
Si può parlare di fede, ed è vero che l'esperienza di fede può raggiungere
grandi altezze, affascinanti, tragiche. Si può ammettere che sono spesso legati
a una «rivelazione» gli squarci sapienziali che intemporalmente ci parlano. Ma
fede e sapienzialità implicano una obbedienza che mette duri limiti al sapere
critico e ai suoi strumenti, senza i quali non si darebbero né la modernità né
un pensiero scientifico e tanto meno politico. Tanto più che a imporre limiti e
veti sono le chiese, strutture del tutto terrestri e facilmente prevaricanti.
Non hanno persuaso per secoli che il potere terreno fosse la mera proiezione
della gerarchia teologica? Non a caso la rivoluzione francese è dovuta passare
attraverso l'uccisione del re, autorità che si forgiava su quella celeste e ne
era consacrata.
Dalla secolarizzazione la chiesa cattolica apostolica romana non si è mai
rimessa. Spento Giovanni XXIII è stato tutto un lento rimuovere quel che ad essa
concedeva il Vaticano II. Con Ratzinger la rimozione è diventata precipitosa.
Specie in Italia non deflette dal riguadagnare terreno. E' ridicola
l'argomentazione che si fa perché il Vaticano ha la sua sede nel nostro paese.
In realtà qui ha sede la classe politica borghese più cedevole d'Europa. Il
Vaticano neppure tenta in Francia una incursione sulle leggi del 1905 (che
sarebbero di utile lettura ai nostri politici) e Zapatero ha messo un alt secco
al tentativo di intervenire sulle elezioni in Spagna. Da noi i governi ritirano
le leggi appena i vescovi vi mettono il becco.
La vicenda dei rapporti italiani fra stato e chiesa è fin paradossale. Il
fascismo ha fatto il Concordato nel modo più cinico: nelle scuole elementari si
cominciava con una preghiera ma poi si propinava in tutte le salse una
paganissima romanità. Dopo il 1945, il Concordato sarebbe stato abolito se il
miscrendente Togliatti non avesse scelto di lasciarlo in piedi per timore di una
guerra di religione che isolasse i comunisti, e fu un errore, la guerra ci fu lo
stesso, i comunisti furono scomunicati. Sarebbe stato il cattolico De Gasperi ad
arginare le velleità integraliste di Gedda, cosa che Pio XII non gli perdonò.
Sempre paradossalmente fu Craxi, primo ministro socialista, a confermare e
rimaneggiare il Concordato, mentre il credente e praticante Scalfaro fu l'ultimo
presidente della repubblica a non inchinarsi al santo soglio. Poi c'è stato il
diluvio. Alla morte di Karol Woytila, un capo di stato dietro l'altro finirono
in ginocchio, mentre i leader dei partiti di sinistra scoprivano di essere
andati a scuola dai salesiani. L'Opus Dei usciva con fragore alla luce dalla
clandestinità e la signora Binetti transitava direttamente al Partito
democratico.
Ecco dunque una bandiera da raccogliere da parte di una sinistra che voglia
restare una cosa seria. Raccogliere bandiere lasciate cadere da qualcun altro ha
un suono un po' sinistro, ma afferrare quelle sventolate della chiesa
cinguettando con i vescovi è una patente regressione. Fino al ridicolo. Come
definire altrimenti la decisione del comune di Roma di non celebrare unioni se
non eterosessuali perché il Sacro Soglio è collocato sul suo territorio? Come
lasciare che i vescovi mettano il veto a una legge del parlamento sottoposta a
referendum senza invitare il Vaticano a restare al suo posto? Come assistere
senza aprir bocca ai ripetuti tentativi di questo o quel primate di resuscitare
il Non Expedit? Se è un affare interno della Chiesa affossare passo a passo il
Vaticano II, umiliando una grande speranza dei credenti, sarà bene un affare
interno dello stato legiferare senza interferenze sulla famiglia, sulla
sessualità, sulla riproduzione, sul diritto di morire con dignità. Da questi
terreni che ineriscono alla più intima libertà anche lo stato dovrebbe ritrarre
il piede, rispettando le scelte della persona, e prima di tutto quella delle
donne, da sempre ossessione e bersaglio d'una chiesa tutta maschile. Una grande
mutazione sta venendo da esse e ne esce mutata anche la concezione della vita e
della morte - uno stato moderno, attento, prudente segue questa evoluzione non
lascia alla Chiesa di emettere una fatwa alla settimana. Certo, bisogna che
abbia un'idea di che cosa sia un'etica pubblica, quella che matura discutendone
in libertà e responsabilità, alle soglie del terzo millennio. Ma di questo i
leader del «paese normale» non hanno cura.
Loro hanno i «valori». Meno stato più mercato per i beni, meno repubblica più
Vaticano. I «valori» di Berlusconi, quelli di Veltroni, quelli di Casini, quelli
di Emma Mercegaglia, quelli del cardinal Bagnasco. Se ne fa un gran parlare. Un
«valore» accompagna ogni vassallata, ogni porcheria. Se mi si permette (e anche
se non mi si permette), molti di noi ne hanno abbastanza. Inciampiamo a ogni
passo in valori di latta, mentre si torna a guardare con più disprezzo che un
secolo fa alla vita e alla libertà di chi lavora nel frenetico accendersi e
spegnersi di migliaia di imprese senza regole. Assimilati ormai ai poveri, cui
si deve al più un briciolo di compassione.
Se non è declino morale questo, travestito da affidamento ai principi della
Borsa, della Confindustria e di oltretevere, la ragione non ha più corso.
Rossana Rossanda Il manifesto 17/3/08